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ospedale:
il bambino oggetto
una mamma ci racconta il trauma del ricovero, senza risposte, in balia del primario |
nna
Pace, psicologa infantile in forza a un distretto dell'Azienda sanitaria
locale di Novellara (Reggio Emilia) ci racconta una storia esemplare, che
è accaduta a lei e a suo figlio proprio nell'ambito della Asl in
cui da 17 anni lavora. "La notte dell'8 giugno 1998 - racconta - mio figlio
piccolo accusò forti dolori all'addome, accompagnati da una difficoltà
respiratoria. Portato in ospedale, nel reparto di pediatria, il medico
ipotizzò una sospetta appendicite, ma anche una polmonite. Fatti
gli esami di routine il bambino fu ricoverato; al mattino seguente gli
fecero le radiografie. Chiesi al medico, lo stesso che ci accolse durante
la notte, se c'erano dei problemi, la risposta fu che per il momento si
poteva solo dire che il bambino "era pieno di cacca".
Da questo momento in poi per Anna e per il suo bambino comincia un piccolo calvario fatto di tentativi sempre più insistenti da parte del personale medico e infermieristico di risolvere, in un modo o nell'altro, questo che sembrava il problema principale del bambino. "Nessuno mi parlò - dice la mamma raccontando la visita della mattina - di problemi legati a bronchi o a polmoni". La mamma resta senza informazioni, il bimbo tormentato da clisteri, sondini e fleboclisi. Due giorni così, ad aspettare la sentenza del primario che si presenta in tarda mattinata con "tutto un corteo di medici e paramedici"e finalmente alle domande insistenti della mamma risponde "tuonando: non è la cacca il problema di suo figlio, ma suo figlio ha un problema molto più grave ai polmoni, che è più di una bronchite, suo figlio ha la broncopolmonite". Due giorni per informare la madre sulle condizioni di salute del figli, due giorni di brancolamento nel buio, due giorni di intollerabile arroganza. Anna Pace scrive per raccontarci quello che, nonostante la preoccupazione e la tensione, è riuscita in qualche modo a dire a quel "primario": "I genitori devono essere al corrente delle condizioni di salute del figlio; devono essere informati delle cure che vengono praticate al proprio figli;devono essere informati dei risultati degli esami di indagine medica che gli vengono praticati in un linguaggio comprensibile anche ai non addetti al mestiere". "Vi porto la mia esperienza - dice Anna - perché credo che sia importante per noi genitori poterci tutelare e tutelare i nostri figli dall'esercizio di potere che alcune figure professionali vogliono, senza poterlo esercitare". Tutto questo è accaduto nella civile Emilia Romagna, i cui servizi sanitari vengono portati da esempio su scala nazionale se non europea, ad una persona evoluta professionalmente e culturalmente, messa in un angolo da chi interpreta una professione come un esercizio di potere. Quando i medici si meravigliano della "cattiva stampa" di cui sono circondati dovrebbero pensare a casi come questo. Susanna Cressati
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