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Tra ricchezza e povertà

Chiara Saraceno

L'Italia è uno dei sette paesi più industrializzati e più ricchi del mondo. Allo stesso tempo, insieme all'Inghilterra, l'Italia è il paese che presenta il più alto tasso di povertà minorile.
Le stime presentate dalla Commissione di indagine sulla esclusione sociale nel ultimo Rapporto annuale indicano in 1 milione e 704 mila il numero di minori poveri nel 2000, pari al 16,9% di tutti i minori: una quota più alta di quella rilevata per gli individui adulti fino ai 64 anni e simile a quella riscontrata tra gli anziani con 65 anni o più (16,7%), anche se il fenomeno non sembra attrarre altrettanta attenzione nel dibattito corrente. Di più, nel nostro paese la povertà tra i minori e tra le famiglie con minori presenta una tendenza all'aumento negli ultimi anni, nonostante in generale l'incidenza della povertà sia rimasta sostanzialmente stabile a partire dal 1997, coinvolgendo ogni anno circa il 12% delle famiglie. Tre le famiglie con figli minori, infatti, la diffusione della povertà è passata dal 14% nel 1997 al 15,1 % nel 2000. Sono le famiglie con due e, soprattutto, tre figli minori quelle in maggiore difficoltà: nel 2000 era povero il 16,4% delle prime e il 25,5% delle seconde. Esse sono concentrate nelle regioni meridionali e nelle Isole, dove è povero il 27,4% di tutti i minori, a fronte del 7,4% nei Nord e 1'11,3% nel Centro
Come è ovvio, il rischio di povertà per i minori è massimo quando nessuno degli adulti con cui vivono è occupato e quando a non essere occupata è la persona di riferimento (colui o colei che si indica comunemente come capofamiglia). Quindi è la mancanza di occupazione dei padri a costituire innanzitutto un elemento di grande vulnerabilità per i figli, in termini di mancanza di risorse economiche ma più in generale di collocazione nel sistema delle risorse e delle forme di riconoscimento e valorizzazione. Tuttavia, il rischio di povertà rimane elevato anche quando un solo genitore è occupato. Viceversa diminuisce sensibilmente quando entrambi i genitori lavorano: si riduce ad un terzo nel caso delle famiglie con uno e due figli, ad un quarto nel caso delle famiglie con tre o più figli. II sostegno all'occupazione delle madri appare quindi uno strumento fondamentale di contrasto alla povertà, sia nelle famiglie in cui sono presenti entrambi i genitori che in quelle in cui è presente la sola madre.
Infine, le famiglie con figli minori hanno una probabilità più elevata rispetto a tutte le altre non solo di essere povere, ma di rimanerlo a lungo. Ciò significa che i bambini che crescono in queste famiglie hanno una probabilità elevata di sperimentare ristrettezze economiche per diversi anni, con conseguenze di lungo periodo sulle loro chances anche nella vita adulta: in termini di istruzione, quindi di opportunità rispetto al mercato del lavoro, di salute, e più in generale di sviluppo delle capacità personali.
Se lo strumento principe di contrasto alla povertà dei minori e delle loro famiglie è il sostegno all'occupazione degli adulti - dei genitori - esso non appare sufficiente: sia perché il fenomeno dei lavori a bassa remunerazione (e talvolta anche a bassa protezione) non mette neppure tutti gli occupati al riparo dalla povertà, sia perché non può essere lasciato alla sola remunerazione del lavoro il compito di compensare i costi che i genitori sostengono per allevare i figli e più in generale di ammortizzare gli squilibri tra risorse e bisogni che si possono verificare alla nascita di un figlio in più, u fenomeno ben noto agli studiosi, ma stranament ignorato dai policy makers nostrani.
È noto come nel nostro paese, a differenza dela maggioranza dei paesi europei, la questione del costo dei figli non abbia ancora trovato forme di ri-conoscimento efficaci, nonostante negli ultimi anni siano stati fatti alcuni passi in questa direzione.

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