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Il giornale dei genitori
Marisa Musu

Nel programma, bello e originale, di queste giornate rodariane, il sintetico titolo del mio intervento: "Il giornale dei genitori", pone qualche piccolo problema. Poiché mi sembra sottintenda che mi si invita a parlare di Gianni Rodari e del Giornale dei genitori, dando per conosciuto e diciamo così, acquisito, che il secondo termine di questo binomio (non a caso siamo rodariani) sia noto a tutti e sia quindi superfluo soffermarsi su di esso.

Ora io dubito fortemente che al di là forse del nome della testata, siano in molti oggi a sapere cosa è stato il Giornale dei genitori, cosa ha rappresentato nella vita culturale italiana e quindi a collocare all'interno di questa straordinaria esperienza la presenza di Gianni.

D'altra parte per rispondere a quest'esigenza, per inquadrare cioè la collaborazione prima e la direzione poi di Gianni Rodari al Giornale dei genitori, sarebbe necessario un seminario di alcune giornate piene e non un intervento di un quarto d'ora. Vorrei perciò cogliere l'occasione per proporre che da queste iniziative del Rodari 2000, iniziative giustamente generaliste, si dipartano, promosse dal ministero, dagli enti locali, dall'associazionismo o comunque da chiunque lo voglia, iniziative specifiche che affrontino in modo dettagliato, approfondito alcuni momenti o temi dell'attività di Rodari: sicuramente una dedicata a Rodari e Il giornale dei genitori darebbe frutti ricchi e di grande qualità. Lo dico a ragion veduta perché per prepararmi all'intervento di oggi ho passato una diecina di giorni in biblioteca a rileggere la collezione di questo mensile e ne sono uscita col rammarico di non avere le capacità e il tempo per affrontare tutti gli spunti che il tema meritava.

Un flash, quindi, solo un flash, sul Giornale dei genitori. Lo fonda nel maggio del 1959 a Torino Ada Marchesini Gobetti. È una donna eccezionale, per cultura e carattere: antifascista (è la vedova di Piero Gobetti ucciso nel 1926 dai fascisti), partigiana, scrittrice di grande qualità (il suo "Diario partigiano" edito da Einaudi è un libro straordinario), impegnata attivamente in politica, fu vice-sindaco di Torino subito dopo la Liberazione, si dedicò particolarmente a quello che oggi si chiamerebbe il sociale, e, in modo più specifico, ai temi dell'infanzia, in rapporto alla famiglia, alla scuola, alla società. Temi ai quali in quegli anni la sinistra dava ancora scarsissima attenzione sia in termini politici che culturali. Col risultato, per esempio, che Il giornale dei genitori, edito coi soldi che la Gobetti aveva guadagnato dalla pubblicazione di un suo libro di consigli ai genitori, "Non lasciamoli soli", vivacchiava stentatamente con appena duemila abbonamenti e con difficoltà raggiungeva lettori fuori del Piemonte. Mi piacerebbe saperne di più sull'amicizia della Gobetti con Rodari, non tanto sulle circostanze concrete, che pure mi interessano, ma sul nocciolo di quest'incontro fra due persone apparentemente così lontane per formazione culturale ed estrazione sociale, che invece seppero scoprire e mettere a frutto quel tanto, tantissimo che le univa, sicché la loro collaborazione, purtroppo breve nel tempo, fu così intensa e proficua. Li accomunava, ma l'ipotesi è mia e può senz'altro essere contestata, lo straordinario interesse-rispetto per i bambini, l'ottimismo della volontà di radice gramsciana (spero, dati tempi che non venga ritenuta un'offesa), l'indipendenza e l'autonomia del pensare e dell'agire, prive però di quel velleitarismo presuntuoso che marcò negativamente, purtroppo, certi apporti della sinistra intellettuale di quei tempi. Militanti entrambi nel Partito comunista, trovarono in questa comunanza di ideali una ragione essenziale per alimentare una pedagogia (il vocabolo è improprio) di libertà e di creatività fino allora sconosciuta o emarginata.

Nel 1964 la redazione del Giornale dei genitori passa a Milano in coincidenza con un nuovo apporto economico e di gestione editoriale da parte di un'altra donna di sinistra, anche lei comunista e piena di interessi pedagogici, Lidia Treccani De Grada. La Nuova Italia, la casa editrice fiorentina di Ernesto Codignola si assume la distribuzione del Giornale dei genitori che cerca così di diventare una presenza nazionale. Muore nella primavera del 1968 Ada Marchesini Gobetti e Gianni Rodari accetta di dirigere il Giornale dei genitori: il numero dell'agosto 1968 è il primo che porta la sua firma. Dopo nove anni, nell'agosto del 1977 Gianni firmerà l'ultimo numero come direttore. Gli succederò io fino al dicembre del 1992, quando La Nuova Italia, che con la morte di Codignola e di Sergio Piccioni ha perso la sua genuina ragion d'essere, chiude il giornale per non assumersi un deficit annuale di pochi milioni. Una generosa intelligente, innovatrice e moderna avventura intellettuale, politica sociale finisce, strozzata dalle emergenti prepotenze del mercato.

Un particolare di costume per non dimenticare come anche nelle piccole cose Gianni fosse assolutamente coerente. Quando prese la direzione del mensile, Rodari non si lasciò andare a pompose o complesse dichiarazioni programmatiche. Si limitò a precisare: "Esiste una forma di modestia che consiste nell'accettare e nel darsi anche compiti limitati, obiettivi parziali. Questo è ciò che facciano con il nostro giornale."

La mia rapida scorribanda sul terreno di incontri affascinanti fra Rodari e Il giornale dei genitori comincia dalla fine, un po' per rispettare la logica rodariana, un po' perché mi pare che l'ultima presenza di Gianni sul "suo" giornale, un'intervista uscita postuma nel numero del dicembre 1982, gennaio 1983, sia particolarmente significativa. L'incontro fra la giovane intervistatrice, Matilde Germani, che credo più tardi si sia fatta suora, e Rodari avviene nel novembre del 1979, ed è questa l'ultima intervista prima della morte. Matilde si sta laureando con una tesi su Gianni e vuole integrare il suo testo con un'intervista. Poi la mette da parte e solo tre anni dopo la dà al Giornale dei genitori di cui intanto è diventata collaboratrice. L'intervista è molto bella ma ovviamente non ve la posso leggere tutta. Voglio solo riferirvene tre punti che ritengo essenziali. Il primo: "...Io faccio, come ho sempre fatto, il giornalista e in questo lavoro sono un giornalista, sono un politico, sono un propagandista delle idee in cui credo. Quando scrivo una storia, non sono niente di tutto questo. Si potrà riconoscere ugualmente che ne sono l'autore, però quando la invento, il primo oggetto è la storia. Devo obbedire alla storia e non alle idee che possono entrare in essa. È un fatto che in molte storie sono entrate idee anche contraddittorie che è difficile tradurre in una "morale": alcune finiscono con un punto interrogativo, altre lasciano i finali aperti ai bambini: e questo proprio perché non voglio imporre né una morale, né un modo di vedere le cose. Ma non voglio neppure nasconderlo. Allora quando mi capita di presentarmi per quello che sono, lo faccio".

Il secondo punto: "Io ho fiducia nella capacità della fantasia di esprimere tutti i contenuti. Non credo che la fantasia sia un'evasione, come è stata più volte definita, ma uno strumento della mente, capace di esprimere per intero la personalità o di entrare in gioco con altri strumenti della personalità e formare una personalità più ricca. Non è un'evasione, non è una fuga."

Non sento il bisogno di commentare questi due primi punti e li ho riportati solo perché mi sembra riassumano in modo assai efficace due capisaldi del pensiero di Rodari. La terza citazione invece affronta il problema di Dio e della morte. È un tema assolutamente nuovo per Il Giornale dei genitori e non credo, anche se non ne ho sicurezza, che Gianni lo abbia trattato in altri suoi scritti. È singolare, mi pare che lo faccia per la prima e unica volta sul "suo" giornale ed a pochi mesi dalla morte.

"…. Ho scelto di vivere senza una religione e di impegnarmi in una direzione che mi sembra assorbire abbastanza sia la capacità di impegno morale sia la capacità di autocritica, per me essenziale come l'esame di coscienza peri cattolici …… Può darsi che in futuro Dio esista, non lo so. Oggi ritengo che sia più importante risolvere i nostri rapporti fra uomini, fra classi, fra paesi, anche se sono convinto che questo non metterà fine ai problemi individuali. Non è facile essere completamente laici…"

Non aggiungo nessun commento: difficilmente mi sono incontrata con una riflessione più religiosamente laica, sicuramente significativa sia per laici che per credenti. E poi, scusatemi, ma non trovate straordinaria, rodariana al massimo nella sua levità, questa affettuosamente ironica affermazione: "può darsi che in futuro Dio esista, non lo so"?

La rapidità della corsa attraverso Il giornale dei genitori mi impone di saltare passaggi, evitare citazioni, riassumere al massimo.

Rodari, inutile soffermarcisi, era un convinto assertore della centralità del bambino, ma vedeva nella famiglia, nella scuola, nelle istituzioni co-presenze essenziali. Il giornale dei genitori gli diede l'occasione di riflettere, elaborare, organizzare tutta questa tematica sicché troviamo nelle diverse annate gli articoli che sono diventati poi delle pietre miliari del pensiero rodariano su questi temi.

Sui temi della famiglia e della scuola altri parleranno specificatamente ed io quindi non mi ci soffermo, nonostante siano i due argomenti cui Gianni dà più spazio sul mensile che dirige. Un solo accenno a proposito della famiglia, per sottolineare con voi la efficacia straordinaria di quel "genitori, state attenti, la casa protegge ma isola" che trova il suo logico complementoin quel "la gente ci guadagna, a conoscerla", che rafforza il pensiero rodariano di una famiglia aperta verso l'esterno in uno scambio continuo e proficuo con la società.

Della scuola, come ho detto, non parlo, essendoci qui relatori validissimi che affronteranno proprio questo argomento. So comunque di commettere un arbitrio grave, perché è alla scuola, ai suoi rapporti con i bambini, i genitori, alla dialettica con gli insegnanti che Il giornale dei genitori dedica il massimo del suo spazio, ovviamente per scelta e volontà del suo direttore Gianni Rodari. Permettetemi solo una brevissima disgressione. Gianni ricorda il suo primo giorno di scuola con un misto di ironia e di affetto. Arrivato, dopo la confusione dell'entrata, in classe al suo banco, si accorge di non aver più la preziosissima cartella e scoppia in un pianto disperato. Ai compagnetti e alla maestra che gli chiedono cosa gli sia capitato, risponde in dialetto fra i singhiozzi "La mè bustza", cioè "la mia borsa". Ma nessuno lo capisce finché il compagno di banco volenterosamente interpretando per assonanza, spiega: "Questo qui piange perché ha perduto il suo Augusto. Chi è Augusto non lo so". Gianni ne trae motivo per ammonire che il dialogo della scuola con il bambino deve cominciare fin dal primo giorno perché "il bambino è un essere nuovo, sconosciuto, diverso da tutti quello che lo hanno preceduto…Il concreto, nell'educazione, è il bambino, non il progetto educativo, non il programma scolastico, non la tecnica didattica in sé".

Superfluo, credo, per un pubblico informato come siete voi, citare il famosissimo "Educazione e passione" (1966). Lo ritengo una pietra miliare per ciascuno di noi, ma proprio perché lo giudico essenziale, ci terrei molto (ma capisco che non è qui la sede) a rivisitarlo con gli occhi, la mente e il cuore di oggi. Facendo l'elogio della "passione" Rodari la definisce "la capacità di resistenza e di rivolta; l'intransigenza nel rifiuto del fariseismo, la volontà di azione e di dedizione, il coraggio di "sognare in grande", la coscienza del dovere che abbiamo di cambiare il mondo in meglio, senza accontentarci dei mediocri cambiamenti di scena che lasciano tutto come era prima, il coraggio di dire "no" quand'è necessario, anche se dire "sì" è più comodo, di non "fare come gli altri" anche se per questo bisogna pagare un prezzo".

Rodari scriveva così trentaquattro anni fa: allora le grandi passioni erano difficili, forse pericolose, ma certamente possibili, praticabili. Si trattava solo di pagarne il prezzo e Gianni aveva dimostrato di essere in grado di farlo. Ma oggi?

Dobbiamo ripiegare queste pagine, rileggercele con emozione, pensarle belle ma antiche, e affidarle all'utopia, quell'utopia che tanto piaceva a Gianni ma che non va confusa con l'agire dell'oggi?

Diceva Gianni che spesso le sue storie finivano con un interrogativo o con un finale aperto. Che fare con questo suo "Educazione e passione"? Io gli lascerei un finale aperto: mi piace pensare che Gianni, come me e come altri, pochi o molti non so, certamente lo aggiornerebbe, lo renderebbe intelligentemente attuale, ma lascerebbe alla passione il posto che le spetta, poiché è essa, anche oggi pur nel mondo della globalità e del mercato, a farci diversi da "un albero, da un gatto" come diceva Gianni, diversi specialmente da quell'odioso benpensante, che, per lui era il massimo dell'obbrobrio.

Rivedendo diligentemente e con grande piacere i contributi di Rosari al Giornale dei genitori ho avuto modo di rileggermi storie, filastrocche, interventi impegnati : purtroppo, ve l'ho detto all'inizio, rimarrà una gioia tutta mia perché non ho tempo di trasmettervela.

Per concludere però non ricorrerò ad una delle tante allegre strofe di una sua filastrocca, né alla morale di una delle sue fiabe. Citerò, sempre dal Giornale dei genitori, ciò che lui scrisse per ricordare un suo carissimo amico, grande pedagogista e uomo di cultura, Bruno Ciari. Riprenderò le parole, dedicandole questa volta a lui, Gianni: "Era un uomo prezioso e buono. Avrebbe potuto darci ancora tanto. Il dovere di chi è rimasto è di farlo conoscere più di quanto sia stato fatto finora in un Paese più attento ai cantanti e ai calciatori che ai suoi veri maestri".
 

Scandicci, marzo 2000

   
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