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INCONTRI
INTERNAZIONALI
DI CASTIGLIONCELLO

il bambino sconfinato

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L'Unità on line      13.5.2002

UNICITTÀ Toscana Livorno

Le mille sfaccetature di un bambino sconfinato disegnate dal convegno di Castiglioncello

di Francesco Ceccarelli

ROSIGNANO (Livorno). Non è mai stato tanto difficile e faticoso essere bambini come oggi, storditi da una scuola pubblica a cui il governo Berlusconi, con i suoi malriusciti tentativi di riforma vuol togliere un'identità laica e pluralista, gonfiati da un'overdose di informazioni, bombardati dalle ambizioni dei genitori. Oppure ridotti nella situazione opposta, quando le condizioni di povertà materiale, anche in Italia, portano ad una progressiva esclusione dal gruppo delle amicizie e, a lungo termine, allontanano dalle possibilità di riscatto sociale e di un'istruzione prolungata nel tempo. Non è facile essere personalità in formazione, futuri adulti, neppure in Italia.

La dimostrazione è arrivata dalla quattordicesima edizione degli incontri internazionali appena conclusi a Castiglioncello, promossi dal Comune di Rosignano Marittimo, dal Coordinamento dei Genitori Democratici, dall'Unicef, insieme a Regione Toscana, Provincia di Livorno e altri enti locali e intitolata proprio "Il bambino s-confinato", quasi a sottolineare la difficoltà di ricondurre ad un'unica idea la condizione di ragazzino. Tre giorni di discussione, di gruppi di lavoro, di confronto nel convegno che da sempre ha anticipato la discussione di pedagogisti e studiosi sul mondo dell'infanzia.

Da Castiglioncello, negli anni scorsi, ad esempio, è passato il bambino tecnologico, abilissimo nel confrontarsi e nell'usare le nuove tecnologie. Un tema attuale, ma che anni fa a qualcuno apparve azzardato. Oggi il bambino sfugge a ogni definizione. O meglio, a testimonianza della pluralità che regna in ogni aspetto della vita quotidiana ne sono possibili più di una, senza che abbiano limiti ben definiti. A partire dall'età: lavoratori a sei anni nei numerosi sud del mondo o trentenni irresponsabili, beati e disoccupati (se pagano i genitori) addirittura per scelta. Di fronte al nuovo millennio, un primo confine ha, purtroppo, il sapore del già visto ed è rappresentato dal dualismo tra povertà materiale e ricchezza.

Angela Nava, presidentessa del Coordinamento genitori democratici, ha sottolineato che la mancanza di possibilità materiali in Italia è più diffusa di quanto lasci pensare la visione da paese del bengodi che il governo di centro destra vuole accreditare. Nel Duemila, nel nostro paese, rientravano nei parametri di povertà 2 milioni di bambini, pari al 16,9 per cento del totale. Un numero che potrebbe salire, se cadranno altri diritti, come l'articolo 18. Le occupazioni con redditi bassi "spesso non sono garantite, né garantiscono dalla povertà", ha commentato Chiara Saraceno. Del resto, in Italia, le politiche a sostegno delle famiglie con figli, e magari pochi soldi, si perdono sempre nelle solite sabbie mobili del contributo a coppie sposate, meglio se con matrimonio religioso e davanti ad altri ostacoli, puramente morali. "A differenza della maggioranza dei paesi europei, dove la questione del costo dei figli ha trovato forme di riconoscimento efficaci", ha aggiunto la Saraceno.

Altro punto interrogativo sulla scuola, apparsa - ha ricordato Dario Missaglia - "stordita, disorientata", dopo l'annuncio della controriforma voluta dal ministro Moratti. Tali sono gli insegnanti, ma anche gli studenti, ai quali non arrivano i segnali di apertura verso tutto ciò che è diverso, per cultura, religione, provenienza geografica. Anzi, è vero il contrario. Secondo un'indagine condotta dallo psicoantropologo Massimo Cicogna su 2500 ragazzi dai 7 ai 16 anni, il 38 per cento degli intrervistati dichiara che non vorrebbe in classe studenti stranieri, sinonimo di extracomunitari. Un dato che stride con il continuo aumento di scolari provenienti da tutto il mondo. Come invertire la tendenza, allora? Con un salto di qualità, perché non basta più aprirsi all'esteriorità dell'altro, non è sufficiente conoscere cucina, usi e tradizioni esterne a quelle italiane per un'autentica integrazione. "Bisogna - ha sottolineato Anna Maria Rivera - mettersi reciprocamente nel punto di vista dell'altro, per potere scambiare e negoziare significati; scoprire il valore della dialettica analogia-differenza, per cui 'io avrei potuto essere l'altro' e 'io sono anche l'altro'. Riflessioni che il mondo della scuola deve porsi".

A questo punto è possibile tracciare un primo identikit del bambino d'inizio millennio, disegnato sulla scorta degli interventi agli Incontri internazionali di Castiglioncello. In Italia, come in Europa, corre il rischio di essere povero, di restare in tale situazione così a lungo da compromettere il suo futuro e da vanificare il possibile riscatto. La scuola - il ragionamento opposto vale per chi non è nato in Italia - non rispecchia in maniera adeguata la diversità di stili di vita, vorrebbe uniformarli tutti in una poltiglia incolore, riducendo al minimo la valorizzazione delle "diversità", come prevede la controriforma Moratti. Oppure è vero il contrario. Il bambino può trasformarsi in una sorta di piccolo genio; Mozart è diventato la pietra di paragone, quando "i genitori - ha ribadito Lella Ravasi Bellocchio - si perdono nell'illimitato, se vivono il confine non come qualcosa di sano, ma come una minaccia alla loro onnipotenza, non tollerano lo spazio separato e limitato del rapporto tra sé e il figlio". A questi padri e madri "onnipotenti - ha concluso - fanno da terribile specchio narcisistico bambini onnipotenti". Al prototipo del Mozart, a detta del semiologo Paolo Fabbri, si adatta bene la "pentecoste tecnologica", cioè la capacità di utilizzare e conoscere le nuove tecnologie e il saperle o poterle usare o meno diventa un altro discrimine, proprio come l'avere più o meno denaro. Il lato positivo è l'entrare in contatto con la "globalizzazione nel senso letterale", parole di Angela Nava, cioè con tutto ciò che accade nel mondo; il negativo è che, sul versante del linguaggio, corrisponde un modo d'esprimersi "uniformante e uniformato", ha ribadito Paolo Fabbri. Se la scuola stenta ad adeguarsi al bambino sconfinato, anche gli adulti non sanno gestirsi meglio. Devono trasformarsi in "traghettatori" verso l'età adulta o in semplici "doganieri" che ripetono in modo automatico ciò che è permesso e ciò che non lo è, affidandosi a compendi di convenzioni? Qui può entrare in gioco il Peter Pan, l'adulto che vuole restare bambino, che fugge da ogni responsabilità e che, a sentire gli interventi, diventa una figura simile al piccolo genio, una distorsione dell'essere bambino che ai relatori non piace.

Davanti alle mille domande emergono, invece, alcuni numeri. Non si riferiscono a piccoli geni o a trentenni viziati come adolescenti, ma ai bambini morti in guerra. Le cifre sono state fornite da Angela Nava: 2 milioni di bambini morti negli ultimi dieci anni nelle guerre combattute nel mondo, 300 mila impegnati nei conflitti in corso, come soldati, 6 milioni gli invalidi, un milione gli orfani e 20 milioni i senzatetto, i rifugiati e gli invalidi. I primi confini dovrebbero blindare questi numeri fino a cancellarli. Ma il desiderio, per i bambini soldato, deve essere esaudito dagli adulti.

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