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l'isola
degli stranieri morali
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rocreazione
assistita, fecondazione autologa, eterologa, statuto dell'embrione, adottabilità
dell'embrione congelato. Problemi grandi riempiono le pagine dei giornali,
scatenano interventi e commenti. Fanno schierare partiti e persone. L'epoca
che ha visto il crollo delle ideologie si trasforma in un attimo e delle
ideologie torna ad ammantarsi, quasi con orgoglio. Della battaglia parlamentare
in atto leggiamo ogni giorno e ogni giorno partecipiamo ad essa con la
nostra sensibilità, con la nostra intelligenza, ma anche con non
poco disagio.
Sì, disagio. Perché sentiamo ripetere che bisogna mettere fine al far west della fecondazione assistita lasciata in larga parte in balia dei centri privati e agli esperimenti degli «apprendisti stregoni» ma vediamo che questo non riesce ad avvenire senza che l'autonomia femminile venga messa in discussione. Perché vediamo che quello che si vuole realizzare non è una normativa di garanzia per la salute delle donne e dei loro bambini ma qualcosa che sancisca un modello all'idoneità alla maternità e alla paternità, un modello ispirato ad una determinata morale, ad un determinato credo religioso, da imporre a tutti come normale e unica. E intanto non si riesce a varare nemmeno una normativa di controllo di qualità dei centri, che riconduca tutta la materia sotto la «normalità» di una verifica ispirata ai più moderni criteri scientifici e sanitari. C'è un modo per riuscire a superare questo empasse? Carlo Flamigni, ginecologo bolognese impegnato sul fronte laico, racconta per tutta risposta una sorta di apologo. «Bisognerebbe - dice - andare tutti insieme davanti alla riva del mare e qui abbandonare le nostre pesanti valige. Lasciare sulla sabbia il nostro bagaglio religioso ed ideologico e imbarcarsi verso l'isola che si intravede con difficoltà in lontananza. Quella è l'isola degli stranieri morali, di coloro che non si conoscono sotto questo profilo perché, appunto, lo hanno abbandonato all'inizio del viaggio. Nell'isola è possibile così cominciare a lavorare insieme per un accordo che parta da cose essenziali, largamente condivisibili e che rispetti ciascuno». Un lavoro umile, che sa di dover scontare non solo l'incompletezza ma anche e soprattutto la relatività temporale. Perché intanto là, nel «continente» che si intravede appena in lontananza, le cose cambiano in fretta e le convinzioni, le attese, le esigenze e naturalmente anche le opportunità offerte dallo sviluppo tecnico e scientifico mutano costantemente così che costantemente l'accordo deve essere rivisto ad aggiornato. Quando leggo di tutto quando accade in parlamento mi auguro spesso che tutto questo non resti un sogno e che qualcuno decida presto di partire per l'isola che non c'è. Susanna Cressati
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