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ROMICS 2002

Festival del fumetto
e dell’animazione

IL DIBATTITO SUI CARTONI GIAPPONESI E IL PUNTO DI VISTA EDUCATIVO

5 ottobre 2002
Intervento di Mario RUSSO (psicologo, Coordinamento genitori democratici)

Tavola rotonda: "Da Goldrake a Dragon Ball: Equivoci e verità del fenomeno manga-anime in Italia"

Ripercorrendo, sia pure sinteticamente, il dibattito assai eterogeneo che si è svolto in Italia negli ultimi due decenni attorno al fenomeno dei "cartoni animati giapponesi" è necessario dire subito che dal punto di vista educativo è del tutto improduttiva una riflessione che si concentri sulla "pericolosità", ovvero sulla "virtuosità", in sé dei manga-anime; allo stesso modo in cui risultano del tutto improduttivi tutti i dibattiti che riguardano, ad esempio, la pericolosità o la virtuosità dei videogiochi, ovvero della televisione, o altro.

È una riflessione improduttiva essenzialmente per due ragioni:

  1. dal punto di vista dell’analisi, si tratta di un problema mal posto, poiché prende in considerazione solo uno tra gli elementi del sistema complessivo, vale a dire il prodotto (o, in altri casi, lo strumento) e non allarga lo sguardo critico alla rete di mediazioni che intercorrono anche tra chi di questo prodotto fruisce e il contesto nel quale tale fruizione avviene;
  2. dal punto di vista dei contenuti, si rischia il confronto attorno a contenuti generici e necessariamente "drogati" (in genere, previsioni di foschi scenari e di effetti devastanti provocati dalla fruizione dei cartoni nipponici) che finiscono per crollare miseramente appena sono sottoposti al minimo confronto con la realtà.

In effetti, è difficile trovare delle prove che la cosiddetta "Mazinga generation", vale a dire la generazione che vent’anni fa ha assistito alla comparsa dei cartoons nipponici, con Mazinga e Goldrake, abbia avuto una riuscita migliore o peggiore delle precedenti.

Per il loro quotidiano lavoro educativo, i genitori non hanno bisogno di questo tipo di dibattito. Al contrario, i genitori hanno bisogno di uscire dal "paradiso artificiale" delle risposte assolute e totalizzanti per potenziarsi, invece, sul terreno del confronto con le specifiche situazioni concrete, dove si richiedono modalità di pensiero maggiormente caratterizzate in senso congetturale, più aperte al confronto con la realtà, all’apporto di altre idee, al dubbio e all’apertura verso le infinite possibilità future.

I genitori hanno bisogno di arricchire conoscenze e sviluppare capacità che li aiutino a orientarsi e decidere in un panorama di risorse educative che, negli ultimi anni del secolo trascorso, si è venuto a configurarsi secondo tratti nel tutto nuovi rispetto al passato.

In merito a questo nuovo panorama delle risorse educative, faccio soltanto due esempi:

  • la risorsa "socialità", fino a 25/30 anni fa, era una risorsa facilmente accessibile, tale da non richiedere una particolare cura da parte dei genitori: l’esistenza di famiglie estese e numerose assieme alla maggiore sicurezza degli ambienti urbani e rurali offrivano a tutti i bambini ampie possibilità di gioco e di compagnia; al contrario, oggi la risorsa "socialità" è diventata una risorsa scarsa, tale da richiede ai genitori investimenti rilevanti di tempo e spesso anche di denaro per assicurare ai propri figli opportunità di gioco e di compagnia con altri bambini;
  • per altro verso, la risorsa "informazione", intesa nei termini della quantità e della varietà di informazioni disponibili a differenti fini (didattico, ludico, ecc.), un tempo scarsa e di difficile accesso, è oggi facilmente disponibile attraverso canali diversi (tv, videocassette, libri per età differenziate, cd-rom, e così via) Il problema per i genitori, in questo caso, è quello di orientarsi nel labirinto delle diverse opportunità: selezionare, elaborare, filtrare; in altri termini, lavorare sull’abbondanza, più che sulla scarsità delle risorse.

Allora, se riflettiamo sul fenomeno dei cartoni animati giapponesi nell’ottica del nuovo panorama delle risorse educative vediamo che questi, nel loro insieme, presentano tre elementi che si collocano sullo sfondo di tale panorama:

  1. la pluralità delle proposte e dei generi: il mondo dei manga si articola non solo per le diverse fasce d’età dei destinatari ma spazia da prodotti che si rifanno al feuilleton o alla soap-opera, alla fantascienza o al racconto sportivo o d’avventura, e così via; emerge perciò la necessità di orientarsi e di cogliere differenze e specificità;
  2. il carattere contraddittorio che caratterizza molti dei personaggi protagonisti, che presentano tratti ambigui o dissonanti, inducendo perciò a superare la divisione tranquillizzante tra il buono e il cattivo e a cogliere la conflittualità insita nella gran parte delle situazioni reali;
  3. la presenza di contenuti culturali che provengono da culture "altre", rispetto alle radici culturali europee, e che richiedono perciò un lavoro maggiormente mediato di "traduzione" e di comprensione.

In altri termini, la riflessione sulle valenze educative dei manga finisce per evidenziare uno specifico campo problematico che in qualche misura riproduce il più ampio scenario di questioni che si trova oggi di fronte ai genitori. Si tratta di uno scenario che, proprio per fatto di caratterizzarsi nei termini del complesso intreccio di relazioni e comunicazioni globali, dell’emersione di inedite ’zone di confine' tra popoli, culture, appartenenze sociali e religiose diverse, della scissione tra l’accesso a nuove opportunità e libertà e i rischi dell’isolamento e dell’emarginazione, impegna ogni genitore ad assumere un ruolo di mediatore, "traduttore/traghettatore" verso contesti, identità culturali e linguaggi diversi.

Allora, se le cose stanno così, al di là del gusto personale per cui un certo tipo di prodotto può piacere o meno (a me, ad esempio, piaceva il pescatore Sampei; ma non amo affatto l’Uomo tigre e trovo noioso Dragon ball, che invece è molto apprezzato da mio figlio), credo che di fronte all’esigenza di aprire la nostra cultura agli apporti dell’alterità e confrontarsi con la complessità del contesto sociale sia molto più pericoloso, ad esempio, il riemergere di atteggiamenti culturali xenofobi, se non addirittura razzisti, tali da considerare nemico ciò che non rientra nei parametri dell’eurocentrismo e da semplificare i conflitti nella rassicurante contrapposizione della guerra tra civiltà.

Allo stesso modo, è pericoloso qualsiasi atteggiamento che conduce a reclamare misure censorie. Personalmente, sono molto preoccupato quando sento parlare di censura: la generazione alla quale appartengo ha fatto in tempo ad assistere allo spettacolo inquietante di film condannati al rogo per offesa alla morale e di docenti denunciati per aver fatto svolgere a scuola ricerche sull’educazione sessuale. Credo che la censura non solo sia un rimedio peggiore del presunto male che vorrebbe contrastare, ma soprattutto costituisca un pericolo potenzialmente mortale per una cultura e un’educazione democratica: come certe droghe o certi farmaci, la censura crea assuefazione, reclama ulteriore censura e finisce per distruggere le potenzialità democratiche di un organismo sociale.

Oltretutto, un atteggiamento educativo orientato a richiedere interventi censori è correlato ad una visione distorta del potere e, in particolare, del rapporto tra la percezione del proprio potere di "fare il genitore" e gli altri poteri educativi; una visione e un atteggiamento di contrapposizione che punta a utilizzare il proprio potere per limitare o addirittura annullare il potere e l’influenza altrui. Un atteggiamento, per così dire, "a somma zero", che dobbiamo superare, se vogliamo cogliere le opportunità evolutive che si presentano nel nuovo panorama delle risorse educative.

Infatti, laddove si impongono giochi a maggiore valenza cooperativa è necessario sviluppare concezioni che mettano in gioco il proprio potere come "moltiplicatore del potere degli altri soggetti educativi coinvolti (scuola, educatori, specialisti, ecc.), affinché il potere accresciuto di questi possa a sua volta accrescere le possibilità dei genitori stessi.

Non si tratta di una visione ottimistica né moderata; al contrario, è proprio la caduta dei fantasmi e dei bersagli illusori ad avviare la possibilità di uno sguardo che si diriga alla radicalità delle questioni in gioco e delle soluzioni possibili.

 

In conclusione, come genitore non mi sento preoccupato per il fatto che esistano i cosiddetti cartoni giapponesi; mi sentirei molto più preoccupato se non ci fossero o, al contrario, se finissero per essere gli unici a circolare nei circuiti della comunicazione di massa.

In altri termini, quello che ritengo pericoloso è un panorama che si caratterizzasse per il fatto di essere:

  • mono-mediale, nel quale di fatto i più giovani finiscono per fruire prevalentemente di un solo strumento di comunicazione (in genere, la televisione);
  • mono-tematico, tale cioè da enfatizzare solo una tipologia particolare di contenuti e di generi;
  • mono-stilistico, nel senso di privilegiare un solo codice espressivo;
  • mono-valoriale, riguardo alla proposta dei modelli di bene e di male, di giusto e di ingiusto;
  • monopolistico per quanto concerne l’emittenza dell’informazione e delle proposte culturali ed educative.

Credo, in conclusione, che all’interno delle coordinate che ho esposto possa avviarsi un dibattito e un confronto produttivo attorno al fenomeno dei manga e in particolare alla loro valenza educativa: vale a dire, attorno a rischi e opportunità concrete. Lasciando alle spalle fanatismi e paure. Dalle paure e dalle drammatizzazioni enfatiche non è mai nato nulla di buono; dagli atteggiamenti di "cura" e di presa in carico dei problemi possono emergere idee e progetti comuni.


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