6
maggio 2000
Fantasie a megabyte
Assunta Sarlo
Cosa può
fare un adulto - genitore, educatore, insegnante - per non uccidere la
fantasia dei piccoli? Per dirla con Amina, che di mestiere fa la bambina,
per lasciare intatta o incoraggiare la sua capacità e passione nel
"mettere gli occhi al sole e il sorriso agli alberi"? Come deve stare accanto
a un bambino coccolato oggi come non mai e nel contempo lasciato a se stesso,
stretto e spesso perso tra mille invadenze e pesanti latitanze? E come
si può declinare questa che è risorsa di tutti i bambini
non come fuga nella fantasticheria che tutto lascia immutato, ma come chiave
di democrazia, riconoscimento delle diversità, resistenza all'omologazione
culturale? Nell'edizione del duemila l'incontro del coordinamento genitori
democratici a Castiglioncello si interroga sul "Bambino fantastico", "la
questione degli anni a venire" secondo Angela Nava Mambretti se è
vero che i processi del mercato globalizzato e l'ideologia che li sostiene
attentano quotidianamente proprio a questa capacità di immaginare
il possibile, il diverso, e dunque il cambiamento.
E se tra Rodari
e i Pokèmon corrono decenni e accanto ai soldatini c'è la
playstation, se il bambino di oggi si confronta con mezzi tecnologicamente
avanzati e concettualmente assai mutati, la complessità dello scenario
e la velocità con cui evolve spiega quanto il terreno del fantastico
infantile sia da esplorare con una pluralità di chiavi. Quelle della
ricerca sul campo, ad esempio: arriva dalla Sapienza di Roma "La costruzione
dell'irrealtà: fantasia bambina e fantasia adulta", indagine realizzata
da Tanucci, Guardarelli e Passalacqua su un campione di 650 bambini dagli
8 ai 14 anni e di 550 genitori. Accompagnata da disegni e racconti dei
bambini che spaziano tra umani che diventano cavalli per lenire grandi
dolori, mostri tecnologici e lavagne che cancellano ogni errore, la ricerca
disegna gli orientamenti della fantasia infantile e, si potrebbe dire,
conforta i timori di chi immagina bambini passivamente videotrastullati.
Vero è che la loro espressione fantastica è alimentata dalle
passioni prevalenti: chi preferisce videogiochi e tv attinge da quel serbatoio
elementi "fantascientifici" quando scrive o disegna; chi dichiara di giocare
con gli amici, fare sport o leggere sceglie una modalità più
attenta ai sentimenti e insieme più realista. Ma non se ne ricava
per questo, almeno dall'indagine, maggiore povertà immaginativa
dei primi rispetto ai secondi: la fantasia dei bambini è influenzata
anche da altri fattori, come quello di genere e la ricerca mostra per la
quasi generalità del campione articolazioni simili, lotte tra il
bene e il male che di solito vanno a buon fine e che sono in prevalenza
accompagnate dalle emozioni positive del bambino che immagina.
Interessante è
anche considerare l'occhio dell'adulto: la stragrande maggioranza dei genitori
considera una risorsa positiva la ricchezza ideativa ma è più
prudente nel valutarne la "spendibilità" in termini di profitto
scolastico. Nella relazione adulto-bambino su questo terreno un altro punto
della ricerca va segnalato: ai pochi che attribuiscono un'azione positiva
dei videogiochi sulla fantasia infantile corrispondono figli simili, mentre
così non è per la lettura o il disegno preferiti dai bambini
indipendentemente dal gradimento degli adulti. Sappiano però questi
signori bambini che a scuola la loro "grammatica della fantasia" non sarà
molto apprezzata dagli insegnanti. E' un altro nodo della contemporaneità
che il convegno, peraltro affollato da insegnanti, va analizzando e che
suggerisce la domanda degli autori della ricerca: è il videogioco
a rendere meno bravo l'alunno o la scuola non riesce a riconoscere e legittimare
questi modelli fantastici perché la fantasia adulta è ancora
decisamente diversa?
Questione di codici,
insomma, e vari interventi sono stati attraversati da questo tema. Sull'importanza
del riconoscimento delle modalità comunicative ha insistito il semiologo
Paolo Fabbri. Parlando di tv, altro oggetto di dispute, ansie di tutela,
demonizzazioni e bollini, ha provato un rovesciamento della prospettiva
più corrente: "Non esiste il bambino iperpassivo che beve tutto
ciò che vede né l'ipercompetente che sa già tutto.
A questi due modelli si ispirano brutti programmi. Esiste invece un bambino
sulla cui vita immaginaria la tv gioca un ruolo fondamentale: per questo
gli è necessaria una grammatica della fantasia rivolta all'interpretazione
e la responsabilità del genitore è in questo senso grande".
Cosa ciò significhi si capisce guardando ancora una volta agli Usa
dove si calcola che, in media, un bambino veda 12 omicidi all'ora in tv.
Il problema non si risolve, per Fabbri, riducendone il numero né
l'uso delle armi da parte degli adolescenti americani dipende ovviamente
da questa overdose televisiva. "Mi si chiede se la tv è violenta?
Lo è di certo, ma la questione fondamentale sta nella decodificazione
del formato. Un bambino saprà e dovrà essere attrezzato a
riconoscere la differenza tra i morti uccisi nel Kosovo, i 12 indiani uccisi
ammazzati da tre pallottole tre nel film western e le catastrofi a ripetizione
che occorrono a Willie il coyote. Tocca agli adulti dargli una mano nel
riconoscere i generi, nel distinguere i formati del discorso".
Mica facile per
gli adulti, mica facile per la scuola essere stimolo di un pensiero critico,
mica facile per i bambini trovare punti di riferimento, ma nel contempo
non essere preda di molte sirene, quelle del marketing come delle buone
intenzioni di chi, cercando di salvare un mondo dell'infanzia che così
roseo non è e non è mai stato, eccede in tutele occhiute
e ansie di protezione. Si è molto parlato e si parlerà di
Rodari a Castiglioncello: se la fantasia è esercizio di libertà
e possibilità dell'utopia tocca ricordare cosa diceva. Ad averne
solo un angolino è una libertà con il guinzaglio. Come quella
concessa al cane in giardino che, proprio per questo, nulla può
cambiare. |