9 maggio 2008 Esperti a confronto nel convegno «Il bambino ir-reale». L'identikit delle nuove generazioni e i problemi relazionali con gli adulti LAURA CANDELORO Proteggere troppo i figli li rende più fragili BAMBINI iperprotetti dai genitori ma per questo più fragili e vulnerabili e che dunque si sentono smarriti senza la presenza vicina e costante di un adulto. E poi bambini sempre più «in rete» grazie ad e-mail e cellulari. Giocano di più con tutti, combinando i videogiochi ai giochi di una volta. Nuove generazioni allo studio - nel convegno «Il bambino ir-reale» dove si sono confrontati esperti, educatori e genitori. Il tentativo è stato proprio quello di mettere a fuoco un identikit dei nostri bambini - «quelli della tv e del computer, più fragili sul piano cognitivo, che fanno più fatica ad apprendere» secondo Angela Nava Mambretti, presidente del Coordinamento Genitori Democratici che lo ha promosso. Il Bambino ir-reale, quello che non conosciamo, è in fondo l'immagine che l'adulto si rappresenta per orientarsi nella complessità che caratterizza l'attuale condizione dell'infanzia. Bambini indomabili che tiranneggiano genitori sempre più «in affanno», incapaci di porsi come autorità rassicurante, lasciando il bambino disorientato. Oggi che il permissivismo è il modello educativo di massa, osserviamo «adulti che non avendo più tempo per l'ascolto e risparmiandosi ogni riflessione od autocritica, delegano ai farmaci la normalizzazione di un problema. Per far sì che il bambino si comporti nel modo che fa più comodo a loro - ancora la Nava. «I bambini sono cambiati perché è diverso il loro modo di sentire e di pensare se stessi nel mondo e con gli altri. Temono di sentirsi smarriti nel mondo se privi della costante protezione dell'adulto» ha spiegato la prof.ssa di pedagogia Galanti (università di Pisa). Quando lo scambio comunicativo si basa non più tanto sulla parola ma sugli oggetti materiali - beni di conforto, cibo, giocattoli, ritrovati high tech - come principali testimonianze d'affetto da parte di adulti sempre più frettolosi. «Adulti che si rappresentano i piccoli come più fragili di quanto non siano, da diventare iperprotettivi, per un malinteso senso di amore nei loro confronti, escludendoli dai luoghi del dolore, ospedali o cimiteri, o impedendo loro di prendere contatto con i propri desideri, esaudendoli prima ancora che divengano consapevoli». Secondo lo psicologo della comunicazione Alessandro Amadori, «Il bombardamento pubblicitario televisivo si impossessa dei loro desideri, automatizza le loro fantasie, li spinge a comportamenti eccessivi e forzati, trasformandoli nella "shopping generation". Un bambino che guarda per due ore al giorno Italia 1, rischia di vedere in un anno 31.500 spot pubblicitari». Bambini che associano il consumo eccessivo di spot e snack: «Un ragazzino che guarda la tv per 3 ore al giorno, ha il 6% di probabilità in più di diventare obeso, rispetto ad un coetaneo che non la guarda - ha sottolineato Amadori. Apprendono uno stile di felicità di tipo consumistico che genera solo insoddisfazione. «Una campagna pubblicitaria può mettere in crisi il rapporto genitore-bambino: il piccolo a cui si dice che una serie di prodotti sono "per lui", considera "cattivo" l'adulto che non soddisfa le sue "legittime" richieste. Un surplus di lavoro per i genitori, per convincere i figli a seguire la loro linea educativa». |