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La Stampa

6 maggio 2000

Bambini, la fantasia è tecnologica 
Sognano mostri e l’esplosione della III guerra mondiale
 

Stefania Miretti
inviata a CASTIGLIONCELLO 

CERTE statistiche americane dicono che il bambino medio, mediamente parcheggiato davanti alla tv per quattro ore al giorno, assume la sua dose quotidiana di violenza quantificata in 48 morti ammazzati, uno più uno meno. Ne discendono periodicamente grande allarme sociale e accesi dibattiti su come fermare la carneficina, per esempio riducendo il numero di ore di televisione e di conseguenza, proporzionalmente, quello dei morti. Secondo il semiologo Paolo Fabbri, che ieri è intervenuto agli Incontri Internazionali di Castiglioncello su «Il bambino fantastico» organizzati dal Coordinamento Genitori Democratici, non è il caso di farsi prendere dal panico: «In quelle 48 morti violente ci sono i kosovari delle fosse comuni mostrati dal telegiornale, i 12 indiani uccisi con tre pallottole nel film western e Willie il Coyote schiacciato sei volte da un grande macigno: non ha senso sommare questi omicidi. Bisogna piuttosto insegnare ai bambini a riconoscere i diversi formati». Un problema non tanto di ordine morale, insomma, ma «di orientamento dentro quella grande produzione di immagini che è caratteristica della nostra società». E qui viene il difficile: perché se non è detto che i bambini siano in grando di contestualizzare e orientarsi, è certo che molti adulti faticano a distinguere tra finzione e realtà. E a quel punto - bambino teleparcheggiato con mamma convinta che Sue Ellen esista davvero e che Emilio Fede sia un attore - non resta che augurarsi che Fabbri abbia ragione quando afferma che «la tv è una grande maestra nell’insegnare se stessa»: «Il 99% dei bambini capisce le regole, impara da solo, grazie alla tv o con l’aiuto degli adulti o dei coetanei, a riconoscere i tratti di genere». Certo, chi non impara, o non ha ancora avuto il tempo di farlo, rischia di buttarsi dal balcone di casa per provare a volare come un Pokemon, è appena accaduto a Roma: ma anche Peter Pan e Wendy volavano dalla finestra, sia pure nell’ambito di una storia un po’ più articolata. 
Il compito di insegnare ai propri figli a «riconoscere i formati» è insomma arduo e va preso sul serio. Anche per questo gli organizzatori degli incontri di Castiglioncello hanno voluto indagare, quest’anno, sulle fantasie dei bambini (e su quel bambino spesso fantastico che è l’oggetto delle fantasie degli adulti). Non sempre, va detto, le rappresentazioni coincidono. Come dimostra una ricerca realizzata dal Dipartimento di Psicologia dell’Università La Sapienza su un campione di 1200 soggetti, 650 bambini tra gli otto e i quattordici anni e 550 genitori più un gruppo di insegnanti. Ai ragazzini è stato chiesto di produrre una storia dando libero sfogo alle loro fantasie: in un mare di testi e disegni spiccano, è vero, molti Pichaku, mostri orrendamente mutanti e un ricorrente riferimento a una «terza guerra mondiale», ma l’impianto favolistico cui fa riferimento il bambino del Duemila non sembra poi tanto diverso, o più disturbato, da quello su cui si sono formati i suoi genitori: la contrapposizione tra il bene e il male, che si conclude quasi sempre col sopravvento dei buoni sui cattivi, nel quadro di una civile convivenza tra gnomi ed alieni. Le incomprensioni cominciano quando si parla di video-giochi: che sono al centro delle costruzioni fantastiche di molti tra i bambini intervistati, ma anche delle diffidenze degli adulti. Non a caso il dato più significativo della ricerca evidenzia come i ragazzini nel cui immaginario trovano spazio video-game e televisione sono quelli meno apprezzati dagli adulti, in particolare dagli insegnanti. E di fronte a una platea composta soprattutto da insegnanti ed operatori dell’infanzia, a Castiglioncello si apre e si chiude con due punti interrogativi. Il primo è quello posto da Simonetta Fasoli, segretaria nazionale del Movimento di Cooperazione Educativa: «Il bambino fantastico è una costruzione della nostra nostalgia di adulti per un modo di essere che è per noi irrimediabilmente perduto, o una dimensione in qualche modo strutturale dell’infanzia?». Il secondo è quello scelto dai ricercatori della Sapienza per concludere la loro ricerca: sarà il video-gioco che uccide l’immaginazione, o sarà la scuola che non riesce ancora a riconoscere «il ruolo di mondi e modelli di articolazione della fantasia bambina»?. 
Sarà sicuramente colpa degli adulti. Però apprezzare Pichaku è dura.


 
 
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