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Liberazione 8 marzo 2005

Come affrontare il disagio scolastico in tutte le sue espressioni?

Loredana Fraleone

La tempesta che si è abbattuta sull'istruzione pubblica, dalla scuola di base all'università troppo spesso ha impedito l'emersione, dal calderone delle controriforme, di questioni apparentemente secondarie e che invece hanno una vera e propria centralità nella difesa del diritto allo studio. Sono quelle che ne svelano i punti più sensibili, dove più acute sono le conseguenze della guerra ingaggiata dal neoliberismo nei confronti del sapere critico e della conoscenza diffusa. Il restringimento di questo diritto primario colpisce con maggiore violenza i "diversi", che costituiscono quella fascia non irrilevante e sempre più sofferente, nella quale si possono trovare disabili o nomadi, disadattati od extracomunitari, emarginati od "irrequieti". Già irrequieti, magari in alcuni casi solo un po' ribelli. Una categoria che un tempo, quando eravamo meno americanizzati, si faceva rientrare nel disagio sociale, in quell'universo rimasto tanto a lungo nella marginalità e preso in considerazione civilmente dal 1975 in poi, con la legge n. 517. Quella che metteva il mondo della scuola, e di conseguenza la società, di fronte alla responsabilità di guardare in faccia la diversità, di farci i conti, arrivando a considerarla una risorsa invece che un fastidioso problema. Ne ha tratto beneficio tutta la scuola, che ha cambiato lentamente ma in profondità il suo atteggiamento verso i più deboli, infatti, ricevendo più attenzione i soggetti da integrare, sono stati coinvolti da maggiore cura tutti coloro che ne hanno bisogno. Sono cambiati, anche se con non poche resistenze e a volte una vera e propria avversione, i paradigmi che regolavano i tempi di apprendimento, delle modalità di valutazione, dell'intero sistema delle relazioni nelle scuole, unici luoghi dove questi bambini e bambine, ragazzi e ragazze hanno avuto davvero diritto di cittadinanza. Parliamo di leggi di "un secolo fa". Oggi lo spostamento ideologico culturale dai costi sociali a quelli economici, da quelli collettivi a quelli individuali, prodotto dall'assunzione della centralità dell'impresa e del mercato, conduce alla continua riduzione dell'intervento pubblico finalizzato al benessere dei cittadini. Diminuisce la spesa e si sposta sulle istituzioni di controllo, come le forze armate, a scapito principalmente delle strutture sanitarie e di quelle scolastiche. Si arriva così a tagliare persino le ore di sostegno per i portatori di handicap. Alla demolizione materiale si accompagna, come sempre, anche l'aggressione culturale. Ciò che si era considerato problema sociale, torna a essere disturbo individuale, "malattia da curare" in strutture sanitarie sempre meno pubbliche, sempre meno gratuite. E nelle scuole si riaffacciano fenomeni preoccupanti di marginalizzazione. Capita di trovare di nuovo classi formate con criteri selettivi, che non consentono più una distribuzione equa dell'inserimento di chi ha problemi. Diviene sempre più frequente la richiesta dell'intervento medico e farmacologico per gli irrequieti, distratti e disturbatori della quiete, perciò da "sedare" e non più da scolarizzare. Ecco allora che ci soccorrono gli studi e le esperienze realizzate negli Usa, dove a milioni di bambini, secondo l'amministrazione "affetti da disturbo da deficit dell'attenzione con iperattività", viene somministrato il Ritalin, un derivato anfetaminico, che non si sa se fa diventare attenti, ma sicuramente "buoni". Così non possiamo stare tranquilli se il nostro ministero della Salute, nel 2003, ha reintrodotto il Ritalin nel circuito commerciale, declassandolo da stupefacente a psicofarmaco. Questa vicenda, con tutti gli scenari inquietanti che propone, si inserisce perfettamente nella filosofia della Riforma Moratti: più nozioni in meno tempo, più selezione, più valutazione e meno recupero, canalizzazione precoce; chi arriva arriva e chi no… Diventando una malattia da curare, l'iperattività, che può derivare da disturbi di tipo diverso, espone anche i bambini, per i quali non è strettamente indispensabile, al trattamento con il Ritalin, quel farmaco che negli States ha provocato in molti casi dipendenza, e non è chiaro quali effetti "collaterali" può produrre. In un contesto di minore attenzione e cura per la diversità, che richiede invece relazioni complesse e perciò maggiori competenze e risorse economiche, viene meno anche quel tempo disteso per l'apprendimento, che costituisce a tutte le età e in tutte le situazioni la vera possibilità di recupero, l'antidoto più credibile alla dispersione scolastica, il modo per rendere "attenti i distratti". Di fronte alla forza delle semplificazioni la scuola pubblica possiede ancora quelle energie, che sono già state messe in campo per contrastare le controriforme Moratti. Insieme a Psichiatria Democratica, il Coordinamento dei Genitori Democratici ha lanciato un appello sull'uso disinvolto del Ritalin, accolto già da molte organizzazioni e associazioni, che sono impegnate anche contro la Riforma. Il nesso tra le due questioni è fin troppo evidente. Nel mese di marzo è prevista una iniziativa nazionale che raccoglierà sicuramente un consenso e un apporto più ampio. E' indispensabile far conoscere il problema ed utilizzare l'iniziativa di marzo per rilanciare l'attenzione e la discussione su come affrontare il disagio scolastico in tutte le sue espressioni. Si tratta di fronteggiare, anche su questo versante, le controriforme sullo stato sociale e sulla scuola, per non cedere, al mercato ed all'oscurantismo che avanza, il più emancipatorio dei beni comuni.

 

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