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INCONTRI
INTERNAZIONALI
DI CASTIGLIONCELLO

sedicesima edizione

alle relazionirelazioni

il bambino irreale

L’educazione interculturale: un’utopia possibile e necessaria

Graziella Favaro
 

1. Educare in contesti multiculturali

Qualunque siano i motivi che li causano e le forme attraverso cui si manifestano, gli incontri interculturali fanno oggi e faranno sempre di più parte del nostro ambiente educativo,sociale, linguistico, economico, informativo, culturale... Essi sono parte della complessità e molteplicità degli itinerari di sviluppo degli individui, che sono esposti alla comunicazione e alla “contaminazione” reciproca,nei confronti di quelle culture - altrettanto originali e complesse quanto la propria - che sono rappresentate dagli altri individui.

Sempre di più quindi l'identità di ciascuno deve essere intesa come plurale e multiforme, costruita e nutrita da molteplici appartenenze: nazionali, locali, familiari, professionali, di genere, linguistiche, religiose, culturali... Il gioco dei riconoscimenti reciproci, in se stesso e negli altri, può far emergere nuove idee di collettività e di cittadinanza e liberare gli individui, sia da appartenenze arcaiche e imposte, sia dalla perdita della propria storia.

Compito del lavoro educativo nella società complessa è quello di considerare come situazione ordinaria e come risorsa formativa il fatto che sempre di meno le relazioni e le interazioni fra individui, come pure la loro appartenenza a comunità o a identità collettive, sono regolate dalla vicinanza o lontananza spaziale e che sempre di più le differenze (lontane o vicine) sono componenti della quotidianità.

La formazione all'intercultura è dunque una dimensione irrinunciabile dell'educazione dei piccoli, degli adulti, delle comunità e dei percorsi di aggiornamento degli operatori. Imparare a stabilire e a gestire le relazioni e gli incontri con le differenze introdotte negli spazi di vita da chi è (ancora) lontano e da chi ci vive accanto: è questo il primo compito dell' intercultura. Per fare questo, è necessario agire su due livelli: quello cognitivo e dell'informazione e quello affettivo, delle rappresentazioni reciproche e delle emozioni. Lo sviluppo del piano cognitivo consente di avere più informazioni sul mondo, sugli altri e su noi stessi. Ci descrive le pratiche culturali, ne spiega il significato e il senso e può rendere gli altri (e noi stessi agli altri) più intellegibili. Ma l'apertura cognitiva è il primo passo, la condizione necessaria, ma non sufficiente, affinché possano stabilirsi relazioni e incontri basati sul reciproco scambio. È importante che, accanto alla dimensione cognitiva, si sviluppino le capacità di approssimarsi agli altri, di apertura e mantenimento dei contatti, la capacità di gestire negoziazioni e conflitti, di tollerare l'incertezza, mettendosi per un po' nei panni degli altri, per cercare di vedere le cose da punti di vista differenti.

L'intercultura si deve inoltre oggi situare e definire in funzione degli ambiti nei quali gli scambi si manifestano: nei luoghi di vita, nel lavoro, nei servizi sociali e sanitari, nei servizi educativi e scolastici. In queste diverse situazioni, le persone che si incontrano e gli operatori che svolgono il loro ruolo professionale si trovano a quotidianamente dover fare i conti con scelte, gesti, atteggiamenti che devono tener conto, sia delle diverse origini culturali e linguistiche e delle appartenenze plurali, sia dei diritti e dei doveri di ciascun uomo, donna e bambino, qualunque sia la loro storia e dovunque si collochino le loro origini.

In questo contributo ripercorriamo il tema dell'educazione interculturale riferita soprattutto al mondo dell'educazione, luoghi nei quali vi è da tempo la consapevolezza della necessità di una formazione all'intercultura che risponda alle esigenze di chi vive, cresce e apprende in situazioni sempre più multiculturali.

2. Alcune semplificazioni e molti dubbi

Fin dal primo momento, agli inizi degli anni Novanta, quando nella scuola italiana cominciarono a entrare i bambini e i ragazzi immigrati, fu subito chiaro agli insegnanti che tali presenze dicevano loro molte cose insieme.

Parlavano i volti, i colori della pelle, i silenzi, il linguaggio non verbale, le frasi in lingue incomprensibili. Gli alunni stranieri, oltre a esprimere le loro incapacità comunicative e i loro bisogni linguistici, erano evocatori di stati d'animo, idee note o altre ancora incerte, storie personali e riferimenti culturali collocabili all'interno di matrici di senso differenti.

La preoccupazione per un problema didattico in più si mescolava (e si mescola) ad atteggiamenti di ricerca e attenzione mirata, a curiosità verso vissuti, accenti, “oggetti culturali” a volte opachi e indecifrabili, a incertezze e disorientamenti nei confronti di identità che si formano tra il qui e l'altrove. E quanto accadeva allora ad ancora pochi insegnanti e educatori, per lo più nelle città medio/grandi, si ripete oggi per la gran parte e dovunque. L'incontro con le differenze linguistiche, religiose, somatiche, culturali è diventato, non più un fatto sporadico e casuale, ma un “ingrediente” normale e quotidiano degli spazi educativi, della scuola, dei luoghi di aggregazione, dei servizi sociali e sanitari, dei reparti maternità degli ospedali.

E i dati lo confermano. Ogni anno entrano nella scuola italiana più di 50.000 “nuovi” alunni, mentre i nati di nazionalità straniera rappresentano in alcune città il 15-20% dei bambini che annualmente vengono al mondo.

La curiosità iniziale per le culture degli altri, che si è nel tempo trasformata in una pluralità delle attenzioni, costituisce dunque il nucleo iniziale della pedagogia interculturale. Non teorico, ma composto di pratiche scaturite dagli interrogativi, dalle incertezze sulle scelte e dunque dalla ricerca di percorsi didattici che potessero rispondere sia ai bisogni specifici, sia favorire l'incontro tra infanzie e adolescenze di qui e d'altrove.

Pratiche a volte eccessivamente “mirate” ispirate dalla volontà di tutela e protezione di chi si riteneva (e si ritiene) fragile e vulnerabile. Percorsi quindi che hanno avuto spesso carattere di specificità e di attenzione nei confronti di alcuni soggetti, e non di approccio pedagogico per tutti e con tutti gli alunni, come è invece nelle premesse teoriche e negli intendimenti.

Il cammino interculturale della scuola italiana, pur se non recentissimo, ha una storia abbastanza breve e ricostruibile a partire dalle indicazioni della normativa e dall'analisi dei materiali e dei progetti fin qui realizzati. Come è successo per altri temi, anche in questo caso, le innovazioni e le sperimentazioni più significative - riguardanti, ad esempio, l'accoglienza, l'educazione linguistica in un contesto plurilingue, la didattica interculturale - sono partite dal basso, dalla periferia. In solitudine o in gruppo, gli insegnanti “pionieri” hanno aperto la strada, sperimentato percorsi didattici e modelli organizzativi di tipo nuovo, agendo spesso negli “interstizi” della scuola. E talvolta, anche peccando un po' di ingenuità per troppo entusiasmo o per la necessità di contare su parole/chiave immediate, alle quali ancorarsi e riferirsi, che talvolta hanno comportato inevitabili semplificazioni.

La gestione educativa delle differenze presenti nelle scuole ne è un esempio. Tema centrale nell'educazione interculturale “da maneggiare con cura”, l'ambito delle differenze culturali è stato a volte trattato in maniera riduttiva. Due sono state (e sono ancora) le posizioni che tendono verso una semplificazione: l'una che possiamo definire “per sottrazione” e l'altra che procede “per addizione”. Nel primo caso, le differenze vengono rimosse e ignorate al fine di ricercare una radice comune: ciò che unisce tutti gli uomini e le culture (riferimento che viene individuato nei diritti universali dell'uomo). La soluzione universalista rischia tuttavia di mostrare i limiti dell'etnocentrismo e del giudizio di valore espresso sugli altri a partire da valori e riferimenti ritenuti validi per tutti.

L'altra soluzione prevede invece che le differenze e le culture vengano riconosciute e sommate tra loro - accostate, per così dire, e non messe in relazione - entro una cornice di regole procedurali di convivenza. Evidentemente qui il problema è, da un lato, quello di proporre una sorta di catalogo descrittivo (spesso folclorico) delle culture e, dall'altro, esso ha a che fare con la definizione della “cornice”, ovvero delle modalità attraverso cui stabilire e far rispettare le regole di convivenza. Due posizioni tra le altre, alle quali si sono spesso accompagnate alcune rigidità nella definizione di cultura - che pare sovradeterminare gli individui - e una rigidità nella definizione di identità, concepita come “maschera identitaria “definita una volta per tutte sulla base delle origini . E inoltre, le due posizioni tendono a ignorare o a non prendere in considerazione i rapporti di potere tra i gruppi e gli individui, le reciproche rappresentazioni, le etichette e gli stereotipi che segnano inevitabilmente le relazioni .

Di recente, con il consolidarsi delle esperienze e dei progetti e la diffusione degli incontri con le differenze nei luoghi di vita, alle parole e alle posizioni semplificate, si sono sempre più sostituiti i dubbi, le domande, i percorsi di ricerca, nel tentativo di superare visioni limitate e riduttive.

E i dubbi - su come “fare” didattica interculturale - sono diventati via via più delle certezze. A causa dei cambiamenti in atto, l'educazione interculturale - proposta pedagogica per tutte le scuole e non solo per le situazioni multiculturali di fatto, presente nella normativa già a partire dal 1990 (C.M. n° 205) - si coniuga sempre di più nei progetti e nella didattica con il tema dell'inserimento scolastico dei bambini e dei ragazzi che vengono da lontano e si indirizza verso l'attenzione alla complessità delle differenze e alle pari opportunità educative per tutti.

Il termine “intercultura” negli ultimi anni è scomparso dai documenti ufficiali del Ministero dell'Istruzione. Al suo posto si pongono temi che richiedono un'apertura interculturale, quale quello dei diritti dell'uomo, dell'educazione alla cittadinanza, della convivenza civile...

3. Per i piccoli, per i più grandi

Negli ultimi tempi sono stati compiuti dagli operatori sforzi notevoli per situare l'approccio interculturale, declinandolo sulla base della situazione educativa e dei soggetti coinvolti. Le finalità, gli obiettivi e le parole/chiave sono stati così considerati, nei progetti e nelle azioni, per adattarli ai protagonisti dell'incontro educativo, ai loro bisogni e alle loro storie.

Vediamo alcuni temi dei progetti interculturali suddividendoli per età degli alunni e ordine di scuola.

Nei servizi educativi per i più piccoli

L'educazione interculturale da zero a sei anni trova la sua applicazione nel cercare di costruire luoghi di incontro tra infanzie e genitorialità attenti all'accoglienza e alla storia di ciascun bambino. I temi che vengono maggiormente esplorati hanno a che fare con:

  • la relazione positiva con tutti i genitori, che si esprime anche attraverso l'attenzione alle modalità di cura dei bambini venuti da lontano e alla interazione adulto/bambino in contesti e culture diverse;
  • la narrazione di storie, fiabe e racconti di qui e d'altrove, che permettono - attraverso l'immersione nell'immaginario - di esplorare tempi e spazi diversi, di mettersi nei panni di personaggi differenti, di portare a galla e condividere emozioni e parole;
  • l'attenzione alla percezione delle differenze (somatiche, linguistiche, sociali...) da parte dei bambini e allo stabilirsi di una rappresentazione degli altri svalorizzante e stereotipata, per cercare di prevenire e di far declinare i pregiudizi dei bambini.

Nella scuola dell'obbligo

Nella scuola dell'obbligo si “fa” educazione interculturale collocando i progetti e le azioni soprattutto su tre dimensioni:

  • quella cognitiva e dei saperi
  • quella affettiva e delle relazioni
  • quella specifica e dell'accoglienza.

Le scuole che si muovono sulla dimensione cognitiva, possono proporre progetti di informazione e conoscenza sul mondo, i paesi e le culture; esplorano le differenze e le problematizzano, propongono temi sociali e di attualità. Rivedono - o integrano - i contenuti delle diverse discipline, inserendo temi nuovi, o che introducono punti di vista differenti su uno stesso evento.

Le scuole che approfondiscono il piano della relazione cercano di modificare gli atteggiamenti verso gli altri e le rappresentazioni reciproche, di prevenire o far declinare il livello di stereotipi e di pregiudizio, di favorire un clima di apertura e di scambio. Per fare questo, modificano e rivedono le modalità organizzative dello stare in classe, incentivano la scelta di metodologie partecipative e moltiplicano i momenti di relazione in classe a carattere cooperativo. Invitano gli alunni a mettersi nei panni degli altri, proponendo situazioni educative e didattiche di decentramento e di empatia.

Nelle scuole a forte carattere multiculturale, molti sono i progetti e le azioni che si indirizzano in particolare a specifici gruppi di alunni, come: i laboratori di apprendimento dell'italiano come seconda lingua, i laboratori di apprendimento/consolidamento delle lingue d'origine, le iniziative di accoglienza dei bambini e dei ragazzi che vengono da lontano.

Nella scuola superiore

Le tre dimensioni - cognitiva, affettiva e relazionale e specifica - esplorate nella scuola dell'obbligo, sono alla base della didattica interculturale realizzata anche nella scuola superiore. Soprattutto nel programma di alcune discipline, o in tempi extrascolastici e di laboratorio, si approfondiscono soprattutto temi, quali:

  • i linguaggi espressivi in culture diverse
  • la letteratura di paesi diversi
  • le forme del razzismo.

4. Punti di forza e nodi critici

Qualche anno dopo la diffusione dell'approccio pedagogico interculturale, è possibile tracciare un primo, parziale bilancio rispetto alla sua applicazione didattica? Quali sono le acquisizioni sedimentate e quali i limiti più evidenti ?

Possiamo dire in generale che l'educazione interculturale è stata ed è per la scuola e per gli insegnanti un'occasione importante per consolidare e vivificare alcune acquisizioni pedagogiche generali, quali:

  • l'attenzione congiunta agli aspetti cognitivi e informativi, da un lato e a quelli affettivi e relazionali, dall'altro;
  • la centralità dell'apprendente, che chiede di tener conto delle molte diversità e delle appartenenze plurali;
  • l'importanza di una pedagogia attiva e interattiva, che integra le necessità del decentramento, della considerazione del punto di vista differente, delle competenze comunicative e dell'ascolto attivo e creativo.

Se tali “pilastri pedagogici” generali vengono rivitalizzati e rivisti alla luce dell'approccio interculturale, anche il contesto in cui le azioni si realizzano e le modalità stesse di agire didatticamente l'intercultura, possono favorire l'innovazione e rendere vive e operative parole/chiave fin qui astrattamente considerate. Attraverso l'educazione interculturale la scuola e gli insegnanti hanno potuto infatti sperimentare e mettere in pratica:

  • la pedagogia del progetto e una modalità di lavoro cooperativa intorno a un obiettivo comune;
  • la metodologia della ricerca-azione;
  • lo sviluppo del partneriato all'interno del sistema scolastico e nei confronti dell'esterno;
  • lo scambio tra storie, saperi, riferimenti;
  • l'interdisciplinarità.

Oltre a queste acquisizioni e risultati attesi o inattesi, che consapevolmente o inconsapevolmente hanno accompagnato la pratica dell'interculturalità dentro la scuola, molti sono naturalmente i limiti di un approccio che ha ancora spesso il carattere della casualità e della estemporaneità, dello spontaneismo e della scelta individuale.

Vi sono innanzi tutto limiti di natura istituzionale, dato che ancora l'approccio interculturale tende a svilupparsi ai margini, nelle scuole plurietniche, nelle situazioni fortemente connotate dalla presenza di allievi stranieri. Solo negli ultimi anni la pedagogia interculturale ha fatto il suo ingresso nella formazione iniziale dei docenti e nei percorsi di studio a livello universitario. Per quanto riguarda il contesto nel quale le azioni si realizzano, vi sono talvolta logiche istituzionali diverse, messaggi contradditori che provengono dalla scuola e dal territorio e il progetto rischia di rappresentare un'isola sganciata dall'ambiente circostante, dalle sue chiusure, difese, intolleranze. Spesso i progetti interculturali risentono fortemente della mancanza di tempo da parte dei docenti per la programmazione, l'accompagnamento e la riflessione, la valutazione in itinere e finale e assumono quindi i caratteri della “militanza” non sempre condivisa.

Per quanto riguarda i contenuti e i temi trattati, si nota talvolta un'insistenza sugli aspetti antropologici e culturali e sulle culture d'origine, considerate nei loro aspetti tradizionali e di permanenza, e non in senso dinamico e di cambiamento. Si sottolineano inoltre nelle storie degli immigrati stranieri, grandi e piccoli, soprattutto il loro essere emigrati - cioè appartenenti e provenienti da un determinato paese e cultura - più che il loro essere immigrati, e quindi ancorati al qui e ora, coinvolti quotidianamente nelle relazioni che mutano e permeano profondamente identità e biografie da una parte e dall'altra.

In altri casi invece l'insistenza sull'universalità e sulle somiglianze - come se la scoperta delle prossimità potesse da sola favorire la comunicazione e lo scambio - traduce il timore e il rifiuto delle complessità e la negazione del senso e del valore dei riferimenti non condivisi.

In sintesi, alcuni nodi critici, cui già abbiamo fatto cenno illustrando le definizioni e le rappresentazione degli insegnanti, hanno a che fare con:

  • un approccio di tipo culturalista, che presenta le altre culture come immobili, fissate nel tempo, rigide e reificate;
  • un approccio differenzialista, che sottolinea, nell'incontro educativo, soprattutto le differenze e procede sulla base di confronti e paragoni fra “noi” e gli “altri”, anziché esplorare le innumerevoli analogie che segnano le storie di vita di ciascuno, qualunque sia la sua origine;
  • un'enfasi sull'identità “etnica”, che considera gli individui (soprattutto chi viene da lontano) ostaggi delle loro origini, e non immersi, come tutti, nei percorsi di individuazione e di sviluppo, che si nutrono di scambi, reciprocità, cambiamenti;
  • un approccio di tipo compensativo, che si rivolge in maniera specifica a determinati soggetti (gli alunni stranieri) con l'intenzione di colmare lacune, di riempire vuoti, considerando chi viene da lontano una tabula rasa e considerando la situazione multiculturale della classe un'eccezione da ridurre a norma;
  • un approccio di tipo “doverista” e predicatorio, che si richiama a valori e scelte ideali e forti, ma in maniera debole e poco efficace.

E infine, a proposito di educazione interculturale, le parole e i termini che ad essa si riferiscono sono ancora spesso usati in maniera incerta e ambigua; così ricorrono nei discorsi “multiculturale, multiculturalismo, pluralismo....” come fossero sinonimi o facce della stessa medaglia. Quando invece dovrebbe essere acquisito che il prefisso “inter” sta a indicare la centralità, non tanto delle singole culture e delle differenze, ma delle relazioni e interazioni tra gruppi, individui, identità. Dal momento che l'intercultura si fonda su una filosofia del soggetto, libero e responsabile, che fa parte di una comunità di simili che è eterogenea poiché l'eterogeneità rappresenta oggi la situazione normale entro cui la storia di ciascuno di noi si tessono e si intrecciano con le altre storie.

In generale, si può affermare che le pratiche e i progetti interculturali hanno finora agito più negli interstizi che nell'impianto complessivo della pedagogia e della didattica, producendo risultati positivi rispetto alla necessità della conoscenza reciproca, alla consapevolezza riguardante i temi dell'identità, della relazione, dello scambio. Forse sono stati in grado di agire con meno incisività sull'impianto disciplinare complessivo, sull'innovazione metodologica dell'insegnamento/apprendimento per tutti e per ciascuno e sul modello organizzativo della scuola.

5. Educare alla comprensione

La storia dell'idea interculturale e la descrizione della sua applicazione nelle pratiche educative in Italia ci ha consentito di tracciarne l'evoluzione e di individuarne alcuni nodi critici.

La pedagogia interculturale, nella sua accezione più forte, viene a coincidere di fatto con la missione stessa della scuola e dei servizi educativi nel tempo della pluralità. Missione che presuppone, per dirla con E. Morin, “arte, fiducia e amore e che cerca di:

  • fornire una cultura che permetta di distinguere, contestualizzare, globalizzare, affrontare i problemi multidimensionali;
  • preparare le menti ad affrontare le incertezze, scommettendo per un mondo migliore;
  • educare alla comprensione e alla relazione fra vicini e lontani;
  • insegnare l'affiliazione al proprio Paese e all'Europa, alla sua storia e alla sua cultura;
  • insegnare la cittadinanza terrestre nella sua unità antropologica e nelle sue diversità individuali e culturali”.

Se questo può costituire una sorta di manifesto dell'interculturalità, un progetto per tutti i bambini e i ragazzi - autoctoni e immigrati - esso può diventare operativo e svilupparsi attraverso azioni e attenzioni molteplici che devono favorire:

  • l'integrazione di chi viene da lontano, attraverso dispositivi e risorse in grado di sostenere un'accoglienza competente e di qualità e di garantire opportunità equivalenti a tutti gli alunni (strumenti plurilingue docenti aggiuntivi, formazione degli insegnanti, elaborazione di materiali didattici innovativi, modelli organizzativi in grado di rispondere ai nuovi bisogni...);
  • l'educazione linguistica in un contesto plurilingue, che richiede nuove consapevolezze didattiche e la capacità di considerare il proprio codice, sia come oggetto, sia come veicolo di apprendimento (italiano come seconda lingua per comunicare e per studiare) e che richiede anche di considerare la situazione plurilingue (composta di codici diversi, scritti e orali) come un arricchimento e una chance per tutti, e non come un ostacolo all'apprendimento;
  • strategie di intervento contro pregiudizi e stereotipi, in grado di rintracciare e di comprendere, le basi dei pregiudizi (semplificazione della realtà dal punto di vista cognitivo; bisogno di appartenenza che spinge a riconoscersi nei gruppi dei simili e ad avversare chi è diverso; relazioni interetniche conflittuali e rappresentazione “irrigidita” dell'altro) per poter agire su di esse sia sul piano cognitivo e delle informazioni sul mondo, sia sul piano dell'affettività e della relazione;
  • l'incontro, il confronto e lo scambio tra infanzie, adolescenze e storie diverse, creando luoghi “buoni” di aggregazione nel tempo scolastico ed extrascolastico, nel quartiere e nelle città. Luoghi nei quali ciascun bambino e ragazzo può stabilire relazioni, amicizie e legami sulla base del suo essere “qui e ora”, dei suoi bisogni, progetti, emozioni, e non sulla base di appartenenze predefinite (centri gioco, attività sportive, spazi ludici e di scoperta...);
  • la conoscenza della propria e dell'altrui storia e cultura , intese come abbiamo già detto, in senso dinamico, evolutivo, frutto di intrecci e di scambi, conseguenza di spostamenti, migrazioni, cambiamenti;
  • la conoscenza dei diritti di ciascun bambino, uomo, donna, dovunque essi vivano; e la consapevolezza che essi sono ancora lontani dall'essere rispettati e attuati. A questa si accompagna la consapevolezza del fatto che le tradizioni non meritano di essere rispettate solo nella misura in cui esse sono “rispettabili” perché rispettano i diritti fondamentali di tutti i bambini. Rispettare tradizioni o leggi discriminatorie equivarrebbe infatti a disprezzare le loro vittime.

Attenzioni e proposte per un progetto interculturale che si proponga di aprire le menti e il cuore di tutti, a partire dall'incontro, dallo scambio, dal confronto fra storie, riferimenti e biografie differenti.

Nota bibliografica

D. Demetrio, G. Favaro (1997), Bambini stranieri a scuola , La Nuova Italia , Firenze

D. Demetrio, G. Favaro (2002), Didattica interculturale. Nuovi sguardi, competenze, percorsi , Franco Angeli, Milano

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G.Favaro (2001) I bambini migranti , Giunti, Firenze

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G.Favaro, L. Luatti (2004) ( a cura di ), L'intercultura dalla A alla Zeta , Angeli, Milano

G.Favaro, M. Fumagalli (2004), Capirsi diversi , Carocci, Roma