|
Per gentile concessione della
rivista "Insegnare"pubblichiamo la seguente intervista

Il primato educativo:
alla famiglia o alla scuola?
Intervista
ad Angela Nava (a cura di Barbara Accetta)
Si è
tenuta a Roma l’8 ottobre scorso, nella sala convegni della Direzione
scolastica regionale per il Lazio, la prima giornata europea dei genitori
e della scuola, promossa dall’Epa (European Parents Association) con l’obiettivo
di rafforzare, o aiutare a costruire, un’alleanza, una collaborazione
tra genitori e scuola capace di instaurare una tradizione di buone pratiche,
per realizzare, cioè quel partenariato (partnership) educativo
con gli insegnanti - da sempre obiettivo privilegiato dell’associazionismo
dei genitori - che mettendo al centro il bambino /a il suo benessere,
la sua crescita serena ed equilibrata, costituisce il miglior fattore
per il successo formativo.
Una
giornata carica di grandi attese per le associazioni storiche dei genitori
- Age (Associazione genitori), Agesc (Associazione genitori scuole cattoliche)
e Cgd (Coordinamento genitori democratici) - che però sono state
"scavalcate": è stato infatti chiesto loro di fare "un
passo indietro", perché il ministero delI’Istruzione, gestendo
in proprio tutta l’organizzazione della giornata, l’ha voluta trasformare
in un evento mediatico rituale, scontato e, soprattutto, non corrispondente
alla diffusa realtà dei rapporti tra genitori e scuola.
Una
mattinata al chiuso, gestita in prima persona dall’on. Mariolina Moioli,
consigliere del ministro, in cui nulla è stato lasciato al caso
o alla spontanea partecipazione del pubblico: un pubblico d’altra parte
accuratamente selezionato e tenuto sotto controllo per timore di interventi
non allineati e di performance non gradite. Forse per questo motivo non
sono state invitate né le sovversive associazioni professionali
dei docenti, né i sindacati scuola, né le associazioni degli
studenti; forse per questo nessuno dei dirigenti nazionali delle associazioni
dei genitori presenti ha potuto parlare, tranne il presidente dell’Age,
in quanto coordinatore del Forum delle associazioni costituito presso
il ministero; forse per questo la traduzione in italiano degli interventi
dei parlamentari europei presenti è stata così carente da
risultare, almeno in un caso scandalosa.
Il
ministro francese Rocard, infatti, in un chiarissimo e competente intervento
ha ripetutamente sottolineato l’importanza di investire nella "scuola
pubblica", di prestare particolare attenzione alla "scuola di
tutti", di favorire, soprattutto nell’"istruzione pubblica",
il rapporto, la relazione di partenariato tra insegnanti e genitori. Ebbene,
la traduzione ha volutamente ignorato, anzi, censurato tutti i riferimenti
al carattere pubblico dell’istruzione, adeguandosi perfettamente alla
linea del ministero che volendo presentare esperienze di collaborazione
scuola-famiglia non ha trovato di meglio che proporne una delle Orsoline!
L’intervento
del ministro non si è discostato dalla sapiente regia, tutta tesa
a dare il massimo risalto all’apparenza, senza un vero contatto con la
variegata realtà della scuola reale, nessun riferimento ai suoi
problemi concreti, insomma una melassa di buonismo d’accatto e la riproposizione
di esperienze datate, trite e ritrite, o, come detto, di scuole private,
di tendenza. In conclusione, poi, si sono proprio dati i numeri (!): sono
stati, infatti resi noti alcuni dati sulla realtà di Palermo relativi
ad un sensibile calo della dispersione scolastica, frutto di un programmato
e documentabile intervento contro il fenomeno degli abbandoni nella scuola
pubblica dell’obbligo, messo in atto dalla precedente amministrazione,
spacciandoli come il risultato di un intervento di recente collaborazione
scuola-famiglia.
Più
volte è riecheggiato il discorso del primato della famiglia nell’educazione,
che è ovviamente cosa ben diversa da quella corresponsabilità
educativa che il partenariato sottintende.
Anche
per questo, e per approfondire il tema della partnership, ci è
sembrato utile parlarne con Angela Nava, presidente dell’unica associazione
nazionale laica dei genitori, il Cgd, Coordinamento genitori democratici.
Quella
che segue è la sintesi di una piacevole conversazione e l’inizio
di un dialogo, di un confronto su una questione di grande rilievo: la
corresponsabilità educativa, nell’interesse delle bambine e dei
bambini, delle ragazze e dei ragazzi, che hanno diritto ad avere adulti
che , pur nella specificità dei rispettivi ruoli di genitori e
di docenti, siano solidali tra loro - anche se non necessariamente sempre
d’accordo - perché non esiste una bambina o un bambino casalingo
e una bambina o un bambino scolastico, esiste un’unica bambina, un unico
bambino che deve essere da tutti aiutato a crescere.
Per
prima cosa abbiamo chiesto ad Angela Nava di dirci cosa pensa l’associazionismo
laico dei genitori del primato educativo della famiglia, il modo cioè
che il ministro Moratti ha di intendere il rapporto dei genitori con la
scuola e che si appresta a far passare anche nella scuola pubblica.
Nava.
Sono convinta che il primato educativo della famiglia sia l’elemento portante,
il vero nodo concettuale che è sotteso alle scelte dell’attuale
ministero dell’Istruzione. Come associazione laica di genitori (l’unica
in Italia), non è stato difficile resistere alle "lusinghe"di
un linguaggio normativo (penso alla figura del "genitore garante"del
Consiglio dell’utenza o alla presenza maggioritaria della componente genitori
nella nuova proposta di Organi Collegiali) che blandisce il desiderio
di protagonismo dei genitori, perché abbiamo individuato in questo
nodo, l’elemento portante di politiche reazionarie che, basando su questa
concezione della famiglia, la pongono come società naturale che
viene prima ed è al di sopra sia dell’affermazione dell’individuo,
da una parte, sia dall’affermazione dello Stato, dall’altra. Vale la pena
di sottolineare la sfumatura linguistica che preferisce usare il termine
"famiglia" a quella di "genitori" in una apparente
neutralità e scambievolezza. La famiglia, così come la conosciamo,
è un prodotto storico recente: allontanandosi dalle ragioni culturali
e sociali che l’hanno determinata, essa diventa sistema chiuso, che ammette
nei suoi schemi solo le situazioni "normali" e socialmente accettate.
Paliamo
ora della partecipazione dei genitori, che - come ormai è dimostrato
- costituisce un fattore determinante per il successo formativo: questo
significa che compito della scuola è "soddisfare le richieste
delle famiglie", come afferma il ministro Moratti.
Se da
una parte è evidente evincere una consapevolezza europea, e non
solo, diffusa secondo cui la scuola da sola non può farcela ad
adempiere ad una delega sociale sul versante dell’educazione onnicomprensiva,
come la complessità dell’oggi sembra richiedere, c’è dall’altra,
il sentore di un’arretratezza del pensiero della sinistra di fronte ad
un tema come quello della famiglia.
In questo
modo si apre un varco al pensiero - questo sì più robusto
e articolato nel tempo - del mondo cattolico su questo tema e soprattutto
si consente a un’interpretazione liberistica di intendere il genitore,
chiamato non nei suoi ruoli e responsabilità definiti, ma come
cliente il cui livello di soddisfazione è fondamentale all’impresa.
Non si negoziano, pertanto, senso e significati con la società
civile, ma si chiede che senso e significato vengano di volta in volta
attribuiti a coloro che detengono non solo la patria potestà, ma
un più forte diritto di proprietà sul minore.
Tutto
così si legittima: perché il genitore non dovrebbe chiedere
il tipo di scuola che ha un segno educativo fortemente simile al suo progetto?
Mi sembra che l’erosione del principio di cittadinanza nasca dall’acquiescenza
a questa cultura diffusa alla quale non basta più rispondere che
"pubblico è bello".
Proprio
tu hai recentemente affermato:"il genitore che affida il figlio alla
scuola pubblica rinuncia implicitamente a una sorta di individualismo
proprietario; accetta invece il terreno della contaminazione". Un
pensiero di grande efficacia, sicuramente condivisibile; ma che cosa comporta
questo sul piano delle scelte educative?
Credo
che, nonostante tutto, ci sia in Italia una cultura radicata nell’immaginario
collettivo in relazione alla scuola pubblica. Sono convinta, infatti,
che ci siano dei gesti rituali, ma fortemente simbolici, su cui non sempre
riflettiamo a sufficienza: penso all’atto di affidare il proprio figlio
per la prima volta alla scuola. Non è solo distacco, è anche
implicita accettazione del confronto con gli altri, adulti, bambine e
bambini. Un’accettazione delle differenze, una preparazione, l’unica possibile,
per il mondo che è plurale. Nessun genitore può, neppure
in un delirio di onnipotenza, pensare il proprio figlio come un clone
di sè. Peraltro solo se si è convinti che il figlio non
è una delle tante proprietà personali, ma un individuo altro
da sé, con il quale è complesso, difficile, intessere un
rapporto, solo in questo caso prende autonomia, con problematiche specifiche,
la figura del genitore. L’incontro con gli altri, con tutti gli altri,
nelle loro necessarie differenze, è garantito solo dalla scuola
pubblica, quella che ancora oggi risponde al dettato costituzionale.
In
questo senso parliamo quindi di partnership educativa: un modo più
proprio di intendere il rapporto dei genitori con la scuola, da anni già
affermato in alcuni Paesi europei. In Italia a che punto siamo?
Già
l’Ocse nel 1999 aveva sottolineato l’importanza della partnership educativa
(contrapposta al potere parentale, rischio però ricorrente quando
non siano chiare le differenze di ruolo) come indicatore di qualità
per la scuola. In Italia siamo fermi alla democrazia formale degli Organi
collegiali che, se ha aperto le porte della scuola a nuovi attori, non
sempre li ha legittimati. Dei loro limiti siamo tutti consapevoli nell’attesa
ormai messianica della nuova legge. In realtà, senza forzature
populistiche, più consone allo sfondo neoliberista che oggi si
profila, andrebbe ripresa l’idea del "contratto formativo" (contratto
e non patto) che docenti e genitori potrebbero sottoscrivere all’inizio
del percorso negoziando informazioni e stili educativi.
Ricordandoci
però che quello del genitore è un percorso simile a un percorso
di apprendimento e che la scuola pubblica in materia di processi di apprendimento
ha grandi competenze. E‘ possibile coinvolgere i genitori in un processo
educativo insieme ai loro figli?
Termina
qui la nostra chiacchierata con Angela Nava, in maniera problematica e
aperta a futuri, ulteriori approfondimenti; nel ringraziare per la sua
disponibilità la presidente del Cgd, ci auguriamo che molti dei
nostri lettori interessati, sappiano e vogliano contribuire a questo dibattito
con suggerimenti, proposte, domande.
© insegnare
|