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Bambini singolari nella società pluriculturale

Anna Maria Rivera

Ogni discorso sui bambini - che sia pedagogico, psicologico, antropologico... - non può prescindere dalla considerazione che oggi viviamo in un mondo tanto globalizzato quanto frammentato e connotato dalla pluralità culturale. Malgrado i tentativi di denegare o rimuovere questa realtà, essa incide profondamente nel panorama culturale in senso lato in cui i bambini sono inseriti. Non solo perché sempre di più, a partire dalla scuola dell'infanzia, essi fanno esperienza dell'alterità, ma anche perché l'intero mondo sociale, mediatico, comunicativo in cui vivono reca le tracce e l'influenza della pluralità culturale.
Oggi si fa un gran parlare di intercultura, come insieme di saperi e pratiche educative. Ma essa non poche volte viene intesa in senso riduttivo, come superficiale "messa in scena" della varietà culturale,
spesso colta dal versante delle sue espressioni più esteriori: l'abbigliamento, la cucina, la musica, la danza... L'interculturalità, al contrario, non può esaurirsi nel "parlare dell'altro" e nel rappresentarlo, e neppure solo nel "parlare all'altro". Alla sua base dovrebbero essere, invece: l'educazione al decentramento, cioè al metodo che consiste nel provare a mettersi reciprocamente dal punto di vista dell'altro, per potere scambiare e negoziare significati; la messa in valore della dialettica analogia-differenza: io avrei potuto essere l'altro", "io sono anche l'altro".
Infine, la bussola che dovrebbe guidare ogni discorso su e ogni pratica con i bambini è, a mio parere, la dialettica fra singolarità e molteplicità: riconoscere e valorizzare tanto la singolarità irriducibile di ogni persona-bambina (come di ogni persona-adulta) quanto la molteplicità delle forme di vita.

 

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