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SCUOLA TREMONTI-GELMINI
QUESTA NON LA BEVIAMO

Brevi note per non cadere nella trappola del populismo scolastico

 

C'era una volta il maestro unico e i bambini erano tanto felici, poi arrivò un orco cattivo chiamato Sessantotto che se lo portò via e al suo posto mise un orda di maestri cattivi e comunisti. I bambini piangevano e i loro genitori non sapevano come salvarli, fino a quando arrivò la fatina buona Maria Stella che, con la bacchetta magica avuta in dono dal mago Giulio, fece tornare il maestro unico e anche il libro unico e il voto unico. I bambini tornarono a sorridere, tutti erano felici e gli sembrava giusto che tutto a poco a poco diventasse unico, anche e soprattutto il pensiero, proprio uguale a quello del loro unico grande capo Silvio. E vissero felici e contenti?

Se questa storia non la bevi, leggi le note che seguono.

 

UNA MANOVRA CHE TAGLIA IL FUTURO

Le scelte sulla scuola e l'università che il Ministro Gelmini sta cercando di attuare derivano da una manovra economica sbagliata e inadeguata perché non da risposte immediate all'impoverimento di lavoratori e pensionati e toglie futuro ai giovani.

In particolare la decisione di tagliare in tre anni oltre otto miliardi di euro a scuola e università è in aperto contrasto con l'esigenza prioritaria del nostro paese di superare il proprio deficit formativo e di fare della conoscenza la principale risorsa dello sviluppo civile ed economico del paese.

Da sempre abbiamo posto la necessità di realizzare profondi processi di innovazione e riforma per qualificare il sistema formativo italiano, ma il contenuto e il metodo dei cambiamenti che il governo intende attuarenon vanno nella direzione indicata

Il governo sta infatti mettendo in atto modifiche di ampia portata nella scuola e nell'università attraverso decreti legge e come conseguenza delle scelte operate in sede di contenimento della finanza pubblica, in aperto contrasto con il metodo del dialogo e del confronto che sono propri di un paese democratico.

Gli interventi del governo su scuola e università delineano un disegno comune: impoverire e indebolire il sistema pubblico al fine di creare le condizioni per privatizzare il sapere e separare i percorsi formativi sulla base del censo.

L'insostenibile taglio di risorse finanziarie (oltre 8 miliardi di euro) a cui sono sottoposte scuola e università insieme ad altre misure, già in atto o prospettate, finalizzate a privatizzare e a sviluppare la concorrenza tra istituzioni formative (la possibilità per scuole o università di costituirsi in fondazioni di diritto privato e la diffusione di forme di finanziamento come il buono scuola o la quota capitaria) prefigurano la fuoruscita dal sistema pubblico di un ampia fascia di utenti appartenenti a ceti sociali medio-alti e l'approfondimento delle già pesanti disuguaglianze territoriali. In questo quadro per le istituzioni formative pubbliche si prospetta una funzione assistenziale e residuale destinata alle situazioni di svantaggio sociale e territoriale.

Siamo, quindi, di fronte ad una politica formativa iniqua, discriminante e inadeguata a promuovere lo sviluppo della società e dell'economia della conoscenza che, invece, esigono di assumere l'obiettivo della crescita più alta possibile dei livelli di sapere di tutti e di ognuno, come indicato dalla strategia europea di Lisbona, oltre che dalla nostra carta costituzionale.

 

MAESTRO UNICO: UNA MISURA PER RIDURRE LA SPESA

Il ritorno al maestro unico è una delle misure individuate dal Governo per far funzionare nel giro di tre anni la scuola con in meno 87.000 insegnanti e 42.000 ATA.

Ora nella scuola primaria il 75% delle classi (104.000) sono organizzate a modulo (3 docenti per due classe) e il 25% (34.000) sono organizzate a tempo pieno (2 insegnanti per classe). Ogni classe organizzata a modulo che passa al maestro unico fa risparmiare mezzo posto di insegnamento, mentre il passaggio dal tempo pieno al maestro unico ne risparmia uno per classe. Il ritorno al maestro unico è, quindi, un formidabile dispositivo "mangiaposti" escogitato da Tremonti per ridurre in fretta una enorme quantità di risorse alla scuola pubblica. Alla Gelmini è stato affidato il compito di trovare qualche motivazione più o meno accattivante e la decisione sulla quota degli 87.000 posti da ridurre nella scuola elementare. Stando al testo del decreto 137 il ministro si è tenuto la porta aperta, con quella formulazione potrebbe anche costituire solo classi con un unico docente e funzionanti con un orario di 24 ore, limitandosi poi, nei limiti delle risorse disponibili, a tener conto delle richieste di tempo scuola aggiuntivo da parte delle famiglie. È comunque chiaro che l'obiettivo del governo è di estendere il più possibile il maestro unico per farlo diventare il modello standard che lo Stato assicura a tutti, modelli più costosi saranno a carico delle famiglie o degli Enti Locali. Solo in via transitoria, con le residuali risorse soprannumerarie lo Stato continuerà a offrire modelli di 27, 30 o 40 ore.

Lo stesso modello verrà applicato anche alla scuola dell'infanzia, dove verrà anche ripristinato l'anticipo, cioè la possibilità per i bambini di due anni e mezzo di frequentare la scuola dell'infanzia. Già presente nella legge Moratti, nella precedente legislatura era stato abolito perché si era preso atto che la scuola dell'infanzia è inadatta ad accogliere bambini inferiori a tre anni.

 

  • senza motivazioni educative

La decisione di tornare al maestro unico nella scuola primaria è del tutto priva di motivazioni educative e pedagogiche. La scuola dell'infanzia e scuola elementare da qualche decennio funzionano con modelli organizzativi fondati sulla pluralità docente e ottengono regolarmente i primi posti in tutte le indagini internazionali (vedi in particolare indagini IEA-PIRLS e OCSE).

L'unico argomento ripetuto ossessivamente dal Ministro e dai sostenitori politici del ritorno al maestro unico sarebbe il bisogno dei bambini di una figura unica di riferimento. I bambini hanno bisogno della stabilità delle figure di riferimento, non della loro unicità e questo bisogno è oggi soddisfatto dall'assetto fortemente unitario dei modelli in cui nella scuola dell'infanzia e primaria si organizza la limitata pluralità docente. Se così non fosse gli effetti si vedrebbero nei risultati scolastici che, invece, sono i migliori del nostro sistema scolastico. Anche le famiglie hanno sempre espresso alti livelli di gradimento e di fiducia nei confronti di questi settori scolastici.

In ogni caso per dimostrare le sue affermazioni il Ministro dovrebbe almeno fondarsi sugli esiti di un'indagine scientifica o, almeno, aver effettuato una consultazione degli esperti e degli operatori. Nulla di tutto questo, l'unico riferimento sembra essere il pensiero di Giulio Tremonti, un economista, mentre dal mondo scientifico dell'educazione arrivano solo stroncature del maestro unico.

È opportuno ricordare che si è arrivati all'attuale assetto della scuola primaria attraverso un lunghissimo percorso di innovazione e sperimentazione, dalla diffusione delle esperienze di tempo pieno iniziata all'inizio degli anni settanta alla sperimentazione dei moduli negli anni ottanta, e che è approdato alla riforma del 1990.

Nel corso dei primi cinque anni di attuazione della riforma si è anche realizzato un monitoraggio al termine del quale il Parlamento ha espresso una valutazione positiva.

 

  • meno tempo scuola

Il modo più diretto per risparmiare è ridurre le ore di lezione. Tornando alla scuola solo antimeridiana nella scuola primaria e dell'infanzia ci sarà un'enorme riduzione delle ore di lezione e di attività educativa: meno tempo scuola, meno insegnanti, meno spesa per lo Stato.

Il primo effetto della riduzione degli orari di lezione e di attività educativa è l'impoverimento e l'alleggerimento del bagaglio culturale ed educativo dei bambini in uscita dalla scuola primaria e dell'infanzia.

La scuola di 24 ore solo al mattino rischia di ridursi alla sola alfabetizzazione strumentale (leggere, scrivere e far di conto), alcune discipline di fatto non potranno più essere apprese o solo in modo molto superficiale e quindi inutile alla formazione della mente (imparare ad imparare, pensiero critico…). Una solida formazione culturale di base è invece essenziale per poter apprendere lungo tutto il corso della vita, capacità sempre più indispensabile per essere cittadini attivi e lavoratori occupabili.

La scuola a orario breve, le cui attività sono compresse nello spazio angusto del mattino, peggiora anche la qualità dell'insegnamento. Senza tempi distesi il modo di fare scuola diventa meno interattivo, la didattica più nozionistica e trasmissiva (ascoltare e ripetere): non c'è tempo per imparare attraverso il fare, per far sperimentare direttamente ai bambini quello che devono apprendere. La scuola diventa più astratta, noiosa e demotivante e, di conseguenza, aumentano l'insuccesso scolastico e le bocciature. Esattamente come accadeva negli anni cinquanta e sessanta, ai tempi d'oro del celebrato maestro unico.

Meno tempo scuola, infine, significa più difficoltà e costi per le coppie che lavorano, ulteriori ostacoli per la già scarsa occupazione femminile, aumento del tempo in cui i bambini sono parcheggiati davanti al televisore o in altre situazioni di ripiego.

 

  • meno insegnanti

Il ritorno più o meno graduale al maestro unico segna la fine del modello organizzativo fondato sulla coppia docente (tempo pieno) o sul gruppo docente (tre insegnanti su due classi che risolvono anche il problema delle supplenze) unitario e corresponsabile.

Per effetto di questa scelta gli alunni subiranno un impoverimento delle opportunità cognitive e relazionali; ogni bambino è unico e nel team di insegnanti può più facilmente trovare quello con cui si intende maggiormente.

A differenza dell'insegnante tuttologo, con la pluralità docente ogni insegnante si specializza in un'area disciplinare e, grazie ad una migliore conoscenza dei fondamenti della disciplina che insegna, migliora la didattica e i risultati di apprendimento, come dimostrano gli ottimi risultati ottenuti in tutte le discipline dalla scuola elementare italiana.

L'unitarietà del gruppo/coppia docente è poi garantita dalla programmazione didattica di due ore settimanali inserite dal contratto di lavoro nell'orario obbligatorio, oltre che dalla limitata entità numerica del gruppo docente. È, peraltro, diffusa una attenzione costante delle scuole ad evitare la rotazione di troppi insegnanti in una classe.

Nel quadro della programmazione unitaria e corresponsabile, la pluralità dei punti di vista del gruppo docente non confonde ma è preziosa per sviluppare l'intelligenza nella molteplicità delle sue forme. Anche dal punto di vista relazionale la presenza di più adulti arricchisce la gamma delle relazioni educative, riducendo i rischi di dinamiche negative, chiuse e prolungate magari per l'intero ciclo della scuola primaria.

Meno insegnanti significa anche meno possibilità di differenziare i percorsi e individualizzare l'insegnamento: è impossibile, infatti, fare interventi compensativi e valorizzare le eccellenze con un solo maestro. L'attività didattica di un insegnante unico, sempre rivolta a tutta la classe, inevitabilmente si rivolge alle capacità medie, senza opportunità di tener conto delle esigenze degli alunni più dotati e di quelli svantaggiati. Meno individualizzazione dei percorsi significa minori livelli di apprendimento per tutti, più insuccesso scolastico e, in prospettiva, ulteriore aumento della dispersione scolastica.

 

  • senza tempo pieno

Nonostante l'insistenza con cui il governo cerca di rassicurare sulla permanenza del tempo pieno o addirittura sulla possibilità di aumentarlo, le preoccupazioni diffuse sul futuro di questo modello scolastico sono più che fondate.

Il decreto 137 non prevede alcuna salvaguardia per il tempo pieno e afferma che il modello privilegiato è quello del maestro unico con un orario di 24 ore settimanali e che pertanto deve essere diffuso il più possibile, fatta eccezione della possibilità delle famiglie di chiedere un prolungamento do orario e di ottenerla sulla base della disponibilità di organico e di eventuali interventi degli enti locali, piuttosto improbabili in presenza di tagli pesanti delle risorse previsti dalla manovra Tremonti.

Quanto all'ipotesi di aumentare il tempo pieno, oggi rappresenta il 25% dell'organico, utilizzando le risorse risparmiate sostituendo il maestro unico ai moduli, non è considerata dal piano del governo, nonostante le dichiarazioni del ministro, che, invece, mira a ridurre il più possibile i posti di insegnamento della scuola primaria anche oltre il necessario ai fini del raggiungimento degli 87 mila tagli previsti dalla manovra economica, perché in questo modo "si potrebbe ridurre l'incidenza di altri interventi". D'altra parte il 30% dei risparmi derivanti da i tagli è già finalizzato ad introdurre le carriere professionali per i docenti, mentre il 70% deve ridurre la spesa pubblica: per liberare ulteriori risorse da reinvestire, ad esempio per aumentare il tempo pieno, è necessario tagliare un numero di posti superiore ai 130.000 già previsti.

È comunque certo che l'attuale modello di tempo pieno fondato sulla piena con titolarità e corresponsabilità della coppia docente sarà cancellato in favore del modello "spezzatino", già diventato tristemente famoso ai tempi della Moratti: dove le risorse saranno sufficienti si potranno aggiungere alcuni rientri pomeridiani e il tempo per la mensa con insegnanti diversi o con gli straordinari degli insegnanti del mattino disponibili per attività simili alle attività integrative e ai doposcuola. Modelli scolastici che invece il tempo pieno ha superato attraverso la progettazione unitaria, la pari dignità professionale e culturale degli insegnanti e delle discipline, l'integrazione educativa e la didattica laboratoriale.

Il tempo pieno privato di qualità sembra destinato a diventare un ambito di raccolta delle situazioni di svantaggio sociale e scolastico.

 

LA SCUOLA DEVE CAMBIARE, NON ESSERE IMPOVERITA

Una politica di cambiamento positivo del sistema formativo, invece, non può che partire dalla realtà confermata anche dall'ultima indagine Ocse: l 'Italia spende per l'istruzione meno degli altri paesi sviluppati (la spesa italiana in rapporto al PIL è del 4,7% contro il 5,8% della media Ocse).

Occorre, quindi, aumentare le risorse e spenderle meglio, mentre il governo opera una ulteriore pesante riduzione e colpisce la scuola elementare, il settore di eccellenza del sistema formativo italiano come attestano tutte le indagini internazionali.

Si tratta solo di far quadrare i conti.

Non a caso gli interventi sinora decisi o preannunciati sono privi di riferimento ad un progetto organico, non sono sostenuti da una visione unitaria, né da una qualsiasi riflessione o elaborazione proveniente dal mondo dell'educazione, scientifico o militante che sia.

Per cambiare positivamente la scuola pubblica occorre prioritariamente definire un progetto condiviso con obiettivi chiari e definiti di miglioramento da raggiungere, attivare un piano pluriennale di investimenti, promuovere processi di innovazione sostenibili e monitorati. In questo quadro e per raggiungere gli obiettivi di maggiore qualificazione del sistema la spesa deve essere razionalizzata, spendendo meno dove ci sono sprechi e inefficienze per reinvestire nella qualità e nell'efficacia.

 

L'OBBLIGO DI ISTRUZIONE E' INDEBOLITO

Il ritorno alla possibilità di assolvere all'obbligo di istruzione frequentando un corso di formazione regionale finalizzato ad precoce avviamento al lavoro riporta il nostro paese alla canalizzazione precoce: a 14 anni i ragazzi dovranno scegliere tra la scuola, per chi ritiene di poter proseguire gli studi, e la formazione professionale, per chi è destinato ad un precoce inserimento nel mondo del lavoro. Una scelta che ci allontana dall'Europa che ha innalzato o sta innalzando (è il caso dell'Inghilterra) l'obbligo di istruzione anche oltre i 16 anni, cui il nostro paese era pervenuto solo nella precedente legislatura. Anche in questo caso si arretra rispetto all'obiettivo di innalzare i livelli di istruzione di tutti i cittadini e continua l'utilizzo della formazione professionale come canale inferiore e subalterno rispetto a quello scolastico, invece di valorizzare le sue risorse e competenze per la formazione a sostegno della occupabilità dei lavoratori e della competitività delle imprese.

 

UNIVERSITA' IMPOVERITE E PRIVATIZZATE

Per l'università la situazione è altrettanto grave: subisce un ulteriore taglio di 453 milioni (meno 7%) del fondo di finanziamento ordinario degli atenei che arriverà a oltre un miliardo di euro entro il 2012. Tutto questo mentre l'Ocse ci ricorda che l'Italia investe per ogni studente universitario 8.026 dollari contro 11.512 della media Ocse e si colloca al primo posto per abbandono universitario e agli ultimi posti per numero complessivo di laureati. La scelta di demolizione del sistema universitario pubblico è poi completata dall'introduzione nel decreto 112 della possibilità per gli atenei, con un semplice voto a maggioranza del senato accademico, di trasformarsi in fondazioni di diritto privato, collocandosi fuori dall'ambito pubblico, trasferendo al sistema privato il compito di provvedere a funzioni costituzionalmente garantite e aprendo la strada all'esplosione delle tasse universitarie e ad un sistema di accessi basato sul censo.

 

LAVORATORI DELLA SCUOLA UMILIATI

La politica di disarticolazione del sistema formativo pubblico continua nelle politiche per il personale: nessuna prospettiva di stabilizzazione per i precari risorse insufficienti per i rinnovi contrattuali, prospettive (disegni di legge del governo e delal maggioranza) di decontrattualizzazione delle parti più significative del rapporto di lavoro, interventi unilaterali sul diritto di malattia, attacco alla libertà di insegnamento attraverso l'assunzione per chiamata diretta delle scuole.

Le risorse previste per i contratti sono assolutamente insufficienti a difendere il potere di acquisto, così come inadeguato è tasso di inflazione programmata pari a 1,7/1,5 deciso dal governo, mentre non si interviene per compensare il drenaggio fiscale sugli stipendi dei lavoratori causato da un'inflazione ormai oltre il 4%.

Non è difficile prevedere che in questo quadro di impoverimento delle retribuzioni, il 30% dei risparmi derivanti dai tagli che il governo intende utilizzare per avviare le carriere professionali dovrà fare i conti con una pesante perdita del potere di acquisto.

 

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Rete degli Studenti

7 ottobre 2008