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AUDIZIONE 13/01/05

Per comodità di lettura abbiamo diviso il nostro intervento in due parti, come due sono gli schemi di decreti legislativi oggetto di audizione.

alternanza scuola lavoro

diritto-dovere all’istruzione e alla formazione

 

 

Sullo schema di decreto legislativo concernente la definizione delle norme generali relative all’alternanza scuola lavoro, art.4 della legge 28/03/2003 n.53

Da sempre abbiamo ritenuto che l’alternanza scuola lavoro fosse una metodologia didattica che, alla stessa stregua di molte altre, le singole istituzioni scolastiche, nell’esercizio dell’autonomia didattica, possono adottare. Una strategia, dunque, che insieme ad altre potesse contribuire a motivare e a dare senso ai percorsi scolastici codificati. Il decreto legislativo in oggetto se, da una parte ne riconosce le finalità didattiche anche nel percorso liceale, dall’altra fa dell’alternanza in sé un ulteriore percorso formativo, che si va ad aggiungere ai due percorsi (liceale e dell’istruzione e formazione professionale) previsti dalla legge 53/03 (art.1 comma 1 “Gli studenti che hanno compiuto il quindicesimo anno di età …possono svolgere l’intera formazione dai 15 ai 18 anni, attraverso l’alternanza di studio di lavoro”). A conferma di ciò prevale nelle finalità esplicitate nel testo (art.2 comma 1 lettera b,d,e) la finalità addestrativa, professionalizzante, con buona pace della cultura del lavoro dentro i percorsi scolastici.

• Dallo stesso testo citato si evince anche che l’alternanza non riguarderebbe tutti gli studenti ma solo una parte. Ma se, come noi sosteniamo, è una metodologia didattica, deve rivolgersi a tutti, altrimenti diventa un altro percorso formativo, per alcuni. Quali: i più bravi o i più deboli?

Articolo 1 comma 2 Per quanto attiene alle caratteristiche delle imprese ospitanti, pare accettato come unico requisito la disponibilità ad accogliere gli studenti. Vanno invece esplicitamente definiti criteri di qualità, legati ad esempio alla legalità, al rispetto delle norme, dell’ambiente, ai modelli produttivi adottati etc. I criteri quindi vanno definiti a livello nazionale anche per poter costituire poi, a livello regionale, una sorta di albo di aziende potenzialmente ospitanti , da cui attingere per la realizzazione delle esperienze in alternanza. Quest’ultimo aspetto è importante anche per rendere trasparente e disponibile per tutte le istituzioni scolastiche del territorio la disponibilità delle imprese a partecipare a queste esperienze. Infatti, uno dei problemi che si incontrano nella realizzazione dell’alternanza, è l’identificazione delle aziende disponibili: essa non può dipendere dalle “conoscenze” o da rapporti personali tra la singola scuola e la singola impresa, ma deve essere possibile per tutte le scuole che vogliano realizzare tale tipologia didattica. A tal fine è utile ed opportuno che sia previsto un momento di raccordo a livello territoriale, cui far confluire sia le disponibilità aziendali che le richieste delle singole scuole, in modo tale che davvero tutte le scuole abbiano pari opportunità nella realizzazione di tale modalità didattica, se lo decidono.

Art.4 comma 1,2,3,4 Manca qualsiasi indicazione oraria, qualunque riferimento al rapporto tra aula ed extra scuola: ognuno (le regioni, le singole scuole, le aziende) deciderà per proprio conto. Saremo in presenza ancora una volta di tanti percorsi, quanti i soggetti decisori senza alcun criterio unitario? O avremo un curricolo, nominalmente uguale, ma che può essere svolto con orari e discipline diversi?. Per convenzione si stabilisce che sono uguali, ma dentro possono essere molto diversi, persino tra scuola e scuola, visto che le convenzioni si fanno a quel livello. Scompare così l’idea di un sistema nazionale e la flessibilità che il decreto auspica tende a somigliare pericolosamente ad un mantello d’Arlecchino.

Art.6 Poco chiara appare la certificazione ed il riconoscimento dei crediti (comma 4) rimandato ad un ulteriore decreto da attuarsi di concerto tra Miur, Ministero del Lavoro e Ministero delle Attività produttive, oltre che alla Conferenza Stato-regioni (vale appena la pena di ricordare che discutiamo di uno schema di decreto che non ha superato il doveroso passaggio del parere della Conferenza succitata!)

In conclusione sentiamo di dovere ribadire che non siamo pregiudizialmente contrari a forme di integrazione tra istruzione e formazione professionale, ma nella chiarezza e distinzione dei ruoli.

Senza contare che la pesante curvatura del sistema verso l’obiettivo di maturare competenze finalizzate al lavoro, non è di per sé garanzia di diritti di cittadinanza, né la sola evocazione dell’occupabilità può produrre i posti di lavoro che sono sempre più scarsi.

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DIRITTO-DOVERE all’istruzione e alla formazione ai sensi dell’art.2, comma 1, lettera della legge 28\03\2003 n.53

Premessa.

I dati resi noti dal Miur dicono che grazie alla legge 9/99, che aveva elevato di un anno la durata dell’obbligo scolastico, circa 40.000 ragazzi in più si erano iscritti alla 1^ classe della scuola superiore e la stragrande maggioranza di loro ha proseguito gli studi nel sistema di istruzione, anche dopo l’assolvimento dell’obbligo.

Appena la legge 9/99 è stata abrogata, a seguito dell’approvazione della legge 53/03, il numero di questi ragazzi è immediatamente sceso: una parte si è rivolto alla formazione professionale regionale, un’altra si è persa per strada, nonostante i tentativi di trattenerli con gli Accordi Stato Regioni dei cui esiti, peraltro non esiste una documentazione diffusa.
In un Paese moderno, i cittadini hanno bisogno di rimanere più a lungo a scuola per acquisire i saperi necessari all’esercizio pieno della cittadinanza, in una società sempre più complessa. Abbiamo sentito la necessità di questa premessa per meglio chiarire il nostro parere sullo schema di decreto in esame.

Rispetto al testo della Bozza di decreto rileviamo che:

 

1.

L’obbligo scolastico è previsto dall’art. 34 della Costituzione. Perché si possa annullare, occorre una legge di pari grado, cioè costituzionale. Non è sufficiente il postulato della ridefinizione ed ampliamento dell’obbligo (art.1 comma 2) per tramutare l’obbligo costituzionale in diritto-dovere. Riteniamo tale operazione incostituzionale, in quanto con una legge di grado inferiore si interviene a modificare, sostituendola, una norma costituzionale

La duplice definizione (diritto dovere) comporta in sé una contraddizione, lessicale e concettuale, tra i due termini: lo stesso testo nell’articolo 1 si sofferma inizialmente sul solo concetto di diritto e introduce quello di dovere solo successivamente, collegandolo peraltro alla definizione di “dovere sociale” di cui si parla al comma 2 dell’art.4 della Costituzione, che poco o nulla ha a che vedere con quello di dovere giuridicamente sanzionabile.

  

a) Il diritto

Si dice infatti che “La repubblica assicura a tutti il diritto alla istruzione e alla formazione per almeno 12 anni…” (art. 1 comma 3). In tal modo si delimita il diritto allo studio, che come tale invece si esplica in termini generali e in forme diverse, senza limiti di tempo. (Da molti anni l’obiettivo europeo è quello del diritto all’istruzione per tutto l’arco della vita). Se si deve parlare in termini di diritti deriva, quindi,una pesante limitazione del concetto di diritto all’istruzione che, nel nostro paese, sarebbe compito della repubblica assicurare, invece, solo per 12 anni!
Questa assicurazione viene sostanziata da un fatto: la gratuità. “La fruizione del diritto di cui al comma 3 non è soggetta a tasse di iscrizione e di frequenza.” (art. 1 comma 4).
Facile dedurne alcune conseguenze: la scuola dell’infanzia viene esclusa da tale gratuità e con essa il quinto anno della scuola superiore con l’esame di stato.
E potrebbero non rientrare neppure gli anni di studio oltre i 12, derivanti da eventuali bocciature e ripetenze. Infatti il diritto in questione è definito quale “diritto soggettivo” (art. 1 comma 5) e quindi a responsabilità del tutto personale.
L’idea di diritto trascina con sé, per il suo pieno espletamento, anche la gratuità dei testi scolastici, ma di questo tema il decreto non parla. Le nostre preoccupazioni in tal senso sono molto forti anche alla luce dell’ultima legge finanziaria che non consente di fatto agli Enti Locali di provvedere neanche alla gratuità dei testi scolastici per gli alunni “bisognosi”. Di quale diritto allora parliamo?

b) Il dovere

Dopo quattro commi sul diritto all’istruzione e alla formazione, si dice che però queste costituiscono anche un dovere e più precisamente un “dovere sociale” ai sensi dell’art. 4 della Costituzione” (art. 1 comma 5). L’articolo 4 della Costituzione recita: “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società.” Ci appare improprio il riferimento al dettato costituzionale di una definizione di dovere sociale, appunto, per il quale non risulta che sia prevista sanzione alcuna nel nostro ordinamento giuridico, proprio in quanto principio generale contenuto nella 1^ parte costituzionale; sostanzialmente diverso dal concetto di obbligo che è, giuridicamente definito e sanzionato.
Pare del tutto evidente che proprio sulla base delle definizioni, esplicitate nello schema di decreto anche con i riferimenti costituzionali, di diritto (diritto soggettivo) e di dovere (dovere sociale), il diritto-dovere ha un contenuto del tutto diverso dall’obbligo, meno cogente dell’obbligo stesso. Il diritto-dovere inizia al primo anno della primaria (la scuola dell’infanzia è esclusa quindi dal diritto): dal testo si evince un percorso ben stabilito che si divide in due rami nella secondaria superiore e che termina ai 12 anni di istruzione o formazione, a meno di una qualifica professionale ottenuta prima.
Il percorso quadriennale di istruzione e formazione, previsto dalla legge 53/03 per il conseguimento di una qualifica, sparisce dal testo della bozza a favore di una "qualifica professionale di durata almeno triennale". Si riduce per decreto lo stesso diritto-dovere o si dà per scontato che alla qualifica triennale giungano ragazzi già segnati da insuccessi e ripente? Inoltre i 12 anni del diritto/dovere non coincidono né con la durata quinquennale degli studi liceali né con quella almeno triennale dei percorsi per ottenere una qualifica come previsto nella bozza. Si ferma prima del completamento del liceo e dura un anno in più per gli altri.

 

2.
Art.3 comma 1,2 Sfugge il motivo dell’istituzione di un’anagrafe nazionale degli studenti presso il Miur. Essa sembra corrispondere ad una volontà centralistica e poco rispettosa dell’autonomia. La dispersione scolastica la si combatte in loco con gli operatori che controllano, prendono contatto, interagiscono con i “dispersi”. A meno che un’imponente macchina burocratica venga messa in piedi per esclusivi motivi statistici!
3.
Dopo il primo ciclo, di fatto, ci si può indifferentemente iscrivere sia al sistema di istruzione che alla formazione professionale regionale. Perché in molte, troppe regioni, l’Accordo tra Miur e Regione prevede che i ragazzi usciti dalla terza media e che non si iscrivano al sistema dell’istruzione possono iscriversi ai corsi di Formazione professionale. La frequenza obbligatoria del sistema di istruzione termina così con il primo ciclo, cioè a 14 anni, o prima, se si comincia a 5 anni e mezzo. Dopo si sceglie tra due sistemi, che sono falsamente posti sullo stesso piano, mentre la loro durata, i contenuti e le finalità sono profondamente diverse, e le stesse istituzioni di riferimento cambiano (allo Stato i Licei, alle Regioni il resto).
4.
Per quanto attiene l’apprendistato, riteniamo sbagliato equiparare i suoi effetti ai fini del diritto – dovere alla formazione alla frequenza di un percorso formativo (art.5 comma 3): non c’è alcun vincolo alla formazione esterna degli apprendisti, né la quantificazione delle ore di formazione..Il canale dell’apprendistato viene citato solo per derivane crediti formativi.
5.
Anche i crediti hanno bisogno di una maggiore definizione e chiarezza: a nessuno sfugge la complessità della loro certificazione che proviene dalla concertazione di agenzie e soggetti istituzionali tra loro diversissimi erse. Permane peraltro il problema di un anno “vuoto”: infatti l’accesso all’apprendistato è previsto dalla legge 30/03 a 15 anni e la scuola secondaria di primo grado termina a 14. Cosa faranno in questo anno quei ragazzi che non si iscrivono né all’istruzione né alla formazione/istruzione professionale, e che continueranno, grazie e nonostante il diritto dovere, a non essere soggetti all’obbligo di istruzione? si pensa di parcheggiarli per un anno in un corso qualunque, magari “povero”, o si presume già, nella previsione legislativa, che saranno ragazzi che avranno maturato ripetenze nel loro curricolo? In tutti i casi si lascia ancora una volta la porta socchiusa per permettere a qualcuno di uscire dal sistema.
6.
“Responsabili dell’adempimento del dovere di istruzione e formazione sono i genitori…” (art. 7 comma 1). “La vigilanza sul diritto spetta ai sindaci, ai dirigenti scolastici e ai centri per l’impiego” (art. 7 comma 2,) in maniera indistinta (sfugge cosa farà o dovrebbe fare ciascuno di loro in materia). Se il dovere (il dovere a questo punto non il diritto-dovere) non viene rispettato, si va alle sanzioni che pare restino quelle previste per l’obbligo. Ma se è così, allora perché sostituire l’obbligo scolastico con il diritto dovere ?

In conclusione riteniamo che la sostituzione lessicale e concettuale dell’obbligo con il diritto/dovere, al di là delle apparenti buone intenzioni del legislatore, configuri una scuola lontana dal dettato costituzionale: lungi dal garantire ai cittadini più giovani maggiori opportunità e libertà, favorirà lo svantaggio e la disuguaglianza per quei bambini che hanno avuto la disgrazia di nascere in famiglie e\o comunità che non sanno, non possono o non vogliono garantire loro un’istruzione adeguata. A scuola devono andare tutti i bambini, volenti o nolenti che siano gli adulti cui sono affidati.

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