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La Nazione

6 maggio 2000

Il bambino virtuale figlio della Tv
 

Maurizio Naldini

CASTIGLIONCELLO — Stiamo allevando una generazione di «bambini virtuali». Che sognano con le fiction, creano con il mouse, ed eleggono a mito gli eroi delle play station. Le bambine, a dire il vero, reagiscono più dei maschi. Per loro una favola da leggere, un gioco con gli amici, il racconto di un genitore hanno ancora senso. Ma il risultato non cambia granché. Il mito, che un tempo nasceva da un libro di avventura, dall'eroe di un romanzo, da un sogno coltivato nel silenzio, oggi è una merce come tante. Imposta. Al punto che le merci, da comprare e da consumare, sono diventate «l'immaginario collettivo delle nuove generazioni». 
L'analisi è spietata. Ma a proporla è una voce credibile, quella dei Coordinamento genitori democratici, nati 26 anni anni fa intorno a Gianni Rodari, e che da allora, a scadenza, si riuniscono a Castiglioncello per i loro convegni di ricerca e di studio. «Se la fantasia, il mito, sono guidati dall'alto — ci dice Angela Nava Mambretti, presidente del Coordinamento — il rischio è di avere bambini che sognano allo stesso modo, e inseguono gli stessi miti. Così, come già accade, preferiranno Mc Donald ai Caraibi. Addio curiosità, addio diversità». 
Sarà un mondo migliore? Non diremmo. Globalizzato, anche nelle menti e nelle anime, produrrà futuri consumatori tutti uguali. «A questo punto — dice Angela Nava Mambretti — il mito, è un mito inquinato. Peggio dell'aria, peggio dell'acqua, peggio dei giardini circondati dalle auto. E a questo scenario, gli insegnanti e in genere gli intellettuali, ma ancor prima i genitori devono ribellarsi. Noi crediamo necessaria una 'resistenza' che li faccia reagire, tutti insieme, davanti a questo rischio di omologazione. Qui ci giochiamo il futuro. Rendere uguali a se stesse le fantasie di ognuno, significa omologare la cultura» 
Chi è il Grande Vecchio, che 
sta organizzando un futuro del genere ? A Castiglioncello parlano semiologi, filosofi, psicologi. Vengono dalle università di Roma, di Milano, di Firenze. Per tutti l'accusato principale è la TV, poi i video giochi e in genere l'industria del divertimento. A loro sostegno portano dei dati. Per esempio, i giovani che scelgono come evasione il piccolo schermo, solitamente hanno meno fantasia, ottengono a scuola risultati peggiori, trovano difficoltà ad esprimersi. Tutto vero, e non particolarmente nuovo. Ma come si cura la 'malattia', una volta fatta la diagnosi? 
«Non è diminuendo i morti ammazzati nelle fiction tv — sostiene Paolo Fabbri responsabile del Dams di Bologna — che diminuisce la violenza. Ma aiutando il bambino a capire la grammatica della fantasia. cioè a decifrare i contenuti degli spettacoli. Insomma il bambino non va lasciato solo». 
Una battaglia difficile, sui terreni friabili dela fantasia. Ma non potrebbe darsi che i nuovi strumenti a disposizione semplicemente creino una 'fantasia diversa'? Che insomma la realizzazione del fantastico, ben lungi dal soccombere, si serva oggi di nuovi percorsi? Silvia Veggetti Finzi, docente di psicologia dinamica a Pavia, spiega perchè la fantasia non è che una. «E' un modo per sfidare il tempo e lo spazio, per essere leggeri, per volare alto. La fantasia è libertà. Quindi non è vero che la fantasia è il contrario del pensiero logico. Un bambino che fantastica sa controllare la sua ansia, è sereno. Il contrario della fantasia è semmai il gesto impulsivo. Quello di chi subisce un imput e reagisce» Facile condizionare una persona del genere. Con tre spot si è già conquistato un cliente. E' per questo che oggi si ha paura della fantasia? A Castiglioncello, in questi giorni, cercano di dimostrare che senza fantasia l'uomo soccombe. Al suo posto è uno zombie, anzi, un consumatore.


 
 
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