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Inizio
la mia relazione con una domanda: cosa significa parlare di emozioni,
in particolare di "timori" o di "paure reciproche", all'interno
di un discorso sulla formazione per adulti che è finalizzato
a sviluppare le modalità di collaborazione tra genitori
e insegnanti? Perché mettiamo insieme emozioni e formazione?
Credo
che questo fatto rappresenti la testimonianza che oggi pensiamo
alla formazione in un modo molto diverso dal passato.
Concepiamo
e progettiamo la formazione non più esclusivamente in relazione
alle conoscenze e alle informazioni da trasmettere, ma piuttosto
in rapporto all'esperienza concreta dei partecipanti e alle necessità
che sorgono dal contesto educativo.
In
effetti, molte recenti esperienze di formazione rivolte ai genitori
(ad esempio, il progetto promosso dall'Epa) sono state realizzate
all'interno di un panorama di riferimento che prevede nuovi percorsi:
Tavola
n. 1
- dalla
formazione episodica alla formazione permanente;
- dalla
formazione standardizzata nei contenuti e nei metodi, alla formazione
sempre più orientata sui problemi e sulle persone;
- dalla
formazione concepita come trasmissione di conoscenze alla formazione
finalizzata allo sviluppo delle potenzialità dei partecipanti;
- dalla
formazione come apprendimento dall'autorità (per esempio,
il formatore o gli esperti) alla formazione come apprendimento
dall'esperienza;
- dal
ruolo dei partecipanti come destinatari passivi al loro ruolo
di attivi protagonisti del processo formativo;
- dalla
formazione realizzata in luoghi separati dalla consueta vita
quotidiana alla formazione collegata ai problemi concreti dei
partecipanti;
- dalla
formazione centrata sull'operatore e sul programma dei corsi
alla formazione centrata sui partecipanti e sui contesti e processi
di apprendimento.
In
effetti, precisamente le esperienze quotidiane di relazione tra
i genitori e la scuola mettono in evidenza che, al di là
delle regole e delle procedure formalizzate di partecipazione, esistono
in molti casi problemi e difficoltà che rendono difficile
la collaborazione tra scuola e famiglia.
Tavola
n. 2
Si
tratta molte volte di equivoci e incomprensioni che sorgono nella
comunicazione tra genitori e insegnanti; oppure di piccoli o grandi
conflitti che scoppiano anche in assenza di problemi realmente
gravi e importanti; di sentimenti di mancanza di fiducia verso
gli interlocutori; di recriminazioni reciproche per errori o comportamenti
giudicati sbagliati o inadeguati; infine, di una progressiva rarefazione
dei rapporti tra insegnanti e genitori, come se gli insegnanti
giudicassero inutile coinvolgere i genitori nel progetto scolastico
e i genitori giudicassero inutile e improduttivo spendere parte
del loro tempo per contribuire al lavoro della scuola dei loro
figli.
Ad
esempio, in occasione dei corsi di formazione per il Progetto
pilota Epa abbiamo raccolto le valutazioni dei partecipanti sull'esperienza
realizzata. Molti di loro hanno evidenziato, tra le altre cose,
l'esistenza di problemi di comunicazione tra insegnanti e genitori;
la difficoltà di molti genitori ad esporre le proprie idee
e le proprie esperienze, la difficoltà a trovare opportunità
di confronto e di soluzione dei problemi educativi.
Questi
comportamenti trovano spesso origine in ansie e paure che, più
o meno consapevolmente, gli insegnanti provano verso i genitori
e che, a loro volta, i genitori provano verso gli insegnanti o
verso la scuola in generale.
Vale
a dire, che queste ansie e questi timori reciproci, più
che emergere direttamente, tendono a manifestarsi in modo indiretto,
mascherandosi dietro fatti e comportamenti apparentemente oggettivi
ma che sono, in realtà, enfatizzati dai significati soggettivi
che, per lo più inconsapevolmente, attribuiamo loro. Come
i prigionieri nella Caverna di Platone, siamo condannati a conoscere
le cose reali solo attraverso le ombre spesso distorte che lasciano
sulle pareti.
Abbiamo
bisogno, perciò, di sviluppare una conoscenza più
completa e sistematica di questi timori reciproci tra insegnanti
e genitori, anche per riuscire a progettare interventi di formazione
maggiormente focalizzati sui problemi e dunque più efficaci.
Stimolati
da questo convegno dell'Epa, nella mia associazione, il Coordinamento
genitori democratici, abbiamo pensato di impostare un progetto
di ricerca su questo tema. Abbiamo svolto cioè, un lavoro
preliminare, di tipo qualitativo, che servirà da base per
la successiva rilevazione di tipo quantitativo, che ci proponiamo
di realizzare nei prossimi mesi,
L'analisi
che abbiamo svolto si è basata su materiale di provenienza
diversa:
- documenti
e dossier prodotti dalle diverse associazioni sul tema delle
relazioni tra famiglia e scuola,
- pubblicazioni
e ricerche scientifiche sui problemi dei genitori e della famiglia,
in particolare nei rapporti con la scuola,
- materiale
scaturito dai numerosi corsi di formazione realizzati.
Le
schema che presento serve semplicemente a dare una prima organizzazione
alle paure e ai timori che con più frequenza sono emersi
da questa nostra indagine. In particolare, lo schema serve ad evidenziare
alcuni possibili nuclei comuni di tali paure.
Tavola
n. 3
In
definitiva, timori e paure di genitori e insegnanti appaiono talvolta
speculari e tal altra complementari, ancorandosi attorno ad alcuni
"nuclei concettuali/emozionali"; vale a dire, ambiti della propria
esperienza correlati al ruolo sociale ricoperto in relazione ai
bambini:
- i
timori che riguardano le minacce, vere o presunte, alla propria
identità di educatore;
- le
minacce al potere educativo che si ritiene di
dover esercitare;
- le
paure che riguardano la realizzazione del proprio progetto
educativo;
- i
sentimenti di responsabilità e di
colpa per il successo o il fallimento di tale progetto;
- l'ambito
dei principi e dei valori che sostengono
le proprie condotte educative.
Quale
valore e quale importanza dobbiamo dare a queste paure?
La
paura non rappresenta soltanto qualcosa di negativo. Paure, timori,
ansie sono "spie": evidenziano l'esistenza di problemi – reali
o solo possibili - che dobbiamo focalizzare e affrontare.
Oltretutto,
se guardiamo fin dalle origini della nostra tradizione culturale
di europei, noi ritroviamo alle radici una scelta fondante: la
scelta della conoscenza, perseguita talvolta anche a costo di
conflitti e scelte dolorose.
A
questo proposito, molti di voi sicuramente ricorderanno il brano
del De Rerum Natura dove Lucrezio traccia l'elogio di Epicuro
e della sua filosofia della natura:
Humana
ante oculos foede cum vita iaceret
In
terris oppressa gravi sub religione …
Afferma
Lucrezio che gli uomini erano schiacciati sulla terra sotto il peso
terrificante della superstizione religiosa, quando per primo un
uomo, un greco, osò levare gli occhi al cielo per sfidarla
e si spinse lontano, percorrendo con il cuore e la mente l'immenso
universo e riportando a noi vittorioso "ciò che può
nascere, / quel che non può e infine per quale ragione ogni
cosa / ha un potere definito e un termine profondamente connaturato".
Abbiamo
ricordato come la via della conoscenza non sia facile, ma abbiamo
anche richiamato il fatto che oggi pensiamo al processo di conoscenza
come a qualcosa che riguarda non solo la sfera della razionalità
ma coinvolge l'intera esperienza personale ("con il cuore e
la mente" dice Lucrezio).
Nella
nostra vita quotidiana, in genere, per contrastare timori e paure
siamo portati ad adottare tre modelli di comportamento:
- la
fuga, attraverso la negazione o l'evitamento delle
situazioni che generano l'ansia;
- l'
aggressione, nel senso della svalutazione, dell'attacco
aperto o mascherato, della diffidenza, e così via;
- infine,
l' elaborazione delle paure attraverso al conquista
di maggiore consapevolezza delle situazioni problematiche.
Tavola
n. 4
Non
è difficile riconoscere nell'ambito delle relazioni e delle
comunicazioni tra genitori e insegnanti, gli effetti dei primi
due modelli di difesa dai timori reciproci.
Da
un lato, sappiamo quante volte siamo tentati di evitare rapporti
che possono diventare difficili, rifuggiamo da contatti troppo
frequenti, regoliamo i rapporti tra famiglia e scuola attraverso
procedure rigide e formali.
Da
un altro lato, sappiamo anche quanto spesso entriamo in rapporto
diretto solo quando scoppiano situazioni problematiche,spesso
per attribuire agli altri la responsabilità del problema,
oppure per svalutare giudizi o comportamenti, o anche per contrastare
programmi e scelte educative.
I
timori e le paure che sottendono a questi comportamenti non sono
soltanto immaginari ma, come abbiamo cercato di mostrare, rimandano
a domande che stanno alla base della nostra funzione di genitori
o di insegnanti: chi siamo come educatori? cosa
possiamo fare? come siamo in grado di realizzarlo?
Con quali responsabilità? In relazione a
quali principi e valori?
Per
elaborare costruttivamente i timori e le paure connessi agli impegni
educativi che ci coinvolgono sono convinto che è urgente
riflettere a fondo sul concetto latino di "Cura".
In
altri termini, dobbiamo passare dalla "paura" alla "cura"; dai
"timori reciproci" al "prendersi cura insieme".
Cosa
vuol dire "prendersi cura"? Vuol dire, in primo luogo, sentirsi
interpellati, coinvolti, avvertire l'invito ad assumere in carico
le situazioni che generano le nostre ansie educative; in secondo
luogo, avvertire qual è l'ambito di responsabilità
che compete al ruolo che ci troviamo a svolgere; infine, lavorare
per cercare soluzioni costruttive e, per quanto è possibile,
condivise.
Tavola
n. 5
Qual
è l'apporto della formazione per intraprendere e sostenere
il percorso che abbiamo delineato? In fondo, è proprio
questo il tema centrale di questa Conferenza.
Le
potenzialità della formazione sono di grande rilevanza.
Mi riferisco, ovviamente, ad una formazione caratterizzata nei
termini esposti all'inizio di questa relazione; vale a dire, una
formazione strettamente intrecciata ai contenuti e ai processi
educativi quotidiani dei partecipanti.
In
via preliminare, credo che per progettare programmi formativi
rivolti a insegnanti e genitori e finalizzati a sviluppare e sostenere
la scelta della "cura", dobbiamo in primo luogo lavorare sulla
definizione degli obiettivi.
Vale
a dire, realizzare programmi formativi orientati:
- ad
individuare condotte alternative e più adeguate rispetto
a quelle di solito messe in atto per risolvere situazioni generatrici
di timore e ansia;
ad esempio: favorire una maggiore comprensione, tra i genitori,
sui programmi e gli obiettivi adottati dalla scuola, e, tra
gli insegnanti, sulle aspettative dei genitori in ordine all'investimento
formativo verso i figli;
- ad
arricchire le competenze educative e relazionali di genitori
e docenti in modo da rendere disponibili una gamma più
ampia di possibili condotte adeguate;
ad
esempio: capacità di gestire situazioni di ansia e di
conflitto; di individuare obiettivi formativi condivisi; di
individuare e utilizzare le risorse educative disponibili;
- a
maturare maggiore consapevolezza sul proprio ruolo nei processi
educativi, sulle risorse educative disponibili e sul potere
di ciascuno di farvi ricorso e attivarle;
Tavola
n. 6
Vorrei
terminare questa mia relazione richiamando la vostra attenzione
sul significati culturale più ampio che assume il nostro
lavoro di questi giorni, ma anche il nostro lavoro di questi anni
dedicati al tema della collaborazione tra scuola e famiglia.
In
definitiva, lavorare sul tema della collaborazione tra scuola
e famiglia, sulle paure reciproche di insegnanti e genitori significa
lavorare in una "zona di confine". "Zona di confine" tra contesti
educativi differenti (gli ambiti scolastici e familiari), ruoli
professionali e sociali diversi, sistemi di valori potenzialmente
in conflitto.
In
fondo, si tratta di una collocazione culturale che è tipica
del momento storico, sociale e anche scientifico che stiamo vivendo.
Sempre
più ci troviamo a lavorare "sul confine" tra ambiti di
ricerca, gruppi sociali, appartenenze culturali ed etniche tra
loro differenti.
E'
importante perciò definire come collocarsi "sul confine";
ad esempio, se starci come "doganieri" o come "traduttori".
Stare
sul confine come "doganieri" significa soprattutto:
- limitare
i passaggi ‘di campo' solo a quelli consentiti
- stabilire
l'esatta appartenenza dei passeggeri;
- difendere
il proprio sistema di regole.
Stare
sul confine come "traduttori" significa invece:
- favorire
le opportunità di dialogo e di relazione;
- sviluppare
significati condivisi;
- rispettare,
come sa ogni buon traduttore le particolarità culturali
di ciascun interlocutore.
Tavola
n. 7
La
scelta che, in modo più o meno consapevole abbiamo compiuto
da tempo è quella di cercare di operare come "traduttori",
nel senso di lavorare per l'integrazione e la comunicazione, nella
scuola e non solo nella scuola.
Le
prefigurazioni di futuro che riusciamo a scorgere ci invitano
a essere integratori tra gruppi e ruoli sociali, a sviluppare
le nostre capacità di dialogo, di relazione, di mediazione
culturale.
Molte
delle conoscenze e delle capacità che apprendiamo nel contesto
della scuola possiamo applicarle anche nelle altre situazioni
della nostra vita quotidiana, e molte delle competenze che sviluppiamo
negli impegni della vita quotidiana possiamo estenderle anche
nelle nostre relazioni con la scuola; poiché, in fondo,
la scuola non è soltanto una fase di preparazione alla
vita, ma per molti di noi è già la vita stessa.
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