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libri
nuovi, contenuti vecchi
consumati stereotipi trovano ancora spazio nei libri
di testo
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n
brano, da qualche tempo accusato di razzismo, circola indisturbato in alcuni
libri di testo della scuola elementare.
Già il numero zero di "genitori e non" se ne era occupato, pubblicando il punto di vista di un genitore di colore che, in modo semplice ma analitico e dettagliato, esprimeva il suo giustificato dissenso per un testo che riteneva offensivo e denigratorio nei confronti dei bambini di colore. Alla sua voce di protesta se ne aggiungevano poi altre e la polemica arrivava recentemente sulle pagine del quotidiano "La Repubblica". Nel frattempo, di polemica in polemica, il brano in questione, tratto dal libro "Caro librino mio" di Lucia Tumiati, continua incontrastato il suo viaggio annuale scolastico. Lo si può trovare nel libro di letture per il primo ciclo delle elementari "Vola vola palloncino" dell'Editore Giunti-Marzocco. Il libro è adottato anche nella scuola frequentata da mia figlia dove, non essendoci alcun bambino di colore, probabilmente nessuno si indignerà più di tanto. Ed è proprio qui il punto, secondo me, in fondo alla nostra cultura e storia di uomini e donne occidentali che pensano, dicono e scrivono secondo i propri e unici schemi mentali. Siamo parte integrante, consapevole o no, della storia di un occidente egemone nel mondo attraverso i secoli ed ereditiamo la cultura di una società che si autoimpone, dando per scontate le "sue" verità. Eppure per "razzismo" si intende qualcosa di ben preciso. Razzismo è "la teoria che esalta le qualità di una razza rispetto ad altre, delle quali vuole mantenere condizioni di inferiorità". Ricordo bene un libro di lettura per la scuola elementare degli anni '60, in cui compariva un bambino di nome Epaminonda. Attraverso questo bambino riccioluto e soprattutto "nero" venivano proposti tutti gli stereotipi generalmente attribuiti alla gente di colore. Era buffo, stupidino, e si comportava in maniera strana e ridicola. Ecco, Epaminonda rappresenta un po’ il papà di questa bambina nera di cui si parla ora, secondo un modo di vedere mistificante, che purtroppo in tal modo si perpetua di generazione in generazione. Di lei infatti non si capisce se "è sporca o proprio nera", ma si sa che possiede "buffe" treccine, che fa insensate capriole e che tace poco intelligentemente di fronte alle domande intelligenti di una bambina bianca. Mi sembra che quelle condizioni di inferiorità del nero rispetto al bianco vengano dunque tutte rispettate. Significativo è anche un pezzo di poche righe, posto nella stessa pagina, scritto da una certa Fabiola, e dal titolo "tolleranza". Recita così: "non evitarmi, sono un uomo come te, forse diverso per pelle, forse diverso per religione, ma sempre un uomo che vive sulla stessa terra". L'inadeguatezza del titolo che, a mio avviso, avrebbe dovuto essere "intolleranza", è emblematica e rivelatrice rispetto al contesto in cui lo si è inserito. Tollerare, infatti, vuol dire, secondo lo Zanichelli, "sopportare con pazienza cose spiacevoli o persone poco gradite". Tornando dunque al brano precedente la facile deduzione è che la bambina nera debba anche essere "tollerata", nonostante i "difetti" con i quali è presentata. Ma tollerare è qualcosa di ben diverso dall'accettare o dal solidarizzare che, al contrario, significa fondamentalmente capire prima e condividere poi le ragioni altrui. In questo caso, invece, né si cerca di capire le validissime ragioni delle persone di colore che dissentono, né di intervenire in alcun modo, escludendo dai libri di testo un brano così equivoco. Seppure il razzismo non fosse passato nelle intenzioni dell'autrice, Lucia Tumiati, come io voglio pensare, ne emerge adesso nell'arroganza del non porvi fine. Mi sembra di poter dire infine che il racconto disturbi non soltanto bambini e genitori di colore, ma chiunque creda e voglia educare i propri figli ai valori della solidarietà. Concetta Graziani
CGD Rufina (FI)
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