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la pubblicità
secondo me
dai bambini c'è sempre qualcosa da imparare |
Pubblichiamo per gentile concessione dell'autore, l'articolo
di Arturo Ghinelli apparso sulla Gazzetta di Modena
La pubblicità è la televisione». «È quando il telegiornale, dopo aver finito le notizie, dice al cameraman di fare la pubblicità». Così avevano risposto rispettivamente, Abbas e Andrè, alla domanda: «Cosa è la pubblicità?», che io avevo posto loro due anni fa, quando eravamo in terza elementare. Altri avevano dato altre risposte ugualmente interessanti. Per esempio Marco aveva detto: «La pubblicità è un avvertimento»; oppure Roberto: «Sono delle immagini» e Fabio aveva aggiunto: «Sono delle immagini che spiegano». Per Luca era «una cosa che ne pubblicizza un'altra» e per Lisa: «Qualcosa che dà lavoro. Chi lavora nella pubblicità fa degli spezzoni di film che vanno in onda durante una pausa di un programma». Incuriosito da queste prime risposte e fedele al motto - dai bambini c'è sempre qualcosa da imparare - specialmente se li si vuole conoscere, feci ai ragazzi una seconda domanda: «A cosa serve la pubblicità?». Una domanda apparentemente banale e quasi ripetitiva, visto che già alcuni per definire la pubblicità in realtà avevano detto la funzione che ha. Invece fu proprio grazie a questa seconda domanda che scoprii una cosa che non immaginavo nemmeno lontanamente. Stefania aveva già scritto. «La pubblicità è quella cosa che fa interrompere i film», ma io non avevo capito. Ci sono volute altre due risposte, di due ragazzi particolarmente svegli, perché finalmente mi si accendesse la lampadina e capissi davvero! Rikka rispose: «La pubblicità serve per metterla quando i film fanno la pausa, la mettono al posto di non mettere niente» e Fabio aggiunse: «Serve a far riposare gli attori, a fare gli stacchi». A questo punto avevo capito: i ragazzi erano convinti che anche nei film succedesse quello che succede durante le trasmissioni in diretta, per far riposare i protagonisti si manda un po' di pubblicità. Chiesi agli altri ed ebbi conferma che tutti avevano questa convinzione, anzi mi guardarono stupiti perché solo alla mia veneranda età avevo scoperto questa cosa così ovvia! Naturalmente non vi ho raccontato questo aneddoto per gli aspetti tecnici della questione, ma semplicemente per ricordare che quando si vuole davvero ascoltare i bambini non basta semplicemente prestare attenzione con le orecchie, bisogna anche liberarsi degli stereotipi che abbiamo come adulti e che ci impediscono di capire il punto di vista infantile. Perché, come diceva il mio papà: «Non c'è più sordo di chi non vuol sentire!» E ben difficilmente un adulto ascolta un bambino per imparare, piuttosto non vede l'ora che il bambino commetta un errore, per insegnargli. Invece dovremmo imparare ad accettare gli errori dei nostri figli, perché ci possono insegnare molte cose sul loro modo di ragionare. Arturo Ghinelli
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