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EPA - Colloque Européen sur
"La formation des enseignants à la relation de partenariat avec les parents"

Bruxelles 6-7 ottobre 2000
 

LE PAURE RECIPROCHE TRA INSEGNANTI E GENITORI

Mario RUSSO 
psicologo, Formatore Epa
 
 

Inizio la mia relazione con una domanda: cosa significa parlare di emozioni, in particolare di "timori" o di "paure reciproche", all'interno di un discorso sulla formazione per adulti che è finalizzato a sviluppare le modalità di collaborazione tra genitori e insegnanti? Perché mettiamo insieme emozioni e formazione?

Credo che questo fatto rappresenti la testimonianza che oggi pensiamo alla formazione in un modo molto diverso dal passato.

Concepiamo e progettiamo la formazione non più esclusivamente in relazione alle conoscenze e alle informazioni da trasmettere, ma piuttosto in rapporto all'esperienza concreta dei partecipanti e alle necessità che sorgono dal contesto educativo.

In effetti, molte recenti esperienze di formazione rivolte ai genitori (ad esempio, il progetto promosso dall'Epa) sono state realizzate all'interno di un panorama di riferimento che prevede nuovi percorsi:

Tavola n. 1

Tavola 1

  • dalla formazione episodica alla formazione permanente;
  • dalla formazione standardizzata nei contenuti e nei metodi, alla formazione sempre più orientata sui problemi e sulle persone;
  • dalla formazione concepita come trasmissione di conoscenze alla formazione finalizzata allo sviluppo delle potenzialità dei partecipanti;
  • dalla formazione come apprendimento dall'autorità (per esempio, il formatore o gli esperti) alla formazione come apprendimento dall'esperienza;
  • dal ruolo dei partecipanti come destinatari passivi al loro ruolo di attivi protagonisti del processo formativo;
  • dalla formazione realizzata in luoghi separati dalla consueta vita quotidiana alla formazione collegata ai problemi concreti dei partecipanti;
  • dalla formazione centrata sull'operatore e sul programma dei corsi alla formazione centrata sui partecipanti e sui contesti e processi di apprendimento.
In effetti, precisamente le esperienze quotidiane di relazione tra i genitori e la scuola mettono in evidenza che, al di là delle regole e delle procedure formalizzate di partecipazione, esistono in molti casi problemi e difficoltà che rendono difficile la collaborazione tra scuola e famiglia.

Tavola n. 2

Tavola 2

Si tratta molte volte di equivoci e incomprensioni che sorgono nella comunicazione tra genitori e insegnanti; oppure di piccoli o grandi conflitti che scoppiano anche in assenza di problemi realmente gravi e importanti; di sentimenti di mancanza di fiducia verso gli interlocutori; di recriminazioni reciproche per errori o comportamenti giudicati sbagliati o inadeguati; infine, di una progressiva rarefazione dei rapporti tra insegnanti e genitori, come se gli insegnanti giudicassero inutile coinvolgere i genitori nel progetto scolastico e i genitori giudicassero inutile e improduttivo spendere parte del loro tempo per contribuire al lavoro della scuola dei loro figli.

Ad esempio, in occasione dei corsi di formazione per il Progetto pilota Epa abbiamo raccolto le valutazioni dei partecipanti sull'esperienza realizzata. Molti di loro hanno evidenziato, tra le altre cose, l'esistenza di problemi di comunicazione tra insegnanti e genitori; la difficoltà di molti genitori ad esporre le proprie idee e le proprie esperienze, la difficoltà a trovare opportunità di confronto e di soluzione dei problemi educativi.

Questi comportamenti trovano spesso origine in ansie e paure che, più o meno consapevolmente, gli insegnanti provano verso i genitori e che, a loro volta, i genitori provano verso gli insegnanti o verso la scuola in generale.

Vale a dire, che queste ansie e questi timori reciproci, più che emergere direttamente, tendono a manifestarsi in modo indiretto, mascherandosi dietro fatti e comportamenti apparentemente oggettivi ma che sono, in realtà, enfatizzati dai significati soggettivi che, per lo più inconsapevolmente, attribuiamo loro. Come i prigionieri nella Caverna di Platone, siamo condannati a conoscere le cose reali solo attraverso le ombre spesso distorte che lasciano sulle pareti.

Abbiamo bisogno, perciò, di sviluppare una conoscenza più completa e sistematica di questi timori reciproci tra insegnanti e genitori, anche per riuscire a progettare interventi di formazione maggiormente focalizzati sui problemi e dunque più efficaci.

Stimolati da questo convegno dell'Epa, nella mia associazione, il Coordinamento genitori democratici, abbiamo pensato di impostare un progetto di ricerca su questo tema. Abbiamo svolto cioè, un lavoro preliminare, di tipo qualitativo, che servirà da base per la successiva rilevazione di tipo quantitativo, che ci proponiamo di realizzare nei prossimi mesi,

L'analisi che abbiamo svolto si è basata su materiale di provenienza diversa:

  • documenti e dossier prodotti dalle diverse associazioni sul tema delle relazioni tra famiglia e scuola,
  • pubblicazioni e ricerche scientifiche sui problemi dei genitori e della famiglia, in particolare nei rapporti con la scuola,
  • materiale scaturito dai numerosi corsi di formazione realizzati.
Le schema che presento serve semplicemente a dare una prima organizzazione alle paure e ai timori che con più frequenza sono emersi da questa nostra indagine. In particolare, lo schema serve ad evidenziare alcuni possibili nuclei comuni di tali paure.

Tavola n. 3

Tavola 3

In definitiva, timori e paure di genitori e insegnanti appaiono talvolta speculari e tal altra complementari, ancorandosi attorno ad alcuni "nuclei concettuali/emozionali"; vale a dire, ambiti della propria esperienza correlati al ruolo sociale ricoperto in relazione ai bambini:

  • i timori che riguardano le minacce, vere o presunte, alla propria identità di educatore;
  • le minacce al potere educativo che si ritiene di dover esercitare;
  • le paure che riguardano la realizzazione del proprio progetto educativo;
  • i sentimenti di responsabilità e di colpa per il successo o il fallimento di tale progetto;
  • l'ambito dei principi e dei valori che sostengono le proprie condotte educative.
Quale valore e quale importanza dobbiamo dare a queste paure?

La paura non rappresenta soltanto qualcosa di negativo. Paure, timori, ansie sono "spie": evidenziano l'esistenza di problemi – reali o solo possibili - che dobbiamo focalizzare e affrontare.

Oltretutto, se guardiamo fin dalle origini della nostra tradizione culturale di europei, noi ritroviamo alle radici una scelta fondante: la scelta della conoscenza, perseguita talvolta anche a costo di conflitti e scelte dolorose.

A questo proposito, molti di voi sicuramente ricorderanno il brano del De Rerum Natura dove Lucrezio traccia l'elogio di Epicuro e della sua filosofia della natura:

Humana ante oculos foede cum vita iaceret
In terris oppressa gravi sub religione …
 
Afferma Lucrezio che gli uomini erano schiacciati sulla terra sotto il peso terrificante della superstizione religiosa, quando per primo un uomo, un greco, osò levare gli occhi al cielo per sfidarla e si spinse lontano, percorrendo con il cuore e la mente l'immenso universo e riportando a noi vittorioso "ciò che può nascere, / quel che non può e infine per quale ragione ogni cosa / ha un potere definito e un termine profondamente connaturato".

Abbiamo ricordato come la via della conoscenza non sia facile, ma abbiamo anche richiamato il fatto che oggi pensiamo al processo di conoscenza come a qualcosa che riguarda non solo la sfera della razionalità ma coinvolge l'intera esperienza personale ("con il cuore e la mente" dice Lucrezio).

Nella nostra vita quotidiana, in genere, per contrastare timori e paure siamo portati ad adottare tre modelli di comportamento:

  • la fuga, attraverso la negazione o l'evitamento delle situazioni che generano l'ansia;
  • l' aggressione, nel senso della svalutazione, dell'attacco aperto o mascherato, della diffidenza, e così via;
  • infine, l' elaborazione delle paure attraverso al conquista di maggiore consapevolezza delle situazioni problematiche.
Tavola n. 4

Tavola 4

Non è difficile riconoscere nell'ambito delle relazioni e delle comunicazioni tra genitori e insegnanti, gli effetti dei primi due modelli di difesa dai timori reciproci.

Da un lato, sappiamo quante volte siamo tentati di evitare rapporti che possono diventare difficili, rifuggiamo da contatti troppo frequenti, regoliamo i rapporti tra famiglia e scuola attraverso procedure rigide e formali.

Da un altro lato, sappiamo anche quanto spesso entriamo in rapporto diretto solo quando scoppiano situazioni problematiche,spesso per attribuire agli altri la responsabilità del problema, oppure per svalutare giudizi o comportamenti, o anche per contrastare programmi e scelte educative.

I timori e le paure che sottendono a questi comportamenti non sono soltanto immaginari ma, come abbiamo cercato di mostrare, rimandano a domande che stanno alla base della nostra funzione di genitori o di insegnanti: chi siamo come educatori? cosa possiamo fare? come siamo in grado di realizzarlo? Con quali responsabilità? In relazione a quali principi e valori

Per elaborare costruttivamente i timori e le paure connessi agli impegni educativi che ci coinvolgono sono convinto che è urgente riflettere a fondo sul concetto latino di "Cura".

In altri termini, dobbiamo passare dalla "paura" alla "cura"; dai "timori reciproci" al "prendersi cura insieme".

Cosa vuol dire "prendersi cura"? Vuol dire, in primo luogo, sentirsi interpellati, coinvolti, avvertire l'invito ad assumere in carico le situazioni che generano le nostre ansie educative; in secondo luogo, avvertire qual è l'ambito di responsabilità che compete al ruolo che ci troviamo a svolgere; infine, lavorare per cercare soluzioni costruttive e, per quanto è possibile, condivise.
 
 

Tavola n. 5

Tavola 5

Qual è l'apporto della formazione per intraprendere e sostenere il percorso che abbiamo delineato? In fondo, è proprio questo il tema centrale di questa Conferenza.

Le potenzialità della formazione sono di grande rilevanza. Mi riferisco, ovviamente, ad una formazione caratterizzata nei termini esposti all'inizio di questa relazione; vale a dire, una formazione strettamente intrecciata ai contenuti e ai processi educativi quotidiani dei partecipanti.

In via preliminare, credo che per progettare programmi formativi rivolti a insegnanti e genitori e finalizzati a sviluppare e sostenere la scelta della "cura", dobbiamo in primo luogo lavorare sulla definizione degli obiettivi.

Vale a dire, realizzare programmi formativi orientati:

  • ad individuare condotte alternative e più adeguate rispetto a quelle di solito messe in atto per risolvere situazioni generatrici di timore e ansia;
    ad esempio: favorire una maggiore comprensione, tra i genitori, sui programmi e gli obiettivi adottati dalla scuola, e, tra gli insegnanti, sulle aspettative dei genitori in ordine all'investimento formativo verso i figli;

     
  • ad arricchire le competenze educative e relazionali di genitori e docenti in modo da rendere disponibili una gamma più ampia di possibili condotte adeguate;
    ad esempio: capacità di gestire situazioni di ansia e di conflitto; di individuare obiettivi formativi condivisi; di individuare e utilizzare le risorse educative disponibili;
     
  • a maturare maggiore consapevolezza sul proprio ruolo nei processi educativi, sulle risorse educative disponibili e sul potere di ciascuno di farvi ricorso e attivarle;
Tavola n. 6

Tavola 6

Vorrei terminare questa mia relazione richiamando la vostra attenzione sul significati culturale più ampio che assume il nostro lavoro di questi giorni, ma anche il nostro lavoro di questi anni dedicati al tema della collaborazione tra scuola e famiglia.

In definitiva, lavorare sul tema della collaborazione tra scuola e famiglia, sulle paure reciproche di insegnanti e genitori significa lavorare in una "zona di confine". "Zona di confine" tra contesti educativi differenti (gli ambiti scolastici e familiari), ruoli professionali e sociali diversi, sistemi di valori potenzialmente in conflitto.

In fondo, si tratta di una collocazione culturale che è tipica del momento storico, sociale e anche scientifico che stiamo vivendo.

Sempre più ci troviamo a lavorare "sul confine" tra ambiti di ricerca, gruppi sociali, appartenenze culturali ed etniche tra loro differenti.

E' importante perciò definire come collocarsi "sul confine"; ad esempio, se starci come "doganieri" o come "traduttori".

Stare sul confine come "doganieri" significa soprattutto:

  • limitare i passaggi ‘di campo' solo a quelli consentiti
  • stabilire l'esatta appartenenza dei passeggeri;
  • difendere il proprio sistema di regole.
Stare sul confine come "traduttori" significa invece:
  • favorire le opportunità di dialogo e di relazione;
  • sviluppare significati condivisi;
  • rispettare, come sa ogni buon traduttore le particolarità culturali di ciascun interlocutore.
Tavola n. 7

Tavola 7

La scelta che, in modo più o meno consapevole abbiamo compiuto da tempo è quella di cercare di operare come "traduttori", nel senso di lavorare per l'integrazione e la comunicazione, nella scuola e non solo nella scuola.

Le prefigurazioni di futuro che riusciamo a scorgere ci invitano a essere integratori tra gruppi e ruoli sociali, a sviluppare le nostre capacità di dialogo, di relazione, di mediazione culturale.

Molte delle conoscenze e delle capacità che apprendiamo nel contesto della scuola possiamo applicarle anche nelle altre situazioni della nostra vita quotidiana, e molte delle competenze che sviluppiamo negli impegni della vita quotidiana possiamo estenderle anche nelle nostre relazioni con la scuola; poiché, in fondo, la scuola non è soltanto una fase di preparazione alla vita, ma per molti di noi è già la vita stessa.

 
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