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“Il diritto all’educazione dei bambini più piccoli: tempi, luoghi, responsabilità”
Roma 20 dicembre 2005

intervento di Valerio Tagliaferri,
Referente per la Lombardia del Coordinamento Genitori Democratici

1. Sono venuto a questo Convegno con il treno. Mi piace partire da una riflessione “ferroviaria”.
In questi giorni è in corso una mobilitazione di massa e pacifica in Val di Susa contro il treno ad alta velocità; è una manifestazione che merita rispetto e attenzione. Io non so bene (e qualcuno eventualmente poi mi spiegherà) se sia meglio fare buchi nelle montagne per far passare treni superveloci; oppure sia meglio coprire le montagne con autostrade e trasporti su gomma.
Ma quella mobilitazione ci costringe ad affrontare almeno due questioni:      
A. forse non è sempre necessario essere superveloci; forse la velocità non equivale a utilizzo razionale delle risorse; forse l'avvenire dell'umanità non è nella velocità e nell'altra idea ad essa collegata, la competizione;
B. nelle decisioni importanti, dalle quali dipende il presente e il futuro di tante persone,  è necessario un di più di discussione, di ascolto, di riflessione, di democrazia.

2. Se il Ministro Moratti, all'inizio del suo incarico, avesse detto che la Sinistra aveva sbagliato, che la Destra aveva un progetto alternativo e migliore, e che avrebbe avviato un'ampia consultazione per cambiare le cose, forse questo Paese avrebbe fatto un passo in avanti nella direzione di una normale dialettica democratica.
Ma il Ministro ha fatto altro: ha detto che si doveva immediatamente azzerare tutto quello che era già stato fatto dalla Sinistra, che si doveva fare “punto e a capo”. Nessuna consultazione pubblica; il progetto del Prof. Bertagna e (dopo gestazione tutta interna, talvolta zigzagante) i Decreti Ministeriali attuativi. I risultati li stiamo vivendo.
C'è almeno una coppia di idee alla base del Moratti-pensiero, che non condividiamo:
A. l'educazione dei figli è un bene a richiesta individuale (delle famiglie) e non un interesse della collettività.
B. In un mondo competitivo, i figli devono sbrigarsi a crescere e devono essere precocemente avviati a prove impegnative (la competizione, appunto).
Naturalmente in queste posizioni c'è anche un fine strumentale: se in Italia abbiamo pochi Nidi (7 posti per cento bimbi) e molte (?) Scuole dell'infanzia (oltre il 90% dei bimbi hanno un'esperienza pre-scolare), uno “slittamento” in avanti può risolvere il problema delle liste di attesa.

3. Naturalmente c'è il rischio che i Genitori si accorgano della differenza nel numero di Operatori e, in genere, delle risorse destinate ai loro figli.
Per questo sono stati usati “politicamente” certi sentimenti narcisistici dei genitori: “il figlio è tuo, è tua proprietà (di genitore) ed è migliore dei figli degli altri; insegnagli presto la competizione, e vedrai che diventerà un grande imprenditore”.
Sulle istruzioni per l'uso, all'epoca, non era scritto che avrebbe anche potuto diventare un “furbetto del quartierino” (ma oggi è più evidente).
I Genitori però, anche se non sono sempre consapevoli del loro ruolo, anche se non firmano un contratto di lavoro e non timbrano un cartellino, istintivamente sono sempre in qualche modo conservatori; quando capiscono che dietro a certe innovazioni possono esserci trappole, allora reagiscono.
In questi anni hanno reagito ripetutamente. Ad esempio, in gran parte hanno rifiutato la prospettiva dell'anticipo. Hanno rifiutato di far crescere figli “superveloci”. In maggioranza hanno deciso di rispettare i tempi e i ritmi dello sviluppo cognitivo ed emotivo. Hanno chiesto risorse adeguate.
La Prof.ssa Mantovani, questa mattina, ricordava la ribellione delle Mamme di Milano, di fronte alla prospettiva dei micronidi improvvisati e inadeguati, di cui la Stampa ha dato notizia (vedi la Repubblica, edizione di Milano, del 27 novembre scorso).

4. Ho usato prima un interrogativo, a proposito dell'abbondanza di scuole dell'infanzia. A parte il rilievo della componente privata, mi riferivo a un altro fatto: se è vero che la maggioranza dei bambini ha un'esperienza di Scuola materna, è anche vero che vi sono liste d'attesa crescenti in questo settore. Probabilmente, altro è avere l'esperienza di un anno; altro è poter fruire dell'esperienza di personale qualificato per due o tre anni.
E' stato già ricordato che siamo assai distanti dagli standard previsti per il 2010 dalla UE per i nidi (da 7 posti per cento bambini, a 30 per cento). E i costi sono elevati: 600 € è il costo di un posto-nido a Milano. Per avvicinarsi (in parte) all'obiettivo, sono indispensabili grandi investimenti e un forte intervento dello Stato. “Forte intervento dello Stato” non significa riportare tutto al centro, anche se vi è un problema di sviluppo solidale del Paese.
Questo Paese ha bisogno di una istruzione di massa, di un maggior numero di bambini nei nidi con un'adeguata educazione da parte di personale addestrato, capace di far crescere i bambini e, insieme, i loro genitori. Perché i Genitori crescono anch'essi, a contatto di strutture qualificate.

5. E un Paese moderno non si può permettere squilibri eccessivi al suo interno: né sotto l'aspetto del divario crescente tra ricchi e poveri (come sta avvenendo); né per l'altra divaricazione che si sta verificando, tra regioni ricche e regioni povere.
Non possiamo permetterci aree e settori arretrati, con tutti i problemi di dipendenza, di sottosviluppo, di crescita di fenomeni malavitosi e di marginalità (anche se, per fortuna, nella Società civile sembrano svilupparsi anche anticorpi – vedi l'esempio positivo dei Giovani di Locri).
Forte intervento dello Stato” non significa neanche gestione diretta dei Nidi. Anche se siamo perplessi di fronte all'affidamento dell'istruzione alle leggi di mercato (vedi Direttiva Bolkestein), non escludiamo pregiudizialmente un ruolo di rilievo anche per i Privati.
Anzi, in una situazione quantitativamente arretrata come la nostra (per i Nidi), molto può essere affidato ai Privati, a un patto: che si sappiano elaborare standard (Stato e Regioni) e che si ponga cura nel farli rispettare (Regioni e Comuni).
Non credo che oggi, in Italia, non sia chiaro che cosa è un asilo di qualità: i nostri asili sono portati ad esempio nel Mondo!

6. Sulla capacità di far rispettare le leggi e gli standard potrebbero esserci problemi. E qui mi permetto di formulare qualche proposta.
Da un lato, si tratta di differenziare e chiarire l'offerta. “Differenziare” non significa progettare asili di serie A e di serie B, ma ampliare e diversificare l'offerta alle famiglie che, in una società complessa, presentano esigenze divergenti.
Forse un'infermiera che fa il turno di notte (single, senza i “nonni” disponibili) non vuole il Nido-base, ma chiede orari flessibili di assistenza.
Forse una coppia con nonni disponibili non chiede il nido tradizionale, ma uno spazio-gioco per le prime esperienze di socializzazione.
Naturalmente la “differenziazione” non deve essere improvvisazione, né inganno. Bisogna chiarire fin dal principio che servizio si propone al Genitore, in modo che l'offerta incontri correttamente le aspettative dell'”utente”.

7. L'altra proposta è quella di non considerare il Genitore come semplice Utente, ma come co-educatore; bisognoso sì di aiuto da parte di Educatori professionali - molte famiglie, ormai, hanno un solo figlio, e spesso non  possono fare riferimento all'esperienza delle generazioni precedenti.
Ma a questo co-educatore deve essere riconosciuto il ruolo specifico, ed egli deve essere consapevole delle proprie responsabilità e della propria funzione biologica e sociale.
In altre parole è necessario, oggi più di ieri (o in forme nuove, rispetto a ieri) costruire un rapporto stretto e diretto tra Genitori e Maestre. Ed è indispensabile rilanciare la gestione partecipata a queste strutture; offrire ai genitori momenti di riflessione comune sulla propria esperienza; valorizzare un ruolo di “controllo-condiviso” sulla crescita del bambino.

8. Un'ultima osservazione e un invito. Nelle ricerche effettuate in questi giorni mi sono imbattuto in una ricerca dell'Eurispes che riportava questa osservazione (negativa). Un certo numero di bambini (un quarto circa) non ascolta favole dai propri genitori.
Non è specificato se questa percentuale sia maggiore o minore che nel passato. Ma è possibile che questi bambini non abbiano sufficiente dialogo con i Genitori; che la creatività dei bambini non sia adeguatamente stimolata e sostenuta; che essi non imparino a distinguere, col tempo, tra realtà e fantasia e possano cadere più facilmente negli inganni della realtà virtuale (TV e altro) e di chi propina false promesse.
Quello che è certo, è che quei Genitori perdono un'occasione essenziale per imparare ad essere genitori, osservando come i bambini reagiscono all'ascolto delle fiabe. Forse occorre insegnare ai Genitori l'importanza delle fiabe; bisogna moltiplicare i corsi e le esperienze di lettura di fiabe tra i Genitori.