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INCONTRI
INTERNAZIONALI
DI CASTIGLIONCELLO

sedicesima edizione

alle relazionirelazioni

il bambino irreale

IL BAMBINO IR-REALE ATTRAVERSO I LABORATORI TEMATICI

Relazione di sintesi – Domenica 7 maggio
Mario Russo,
Psicologo Cgd

 

Un elemento di novità in questa XVI edizione del Bambino Ir-reale è rappresentata dalla presenza dei Laboratori tematici ­ come sviluppo metodologico dei tradizionali workshop - concepiti per consentire la partecipazione diretta e il confronto tra i partecipanti, attorno alla presentazione di esperienze particolarmente qualificate per il grado di sperimentazione e di elaborazione concettuale.

I Laboratori tematici sono stati quattro, ciascuno dedicato ad approfondire una tematica di rilievo rispetto al tema generale dell'Incontro.

Quali sono state, dunque, le domande che hanno mosso l'organizzazione dei Laboratori? Come si sono ridefinite nel corso di queste giornate di lavoro?

Per provare a rappresentare attraverso un'immagine immediata il carattere del lavoro svolto nei Laboratori, all'interno della complessiva tematica dell'Incontro, ci si può riferire ad una sorta di tela, ad una stoffa con un tessuto comune e alcune parti che si evidenziano per figure e caratteri particolari.

Il tessuto comune è costituito da fili che altro non sono se non quelle variabili attraverso le quali abbiamo declinato in questi giorni il tema della complessità (la pluralità modelli familiari ed educativi, le incertezze educative, le dissonanze dei tempi della formazione e delle progettualità, le molteplicità dei linguaggi e delle culture, ecc.).

Nei Laboratori tematici questo tessuto assume configurazioni particolari in relazione all'argomento di interesse specifico.

Cercarò di ricostruire l'intero disegno, ripercorrendo le diverse tappe attraverso le quali questo tessuto comune si è ridefinito in rapporto alla specifica tematica di ciascun Laboratorio.

1.

Quale valore assume provare a fare filosofia con i bambini della scuola elementare e materna? sperimentare percorsi di dialogo e di apprendimento sui problemi della vita e della società, sui temi della poesia e della musica? costruire occasioni per stimolare e valorizzare la capacità dei bambini di provare “curiosità” e consolidare in questo modo i loro spazi di autonomia nel processo di apprendimento e di crescita?

Non si tratta di una nuova materia o di una nuova disciplina che si aggiunge alle altre, di nuovi contenuti che debbono essere insegnati e neppure di un compendio di filosofia semplificato e proposto in pillole ai bambini.

Piuttosto, l'attività di fare filosofia con i bambini è stata definita da uno dei suoi iniziatori (S. Viti) come “il sale della scuola”, vale a dire un metodo per costruire conoscenze, realizzando questo lavoro soprattutto attraverso la discussione e il dialogo con i bambini e tra i bambini stessi.

Si tratta di insegnare a pensare e dare spazio alle domande di senso dei più piccoli, oltretutto in un momento in cui tutto il mondo attorno sembra spingerci all'azione e all'immediata risposta alle continue sollecitazioni.

Attraverso quali coordinate si realizzano le esperienze di filosofia con i bambini? Le ha ricordate sinteticamente Alfonso M. Iacono:

  • puntare al recupero dell'emotività;

  • ridare importanza al mito (al racconto) come intreccio tra metafora e concetto;

  • focalizzare l'attenzione sulla relazione, anche nel senso della gestione delle conflittualità;

  • in questi termini, consentire a bambini e ragazzi la conquista dell'autonomia, vista come momento di riconoscimento della propria identità rispetto all'altro.

2.

Si tratta di temi e considerazioni che trovano un'ampia consonanza con le riflessioni che scaturiscono da un altro Laboratorio, quello che abbiamo voluto dedicare alla conoscenza scientifica .

Il Laboratorio “Bambini razionali?”, dedicato alle tematiche dell'educazione scientifica, nasce certamente dall'esigenza di riflettere sulle questioni ugenti che sono poste dall'evoluzione scientifica degli ultimi decenni.

Se nei secoli della “modernità” la scienza ha contribuito a cambiare l'immagine del mondo e la concezione dell'uomo stesso all'interno del mondo, nel secolo appena trascorso l'evoluzione scientifica ci ha posto di fronte alla questione della complessità e delle drammatiche emergerze che vengono a determinanrsi proprio per il nostro stesso intervento sui fenomeni naturali.

L'evoluzione delle conoscenze scientifiche ci ha posto di fronte cioè alla costatazione che nei sistemi complessi l'impredicibilità ­ le difficoltà nelle decisioni ­ non è il risultato dell'insufficienza dei nostri mezzi di conoscenza ma piuttosto è una caratteristica intrinseca alla non linearità del sistema,; vale a dire, discende dal fatto che questo sistema è costituito da una moltitudine di sotto-unità che interagiscono e che non sono riconducibili ad una gerarchaia unitaria e coerente di funzioni.

Inoltre, l'urgenza a occuparsene è data anche dalla consapevolezza che le innovazioni scientifiche non ci lasciano indifferenti ma ci coinvolgono profondamente, anche nella nostra condizione di non specialisti. Siamo chiamati, insomma a confrontarci e a schierarsi su alcuni problemi che saranno decisivi per il nostro futuro (dalla questione dell'energia e del nucleare, alle tecnologie della procreazione) e in merito alle quali spesso non abbiamo, come cittadini, sufficienti elementi di conoscenza.

Allora, come può ‘attrezzarsi’ la scuola per favorire un approccio consapevole e adeguato alla scienza, alle sue metodologie e alle grandi questioni che ci pone?

L'esperienza presentata da Carlo Bernardini e dalle maestre della scuola d'infanzia di Scandicci ha una storia ormai ventennale e focalizza l'attenzione su un aspetto che sta all'origine di qualsiasi percorso di educazione alla scienza, vale a dire: come promuovere e sostenere la curiosità dei bambini? la loro capacità di fare domande e scoprire modelli di indagine?

In altri termini, secondo quello che emerge dalle esperienze presentate, i bambini già dall'età della scuola materna posseggono una sorta di “scientificità innata” che, successivamente, più che perduta appare soppiantata da altre forme di pensiero che appaiono chiaramente indotte dagli adulti.

I bambini si dimostrano in grado di risolvere sperimentalmente problemi complessi e l'apporto più adeguato che possono fornire gli adulti non è quello di fornire risposte più o meno adattate alla loro capacità di comprensione, quanto piuttosto di aiutarli a guardare la realtà con occhi attenti, così da stimolare la loro curiosità.

L'adulto, insomma, è chiamato a favorire una discussione aperta fra i bambini, rilanciarla con ulteriori riflessioni, facilitare la partecipazione di tutti, evitare le risposte che chiuderebbero la ricerca autonoma dei bambini ma piuttosto porre nuove situazioni problematiche che stimolino il ragionamento e portino i bambini stessi a cercare soluzioni originali e creative ai problemi.

I bambini dimostrano di avere maturato le basi di un corretto atteggiamento scientifico:

  • sono sinceri,

  • sono curiosi,

  • sono disposti a modificare le proprie opinioni (se non si sentono criticati o svalutati).

Oltre a questo, le esperienze realizzate sono rivolte anche a promuovere la capacità di:

  • utilizzare i simboli,

  • essere capaci di astrazione, nel senso di riflettere sull'esperienza quotidiana per trarne concetti più generali,

  • riconoscere le variabili importanti di un problema,

  • individuare correlazioni di tipo causa-effetto.

3.

Un terzo Laboratorio è stato dedicato alle questioni della multiculturalità .

Il fenomeno dell'immigrazione da 10-15 anni nel nostro Paese rappresenta certamente uno degli elementi che qualificano la complessità dei nuovi contesti educativi, in particolare per la coesistenza sempre più frequente e rilevante di linguaggi e culture differenti ed eterogenei.

Ne abbia parlato in più occasioni qui a Castiglioncello, ma questa volta abbiamo voluto domandarci se, al di là delle importanti esperienze di promozione dell'inserimento realizzate nell'ultimo decennio nella scuola e negli altri contesti educativi, possiamo individuare le tracce iniziali di una più avanzata condizione: quella cioè nella quale le diverse culture presenti diventano protagoniste a pari livello e dignità della costruzione di nuovi contesti di dialogo.

D'altra parte, è noto che i processi culturali legati ai fenomeni dell'immigrazione sperimentano fasi successive:

  • accoglienza e curiosità per l'esotico,

  • incontro con la diversità e problemi dell'integrazione,

  • diversità culturale non più nascosta ma riconosciuta e accettata come normale.

Le diverse realtà scolastiche nel nostro Paese hanno attraversato e stanno attraversando in modo non sincronico questi diversi passaggi culturali, per cui risulta strategico trovare le condizioni per mettere in rete le diverse esperienze realizzate, far conoscere le buone pratiche.

Sono stati ricordati da Graziella Favaro, che ha curato il Laboratorio, i diversi modelli di integrazione realizzati nel corso degli anni:

  • il modello di tipo inglese, con la costituzione e il riconoscimento delle diverse comunità multiculturali;

  • il modello francese, con l'integrazione del singolo e il rifiuto della collettività culturale di appartenenza;

  • il modello italiano (in realtà, più auspicato che realizzato), orientato all'integrazione, all'interculturalità, alla creazione di ponti tra culture, all'attenzione verso le regole e le uguali opportunità.

Sono state riportate esperienze che hanno visto città e comunità (come, ad esempio, Genova) progettare percorsi di integrazione e di dialogo tra culture.

Sono stati soprattutto individuati elementi essenziali per costruire queste condizioni di dialogo e di integrazione.

Ad esempio,

  • la capacità di lavorare sulla memoria (sia degli indigeni che degli stranieri) per recuperare, attraverso i ricordi di immigrazione e di emigrazione di ciascuno, il valore della propria storia sentita come opportunità per entrare nel dialogo con gli altri;

  • la sensibilità a superare i pregiudizi, utilizzando anche un sorta di metodo “comparativo”, come chiave di lettura della diversità, così da far coesistere e accettare punti di vista differenti rispetto al medesimo problema

  • infine, la disponibilità ad aprirsi alla condizione che inizia ad essere definita di “misti-linguismo”, in grado non solo di consentire il dialogo tra culture e storie differenti, ma anche di lavorare sui linguaggi e sviluppare capacità metalinguistiche.

4.

Giungiamo infine al Laboratorio che abbiamo voluto dedicare al tema dell' orientamento come specchio della complessità dei progetti formativi: non ci ha interessato affatto la presentazione di metodi e strumenti dell'orientamento scolastico o professionale, quanto piuttosto la riflessione sulla cultura dell'orientamento; una riflessione che chiama in causa la questione delle risorse educative e formative disponibili, dell'intervento di culture e linguaggi differenti nel contesto dei progetti di formazione, dell'attenzione alla dimensione temporale dei processi educativi e formativi.

Le esperienze presentate e la discussione avvenuta nel laboratorio - curato da Fabrizio Dacrema - hanno confermato che ci troviamo di fronte ad un nodo cruciale nel contesto della complessità dei nuovi contesti di vita di bambini e ragazzi.

Ciò è testimoniato proprio dal fatto che gli esiti della discussione che si è sviluppata hanno in qualche modo scomposto, de-costruito, messo in discussione il termine e il concetto stesso di orientamento, per enuclearvi almeno due linee di riflessione:

Da un lato, l'idea di una funzione orientativa che si realizza in termini specialistici e che si differenzia sia dalla funzione educativa e formativa affidata alla scuola sia dalla funzione di aiuto e sostegno rispetto a condizioni di difficoltà ed emarginazione dei ragazzi; una pratica di orientamento che si finalizza essenzialmente a “governare la casualità” (per usare un'espressione riportata da Giancarlo Tanucci), si configura come funzione di sviluppo delle potenzialità di ciascuno, rivolta ­ nell'impossibilità di pianificare percorsi duraturi di realizzazione formativa e professionale ­ a saper cogliere le opportunità che via via si presentano nei processi formativi e lavorativi.

Tuttavia, questa particolare accezzione dell'orientamento, per non essere equiparata alla pratica del “tirare a sorte”, non può non richiedere come condizione che si consolidi un'altra concezione e un'altra pratica, molto più intrecciata al quotidiano agire scolastico, vale a dire un'attività rivolta a consentire a bambini e ragazzi di conoscersi e accrescere la consapevolezza di sé, in termini di identità, di valorizzazione della sfera affettiva, di coscienza del proprio stile e del proprio profilo cognitivo.

In altri termini, una pratica che aiuti il bambino e l'adolescente a definire se stesso rispetto al contesto scolatico e professionale.

Questo, tuttavia, può avvenire compiutamente solo all'interno di un contesto scolatico in grado di riprogettarsi e ridefinire i propri strumenti.

Qual è, in ogni caso, il “territorio” di riferimento rispetto al quale valutiamo attitudini e capacità e le proiettiamo lungo un piano di scelte inerenti il futuro scolastico o professionale dei ragazzi? Si tratta di un territorio stabile nelle sue parti costitutive, così da potere descriverlo attraverso mappe affidabili; o, al contrario, la sua conformazione subisce ormai mutamenti così rapidi e frequenti che possiamo al suo interno orientarci solo con strumenti più incerti e congetturali (la bussola, il muschio sul tronco degli alberi, le tracce sul terreno, e così via) fino all'estremo affidamento alla stella polare?

Non è casuale, allora, che “Mappe? Bussole? Stella polare?” costituisca precisamente il titolo della Tavola rotonda che concluderà questo Incontro.

5.

La riflessione attorno alle esperienze presentate nei Laboratori della Multiculturalità e dell'Orientamento ci hanno posto di fronte alla questione che abbiamo definito della “democrazia delle opportunità” vale a dire l'evidenza che le opportunità di accedere alle risorse dell'apprendimento, e della formazione non sono ancora uguali per tutti.

Verifichiamo ancora troppe volte l'incidenza delle condizioni socio-culturali della famiglia di provenienza, delle condizioni di maggiore o minore cittadinanza, dalla quantità e qualità delle risorse culturali investite.

Viene chiamato in campo il ruolo della scuola, più precisamente della scuola pubblica, della “pubblica istruzione”, per riprendere un nome al quale in fondo continuiamo ad essere un po' affezionati.

Scuola pubblica come scuola di tutti: dei ragazzi italiani da più generazioni così come dei ragazzi immigrati, dei credenti in fedi diverse e dei non credenti, di chi può godere di opportunità educative e di quelli per i quali la scuola rappresenta l'unica speranza di fuggire da un destino di marginalità culturale.

Le nuove configurazioni che assume il panorama delle risorse educative, le sfide inedite che ci vengono poste, come genitori e come educatori, ci sollecitano a ri-scoprire la grande risorsa che in questo Paese rappresenta la scuola pubblica, quella che ­ nonostante tutti gli aspetti negativi che non abbiamo mai trascurato di evidenziare ­ abbiamo imparato ad amare negli ultimi decenni, quando soprattutto ha saputo far vivere al meglio le opportunità di comunicazione, di partecipazione, di inclusione, riuscendo a coinvolgere ragazze e ragazzi che altrimenti sarebbero rimasti ai margini della vita sociale.

Una scuola capace di valorizzare le diversità ma anche di attirare e mettere in campo le competenze per rendere queste diversità sostenibili e produttrici di opportunità educative.

Insomma, una scuola nella quale ci piace pensare che, di fronte a chi rischia di abbandonarla, risuoni la medesima domanda che i ragazzi di Barbiana facevano rivolgere all'amico che si era allontanato per servire dall'ortolano: “Perché non torni a scuola? …. Senza di te la scuola non sa di null

Diciamoci la verità: in questo momento abbiamo la sensazione di trovarci di fronte ad uno scampato pericolo, sentiamo che siamo ancora in tempo per riparare allo scempio e alla violenza che si stava consumando nei confronti di una risorsa grande e insostituibile per l'intera collettività.

Ma tutto questo deve accrescere la consapevolezza che per cambiare davvero non è necessario sostituire a riforme astratte altre riforme altrettanto astratte; ma piuttosto, si tratta di rimettersi ad ascoltare con umiltà e anche con affetto quello che di buono è avvenuto e sta avvenendo nelle scuole; valorizzare i processi virtuosi, le esperienze innovative, le cosiddette buone pratiche. È proprio la scelta che in tutti questi anni abbiamo con costanza perseguito qui a Castiglioncello.

Si ripropone perciò la domanda su come possiamo pensare la complessità; come possiamo orientarci ed progettare percorsi educativi nell'evoluzione dei nuovi contesti di vita dei bambini e dei ragazzi.

6.

Ritorniamo in questo modo alla prima tappa del percorso che abbiamo in questa relazione abbiamo raggiunto, vale a dire alle esperienze di filosofia con i bambini; lo facciamo, però, arricchiti dalle considerazioni che abbiamo svolto ripercorrendo anche gli altri Laboratori.

E allora, di fronte alla situazione e ai compiti che abbiamo di fronte, che valore ha valorizzare, come è stato fatto, esperienze come quella della filosofia con i bambini? esperienze cioè che pongono al centro del proprio progetto la questione della curiosità dei più piccoli e della loro capacità di formulare domande sul mondo e sugli eventi che accadono attorno a loro?

Non significa forse che progettare opportunità formative che abbiano senso e valore non può voler dire organizzarsi per riprodurre le conoscenze e riproporle tra generazioni successive?

Piuttosto, vuol dire che abbiamo deciso di puntare e avere fiducia precisamente sulla libertà di pensare e sulla capacità di farlo assieme agli altri; che la nostra salvezza è affidata proprio sulla capacità di creare illusioni condivise (per riprendere un'idea di Iacono), di giocare tra la realtà e l'irrealtà delle condizioni che abbiamo di fronte.

Una ulteriore indicazione che possiamo fare emergere dal lavoro dei laboratori: vale a dire, il fatto che sia nel caso della filosofia con i bambini sia nel caso delle esperienze di sostegno alla curiosità scientifica dei bambini non ci troviamo di fronte alla proposta di una ulteriore materia o disciplina di insegnamento.

Siamo fuori, cioè, dal paradigma della sommatoria delle discipline, per cui la scuola finirebbe per dire di sì a tutto (dall'educazione alla salute all'educazione stradale, dai fumetti all'educazione ai media e così via), finendo perciò con il condannarsi ad un'obesità di contenuti e di programmi che la costringe alla sostanziale immobilità.

Il valore e il contributo che possono portare esperienze come queste che abbiamo presentato nei Laboratori non è dunque quello di aggiungere qualcosa di nuovo a quello che già c'è, quanto piuttosto quello di ricondurre fulmineamente - di far precipitare, quasi - quello che già c'è nella sua condizione dell'origine, nell'interrogazione sulla sua provenienza, sulla sua giustificazione, sul senso del suo essersi configurato in un certo modo.

Si tratta di una sorta di “visione inaugurante” che dovrebbe indurre le istituzioni scolastiche a ripensarsi e ri-progettarsi costantemente nelle finalità, nei contenuti, negli strumenti della propria azione formativa.

Questa considerazione, inoltre, ci aiuta forse a comprendere meglio il senso del “Bambino ir-reale” (vale a dire, del Bambino reale e irreale nel medesimo tempo), che abbiamo posto al centro di questo Incontro. E può aiutarci a comprenderlo anche l'immagine che la nostra amica grafica ci ha regalato per questa edizione, quella del Bambino di Castiglioncello privo dei contorni e degli accessori che di volta in volta lo hanno definito e che questa volta emerge solo per pochi tratti originari.

In altri termini, il fatto di aver collocato il bambino, le sue condizioni di esistenza, sullo sfondo degli scenari della complessità che segnano le sue attuali condizioni di vita riconduce il bambino stesso ad una sorta di condizione originaria: una condizione nella quale non riusciamo ancora a definirlo nei suoi tratti di realtà o di irrealtà, nel suo essere così o così; e tuttavia lo abbiamo chiamato alla nostra attenzione, lo dichiariamo rilevante per noi e ci dirigiamo verso di lui per portarlo nel discorso, per renderlo accessibile alla comprensione.

7.

Questo percorso che può condurci a conoscere il Bambino Ir-reale - e che in parte abbiamo avviato in queste giornate - tuttavia non lo percorriamo da soli, poiché riusciamo a scorgere anche le tracce di coloro che lungo questo medesimo percorso ci hanno preceduto e che hanno lasciato messaggi e indicazioni che ci aiutano a seguire la strada e con i quali possiamo riallacciare quel dialogo quotidiano che ci sembra di non avere mai interrotto.

Permettetemi di ricordarne due.

Il primo è certamente Gianni Rodari.

Il Rodari che da giovane giornalista dell'Unità difende i fumetti come nuova forma di espressione, in polemica con Nilde Iotti e con lo stesso Togliatti, poiché intuisce che le novità che il dopoguerra ha introdotto richiedono la conoscenza di una gamma più ricca di linguaggi attraverso cui comprenderle.

Rodari, che nella presentazione della Grammatica della fantasia afferma di sperare che “.. il libretto possa essere ugualmente utile a chi crede nella necessità che l'immaginazione abbia il suo posto nell'educazione; a chi ha fiducia nella creatività infantile; a chi sa quale valore di liberazione possa avere la parola. ‘Tutti gli usi della parola a tutti' mi sembra un buon motto, dal bel suono democratico. Non perché tutti siamo artisti, ma perché nessuno sia schiavo”.

Rodari che ci invita ad allargare lo sguardo alle infinite possibilità di conoscenza che sono di fronte a noi e che trascendono lo stesso contesto scolastico, ad esempio, quando parla, in una sua poesia, di “Una scuola grande come il mondo dove “ci insegnano maestri, professori, avvocati, muratori, ma anche “televisori, giornali, cartelli stradali, e con loro “il sole, i temporali, le stelle.

Rodari, infine, che invitando i bambini ad avere “grandi passioni”, a imparare a “fare le cose difficili”, li sollecitava così a fuggire le semplificazioni tranquillizzanti per mettersi invece alla prova con la profondità e la radicalità degli impegni ai quali siamo chiamati: “regalare una rosa al cieco / cantare per il sordo / liberare gli schiavi / che si credono liberi

E, accanto a Rodari, - credo di poterlo dire con un po' di orgoglio qui a Castiglioncello - tra coloro che ci precedono nella strada verso la conoscenza del Bambino Ir-reale possiamo riconoscere anche Marisa.

Marisa Musu, che, attraversando in prima persona, a volte da protagonista e altre da spettatrice assai prossima, momenti rilevanti della storia del secolo appena trascorso (dalla resistenza romana alle lotte anti-colonialiste, dal Vietnam e dalla Praga del 1968 fino all'Intifada), proprio attraverso questo passaggio tra grandi eventi consolida la sua fiducia sull'importanza di impegnarsi nelle “piccole cose”, quelle di fronte alle quali si semplifica la complessità delle nostre grandi rappresentazioni del mondo; di fronte alle quali si mette in gioco tutta la propria esperienza di vita, la curiosità, la voglia di vivere e appassionarsi, la capacità di mettersi in discussione per aprirsi al dialogo e all'ascolto dell'altro.

Marisa Musu che, 30 anni fa, avverte - forse inconsapevolmente ­ che si sta esaurendo la speranza di cambiare il mondo attraverso le grandi ideologie ma che, tuttavia, è possibile recuperare e non disperdere i valori e le speranze che hanno segnato l'impegno di una vita; e lo fa costruendo un associazionismo laico dei genitori, sperimentando un nuovo modo di fare politica, autonomo dai partiti e a contatto con le persone e i loro problemi quotidiani - e questo percorso la conduce tra l'altro a inventare gli Incontri di Castiglioncello per cui, in qualche modo, il suo sogno ci ha portato in questi giorni a ritrovarci qui a parlare del Bambino Ir-reale.