INCONTRI
INTERNAZIONALI
DI CASTIGLIONCELLO
TREDICESIMA
EDIZIONE
5/6/7
maggio 2000
Castello
Pasquini
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6
maggio
Sintesi della mattinata del 6 maggio
Seconda giornata degli Incontri
internazionali di Castiglioncello che in questa tredicesima edizione tende
ad esplorare il prismatico e sfaccettato universo del “bambino fantastico".
La mattinata è stata aperta da David Meghnagi, psicoanalista, che
ha illustrato “La trasmissione psichica tra le generazioni". Per Meghnagi
il lavoro dell'analista del 2000 non può prescindere dal tema transgenerazionale.
A suo dire il trauma di una famiglia, e in più generale anche di
un popolo, si trasmette di generazione in generazione “come un grumo luttuoso
non elaborato, come un fantasma o un'anima in pena che chiedono di essere
ascoltati". Tra i tanti esempi portati dallo studioso, il vissuto drammatico
e conflittuale dei figli dei desaparecidos argentini o dei sopravvissuti
ai lager nazisti. A riprova delle sue tesi, Meghnagi ha riportato spunti
dell'opera di Freud (“Totem e Tabù", in particolare). Se il trauma
non viene affrontato e rimosso, la coazione a ripetere spingerà
l'individuo a riproporre il problema e a trasmetterlo ai propri eredi.
Per lo psicoanalista, dunque, sia insegnanti che educatori devono considerare
l'intreccio tra vissuto collettivo e individuale nell'approccio col bambino
disagiato. Soprattutto se questo, come accade nelle società multirazziali
e sempre più di frequente anche nelle scuole italiane, proviene
da altre culture, altri paesi. “Non cediamo alle tentazione di decifrare
con parametri nostri - ha sottolineato Meghnagi - le storie altrui. E cerchiamo
sempre di tenere presente il tema transgenerazionale per tentare di aprire
la cripta segreta che conserva nel profondo degli individui le radici del
trauma".
Luca Giuliano, sociologo
e professore di Metodologia delle scienze sociali all'università
“La Sapienza" di Roma, ha invece proposto i modelli ludici della fantasia.
Un excursus nella storia del gioco: dal '700 fino alle teorie di Friedrich
Schiller, il filosofo che risolse la dicotomia tra gioco e lavoro, rivalutando
completamente l'homo ludens. Il gioco per Schiller è la terza via
che concilia razionalità e creatività perché possiede
un carattere di reciprocità. Giocando, infatti, ci si relaziona
necessariamente con l'altro. “Viviamo oggi in un'epoca di fiction - ha
detto Giuliano - in cui la realtà viene virtualizzata. Gli eventi
non accadono ma vengono rappresentati. La fiction è il grande gioco
condotto dai mandatari della massa (politici, giornalisti) che ci raccontano
una storia. Noi siamo i personaggi di una narrazione collettiva". Il sociologo
ha quindi sottolineato il valore dei cosiddetti giochi di mimicry (o di
ruolo), perfettamente in sintonia con lo stile virtuale della fiction.
Giochi come “Dungeons and Dragons" in cui la razionalità è
rappresentata dalla condivisione delle regole da parte dei partecipanti
e che permettono l'attività aggregante giacché comportano
il rapporto con gli altri. “Il gioco - ha concluso Giuliano - è
uno stile comunicativo che ci permette di vivere l'avventura di un mondo
possibile".
Giancarlo Tanucci, professore
di Psicologia della formazione de “La Sapienza" di Roma, ha illustrato
i dati della ricerca su fantasia adulta e fantasia bambina che abbiamo
reso noti ieri. E sul valore dell'adulto fantastico, indispensabile per
la formazione del bambino con capacità immaginifiche, ha insistito
Marco Veronesi direttore della scuola Capodarco di Roma per la formazione
di operatori sociali. “Il rischio della normalizzazione del reale è
sempre presente. L'operatore deve, invece, imparare a rispettare l'altro,
il diverso, soprattutto se il nostro interlocutore soffre di disagi, se
non ha il mandato sociale che abbiamo noi o se è un bambino".
Per Veronesi il mondo dei
piccoli è definito dai grandi. “La nostra è una cultura adultocentrica.
Infante è colui che non ha parola, un essere afasico e senza voce.
Non è casuale che si utilizzi l'aggettivo puerile in senso dispregiativo".
Dunque, per Veronesi è necessario trasformare la cultura “anestetica"
dell'Occidente in una cultura “estetica" in grado di produrre emozioni.
“Dobbiamo conservare la capacità di stupirci, di porci domande,
di riscriverci. Dobbiamo avere il ritegno di non occupare tutto lo spazio.
Solo a queste condizioni l'adulto è fantastico ed è in grado
di relazionarsi con il bimbo".
A concludere gli interventi
della mattina è stato Duccio Demetrio dell'Università di
Milano, educatore degli adulti. Anche Demetrio ha insistito sul concetto
di “grande" che spadroneggia sul piccolo. “Adulti censori che esercitano
potere e che hanno troppi pregiudizi sulla memoria". Ma ricordare è
uno straordinario esercizio di fantasia e il futuro si organizza attraverso
i concetti acquisiti nel passato. Memoria come luogo dell'incontro sociale.
“La famiglia e la scuola dovrebbero strutturarsi come palestre dove produrre
i ricordi", sostiene. In una scuola milanese è stato testato proprio
il piacere di esercitare la memoria da parte dei giovanissimi alunni. La
maestra ha chiesto a Riccardo, quattro anni, di raccontare il suo ricordo
più antico. Il bimbo ha realizzato un disegno con questa didascalia:
“mio papà e mia mamma ballavano. Io ero dentro il pancino di mamma
e ballavo anch'io". “Sono gli adulti ad avere paura della memoria e non
i bambini", ha concluso Demetrio.
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