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Educare alla prosocialità

Strumento ottimizzatore della salute mentale e della qualità nelle relazioni sociali

Carlo Ricci, psicologo della salute, docente alle Università La Sapienza di Roma, presidente dell'Ist. Walden di Roma, in occasione dell'assemblea nazionale ha concesso di riportare parti dell'introduzione del libro scritto da Ricci, Diadori, Pompei sull'intelligenza interpersonale integrate da un'interessante analisi della prosocialità secondo Robert Roche

Per motivi di spazio il pezzo è stato sintetizzato.

La prosocialità è la competenza che, senza la ricerca di ricompense esterne, estrinseche o materiali, favorisce altre persone, gruppi o fini sociali oggettivamente positivi, secondo i criteri di questi ultimi, e aumenta le probabilità di generare una reciprocità positiva di qualità e solidale nelle relazioni interpersonali o sociali conseguenti, migliorando l'identità, la creatività, l'iniziativa positiva e l'unità delle persone o dei gruppi implicati (Roche, 1997).

La prosocialità sta emergendo all'interno della psicologia evolutiva e sociale per le positive conseguenze e i benefici che produce a vantaggio di tutti i componenti di un sistema sociale. I benefici per i recettori delle azioni prosociali sono stati abbondantemente investigati, mentre è meno conosciuta la loro incidenza sugli autori, che, in una definizione rigorosa, non possono ricevere ricompense esterne, estrinseche o materiali.

Si desiderano analizzare i possibili benefici relazionali e intrapsichici che può supporre l'azione prosociale, sia per i recettori sia, specialmente, per gli autori, nell'ambito della salute mentale e, a livello più generale nell'ambito della convivenza collettiva.

Sappiamo che l'azione prosociale costituisce un potente fattore riduttore della violenza e dell'aggressività, così come un efficace fattore costruttore della reciprocità positiva, nonché di una migliore convivenza e armonia sociale.

Un aspetto fondamentale da esaminare è la relazione tra “prosocialità e emozioni”, specificatamente per quanto riguarda i suoi effetti nella prevenzione e capacità di fronteggiamento dello stress. Punti centrali di questa analisi sono l'esercizio dell'empatia e la progressiva capacità di decentramento dal proprio mondo psichico. Per quanto concerne gli aspetti cognitivi di questa relazione si esplorerà la prosocialità come contenuto significativo, rispetto ai valori, che incide sull'autostima mediante la percezione del proprio successo e del proprio senso d'efficacia.

Nella seconda parte saranno presentati metodi e strumenti che rendano possibile l'introduzione, la formazione, la promozione, il mantenimento e l'incremento della prosocialità.

Benefici della prosocialità e salute mentale

Una definizione operativa, di “comportamenti prosociali”, accettata dalla comunità scientifica è questa: «quelle azioni che tendono a beneficiare altre persone, senza che esista la previsione di una ricompensa esterna».

Noi stiamo elaborando una definizione più ampia che, da una parte, comprenda non solo la semplice prospettiva unidirezionale, azione-recettore, presente nelle prime ricerche, ma anche la complessità delle azioni umane nel loro versante relazionale e sistemico, e, dall'altra, raccolga dimensioni più culturali e sensibili a un'applicazione nel campo sociale e politico.

La nostra definizione è la seguente: «quei comportamenti che, senza la ricerca di ricompense esterne, estrinseche o materiali, favoriscono altre persone o gruppi, secondo i criteri di quest'ultimi, o fini sociali, oggettivamente positivi. E, inoltre, che aumentano la probabilità di generare una reciprocità positiva di qualità e solidale nelle relazioni interpersonali o sociali conseguenti; salvaguardando l'identità, la creatività e l'iniziativa degli individui o gruppi implicati», (Roche, 1991).

Sebbene una rigorosa analisi del significato delle caratteristiche della ricompense: esterne, estrinseche o materiali, supponga una certa difficoltà, essa aumenta ancor di più quando proviamo a introdurci in possibili “ricompense permesse” all'autore che seconda la definizione dovrebbero essere solo: interne, intrinseche o immateriali.

Nella nostra definizione più recente della prosocialità abbiamo cercato di introdurre un maggior ruolo del ricevente come criterio di validità ed efficacia dell'azione prosociale. In effetti, perchè un'azione si possa considerare prosociale, il ricevente della stessa deve accettarla, approvarla ed esserne soddisfatto.

A livello collettivo, nella funzionalità della convivenza e dell'armonia delle persone, gruppi e società si ipotizza che l'abbondanza di azioni prosociali produce una diminuzione dei comportamenti violenti.

Classi di azioni prosociali

1. Aiuto fisico: condotta non verbale che procura assistenza ad altre persone per compiere un determinato obiettivo, e che conta sull'approvazione delle stesse.

2. Servizio fisico: condotta che elimina la necessità, per i riceventi dell'azione, di intervenire fisicamente nel compimento di un'azione concreta e che si conclude con l'approvazione o la soddisfazione degli stessi.

3. Dare: consegnare oggetti, alimenti o possedimenti ad altri, perdendo la loro proprietà o la possibilità di usarli.

4. Aiuto verbale: spiegazione o istruzione verbale o condivisione delle idee o delle esperienze vitali, che sono utili e desiderabili per altre persone o gruppi al fine di conseguire un obiettivo.

5. Conforto verbale: espressioni verbali che riducono la tristezza di persone in pena o preoccupate e migliorano il loro stato d'animo.

6. Conferma e valorizzazione positiva dell'altro: espressioni verbali che confermano il valore di altre persone o aumentano l'autostima delle stesse, anche di fronte a terzi. (intrepretare positivamente le condotte degli altri, discolpare, intercedere, mediante parole di simpatia, di lode o elogio).

7. Ascolto profondo: condotte metaverbali ed atteggiamenti di attenzione che esprimono accoglienza paziente però attivamente orientata ai contenuti espressi dall'interlocutore in una conversazione.

8. Empatia: condotte verbali che, partendo da un “svuotamento” volontario dei propri contenuti, esprimono comprensione cognitiva dei pensieri dell'interlocutore o l'emozione di star sperimentando sentimenti simili ai suoi.

9. Solidarietà: condotte fisiche o verbali che esprimono l'accettazione volontaria di condividere le conseguenze, in special modo le dolorose, della condizione, dello stato, della situazione o della sfortuna di altre persone, gruppi o paesi.

10. Presenza positiva o unità: presenza personale che esprime atteggiamenti di prossimità psicologica, attenzione, ascolto profondo, empatia, disponibilità al servizio, l'aiuto e la solidarietà per e con altre persone e che contribuisce al clima psicologico di benessere, pace, concordia, reciprocità de unità in un gruppo o riunione di due o più persone

Emozioni e prosocialità

Un aspetto interessante della correlazione emozioni-prosocialità, nonché importantissimo è l'analizzare e individuare, nello specifico, gli effetti che i comportamenti prosociali hanno sugli autori.

A tal fine ci muoviamo nell'ambito della salute mentale, considerando la condotta prosociale come stato funzionale ottimale per la persona.

Le emozioni occupano un ruolo centrale nel raggiungimento e mantenimento di una buona salute mentale, per cui costituiscono uno dei campi in cui può prodursi l'influsso benefico dell'azione prosociale.

Inoltre ci interroghiamo sulle modalità di questa possibile incidenza dell'azione prosociale sulla gestione delle emozioni. La prevenzione e il fronteggiamento dello stress è un ambito di gran interesse nello studio della relazione tra emozioni e salute mentale.

Cerchiamo adesso di analizzare come i comportamenti prosociali potrebbero incidere su alcune delle emozioni più rilevanti fra le quindici che distingue Lazarus (1993).

La rabbia e l'ira

In queste emozioni è presente un'elevata attivazione fisiologica. Questa attivazione ha la sua espressione in una risposta emozionale di grado elevato. Ci potremmo riferire ad essa come ad una risposta immediata, impulsiva e contundente.

La persona che è soggetta a frequenti vissuti di rabbia e d'ira, proprio per le forti attivazioni fisiologiche che comporta, patisce di un maggior grado di vulnerabilità nella propria salute mentale e fisica (Williams, 1989; Thoreson, 1990; Mittleman, 1994; citati da Goleman, 1997).

Ora, in una prospettiva sociale e comunitaria, tale persona rappresenta un elemento di rischio per la convivenza.

La persona abituata a realizzare condotte prosociali, probabilmente accederà ad una forma più efficace di controllo del risentimento, attraverso varie vie.

La preoccupazione, l'ansietà e lo stress

La preoccupazione ha come funzione l'anticipazione di possibili pericoli per proteggersi da essi, o l'attivazione nella ricerca di soluzioni a problemi centrali per la persona. Tale attivazione può dare inizio ad uno squilibrio quando si converte in ansietà cronica, nel qual caso si perde il controllo sull'attivazione dei pensieri ansiosi, che si producono anche di fronte a stimoli neutri.

L'ansietà è generata dai numerosi stimoli, forti e persistenti (stress), della vita reale quotidiana e, secondo altri autori, è l'emozione che maggiormente si relaziona con l'inizio della malattia (McEwen, Stellar 1993). La continua attivazione, infatti, del nostro organismo, alla molteplicità di stimoli che vengono interpretati come pericolosi, fa si che, in qualche modo, si perda il controllo dell'attivazione neuro-vegetativa. Il sistema immunologico sembra essere il mediatore organico della relazione fra ansietà e inizio della malattia (Cohen, 1991; Clover, 1989; Glaser, 1988, citati da Goleman, 1997).

Le azioni prosociali suppongono in certe occasioni creatività, iniziativa, incluso assertività, che se esercitate frequentemente, producono un aumento dell'autostima, mediante la percezione del proprio successo e della propria efficacia. Questo miglioramento dell'autostima genera nella persona una sicurezza che inibisce l'ansietà e, come alcuni autori affermano, è un positivo fattore nella salute del sistema immunologico.

L'essere impegnati in relazioni interpersonali diminuisce la probabilità di entrare nel circolo vizioso dei pensieri ansiogeni, poiché l'agire, inibisce un'eccessiva focalizzazione sui propri processi cognitivi interni, ed inoltre facilita la relativizzazione dei problemi personali nel caso in cui si abbia l'opportunità di osservare situazioni simili.

La colpa

Il sentimento di colpa è presente in numerose quadri psicopatologici. Una diminuzione delle pressioni intrapsichiche eccessive si potrebbe considerare come benefica per la salute mentale.

Le azioni prosociali realizzate, per esempio, nell'ambito del volontariato esercitato nell'anonimato, sono state interpretate come inibitrici di una colpa stabilita in ambiti più familiari. Come per esempio in certi casi di figli che non si sentono capaci di curare i loro genitori anziani e forse dedicano tempo a visitare e curare altre persone bisognose.

In ogni caso, la persona identificata con valori assunti di giustizia sociale, di fronte all'impotenza sperimentata (mediante la compassione) a livello macromondiale, incontrerebbe nelle azioni prosociali un sollievo rispetto al sentimento di colpa.

Al di là delle valutazioni etiche o funzionali, potremmo affermare che dati i limiti dell'azione individuale, sembra logico considerare che l'azione prosociale concreta possa supporre un efficace tranquillizzante della colpa.

L'invidia

La letteratura ci mostra gli effetti devastanti di un sentimento che può minare la salute mentale e provocare, inoltre, alterazioni nelle relazioni interpersonali e sociali.

Oltre alla convenienza di un'educazione basata sul decentramento verso l'altro, nello sviluppo emozionale e interpersonale del bambino, già dai primi anni, l'identificazione di questo sentimento e la possibilità di affrontarlo, è una garanzia di benessere psicologico.

All'inizio il valore supremo della dignità della persona, indipendentemente dagli attributi o dalle capacità, ed il valore della prosocialità assunto come guida di condotta, dovrebbe mitigare quest'invidia, la quale si dovrebbe identificare ed esprimere adeguatamente in forma di ammirazione esplicita, come espressione di controllo dei propri sentimenti.

Inoltre, la realizzazione di azioni prosociali, incluso alle persone invidiate, potrebbe offrire un paradossale sollievo per il potere che genererebbe l'efficacia dell'azione ed il possibile feedback di approvazione del ricevente.

Pessimismo e stati d'animo positivi

Ottimismo può significare avere aspettative, in generale, che le cose andranno bene. È uno stato emotivo opposto all'apatia, alla depressione o alla disperazione, veri nemici della salute fisica e mentale (Peterson, 1993; Anda, 1993; House, 1988;) Si può considerare come una buona risorsa per affrontare lo stress e salvaguardare la salute mentale. Gli ottimisti ritengono che i fallimenti si devono a qualcosa che si può cambiare (locus of control interno), mentre i pessimisti li attribuiscono ad una caratteristica propria o del fenomeno stabile, a un fatto che non è possibile modificare (locus of control esterno).

Gli atteggiamenti positivi che di solito scaturiscono dagli stati d'animo positivi, permettono di affrontare meglio le richieste dell'ambiente e di gestire adeguatamente le frustrazioni che possano comparire. Le persone con animo positivo hanno una percezione aperta a piú alternative e se inoltre focalizzano una alternativa particolare, mettono le condizioni migliori per incertare il suo adempimento (profezia che si autoavvera). Pertanto, sarebbero efficaci strategie di controllo dello stress.

Ciò che causa la reazione di stress, non è isolatamente lo stimolo o l'ambiente stressante, ma gioca un ruolo importante il significato soggettivo percepito dalla persona implicata (Lazarus, 1993). Nell'elaborazione di questo significato soggettivo interverrà, probabilmente, lo stato d'animo abituale.

I comportamenti prosociali finalizzati (per definizione) a una soddisfazione e approvazione nel ricevente, quando questa approvazione arriva genera un feedback positivo di efficacia e di utilità per l'autore. Se ciò si produce di frequente, dovrebbe migliorare l'autostima ed aumentare la quantità di stati d'animo positivi.

L'empatia

È la capacità di sintonizzare emozionalmente, e anche cognitivamente, con gli altri e costituisce una base importante sulla quale si sviluppano le relazioni interpersonali positive. Da questo punto di vista possiamo affermare che l'empatia è una disposizione emotiva che favorisce la buona qualità nelle relazioni sociali.

In generale, possiamo dire che l'empatia favorisce o facilita la realizzazione di azioni prosociali e inversamente le persone che attuano prosocialmente apprendono ad ottimizzare la loro empatia.

Il grado di empatia, secondo quest'autore, è legato ai guidizi morali ed è, in ultimo termine, la base dell'atteggiamento etico delle persone. L'attegiamento etico e un altro elemento fondamentale per la qualità delle relazioni sociali alla quale facciamo riferimento nel titolo di questo articolo.

Gli atti di delinquenza si basano, in molte occasioni, sull'incapacità da parte dell'aggressore di sperimentare empatia verso le sue vittime. In questo senso si sono realizzati trattamenti di riabilitazione basati sull'esercitazione dell'empatia, in cui il delinquente si deve mettere nei panni della vittima e cercare di sperimentare le sue emozioni (Goleman, 1996).

L'empatia è un'attività di base nel comportamento prosociale. La comprensione cognitiva dei pensieri dell'altro o lo sperimentare sentimenti simili, possono stimolare l'atteggiamento d'aiuto nell'autore.

La compassione

La compassione sarebbe la forma che prenderebbe l'empatia come capacità per identificare i sentimenti altrui di debolezza o abbandono e che può, inoltre, attenuare i conflitti di relazionali.

Queste due capacità: l'autocontrollo e l'empatia, sono fondamentali per il comportamento prosociale. Così, quindi, l'affrontare le proprie emozioni o il provare a porsi in relazione con quelle degli altri influirebbe sulla condotta prosociale.

Prosocialità e Competenze cognitive

Come si può insegnare la prosocialità a scuola?

I prerequisiti sociali

Per manifestare una condotta genuinamente prosociale è indispensabile che la persona abbia maturato e sperimentato nella propria vita di relazione l'insieme di abilità sociali che confluiscono nel concetto di competenza sociale. Per fare un esempio banale, immaginiamo che ci venga posta una richiesta alla quale potremo rispondere sì o no; una persona con ansia sociale risponderebbe di sì semplicemente perché non sa dire di no nel senso emotivo del termine, mentre una persona che decide di comportarsi in modo prosociale è perfettamente in grado di dire di no senza provare alcuna remora emotiva; tuttavia, riconoscendo e percependo il bisogno dell'altro, con molta probabilità tenderà a scegliere il sì in modo autonomo ed emotivamente soddisfacente. Non solo: ci sono circostanze nella vita di relazione in cui il modo migliore di aiutare un'altra persona è proprio quello di dire di no, e mentre la persona anassertiva continuerà ad avere i suoi problemi nel farlo, questo, nella prospettiva prosociale, sarà la scelta migliore.

I prerequisíti socioemotivi

Un'altra componente fondamentale della condotta prosociale riguarda l'empatia, non tanto come stato in una persona ma come processo (Rogers, 1975). Per quanto il concetto stesso di empatia non sia privo di complessità, al punto da configurarsi come una competenza comunicativa interazionale, rischiando una semplificazione per eccesso possiamo sintetizzarlo nei seguenti punti (Scilligo, 1992):

a) entrare nel mondo percettivo privato dell'altra persona e sentirlo familiare;

b) essere sensibili al cambiamento percepito dei significati che fluiscono nell'altra persona, alla paura, alla rabbia, alla tenerezza, alla confusione o a qualsiasi altro modo di sentire che l'altra persona sperimenta;

c) accettare in modo incondizionato l'altro non sentendo alcun bisogno di esprimere giudizi;

d) comunicare l'accettazione delle paure dell'altro;

e) verificare frequentemente la precisione di quanto si percepisce, lasciandosi guidare dalle risposte che l'altro fornisce;

f) diventare un amico confidenziale per l'altro nel suo mondo interiore;

g) indicare così i possibili significati della sua esperienza allo scopo di aiutarlo.

I prerequisiti cognitivi

Mussen ed Eisenberg-Berg (1985) hanno messo in relazione prosocialità e competenze cognitive.individuando nell'abilità di percepire il bisogno dell'interlocutore e di interpretarlo correttamente un prerequisito fondamentale. Non meno rilevante è la capacità di riconoscere che l'interlocutore può essere aiutato, valutando la propria competenza a tale riguardo.

I prerequisiti di autoregolazione

Ricci e Roche (2002) sostengono che, parallelamente alle competenze cognitive e sociali, un prerequisito allo sviluppo della condotta prosociale riguardano le coping skills, intese come abilità di fronteggiamento e autocontrollo.

Immaginiamo che questa persona sia un bambino che corre in bicicletta con i compagni; uno dei suoi amici buca una gomma. Il suo stato di bisogno è evidente e il bambino dovrà scegliere tra due alternative: continuare la corsa con gli altri o fermarsi ad aiutare il compagno. Quest'ultima alternativa è meno gratificante, ma la sua attuazione rappresenta una forma di autocontrollo e determina un comportamento prosociale.

Il problem solving interpersonale

Il problem solving interpersonale è «un processo psicologico relazionale che rende disponibile una varietà di alternative di risposta potenzialmente efficaci e aumenta la probabilità di scegliere la risposta più efficace tra le varie alternative Il modo in cui vengono gestite tali situazioni problematiche ha necessariamente delle ripercussioni sul piano della salute mentale, incidendo profondamente sull'adeguatezza del livello di funzionamento sociale dell'individuo» (Mirandola e Soresi, 1991).

Il programma Interpersonal Prosocial Cognitive Problem Solving

I programmi educativi ICPS di Shure e Spivack sono stati adattati per essere utilizzati nelle scuole italiane L'intero programma educativo mira a modificare l'adattamento comportamentale dei bambini, i quali, attraverso le lezioni messe in sequenza sotto forma di giochi, apprendono vari tipi di abilità che ricadono in cinque aree: le abilità linguistiche, lo sviluppo affettivo, l'educazione morale, sociale e intellettiva.

Il gioco è una componente continua e indissociabile delle attività. In effetti esso è la manifestazione essenziale dell'infanzia che ne caratterizza tutte le attività - sensomotorie, socioaffettive, costruttive, espressive e intellettuali. Dal lato intellettuale esso si configura come tipica forma dell'attività conoscitiva infantile.

L'apprendimento attraverso il gioco fa sentire il bambino inventore e protagonista delle sue azioni, sviluppa e arricchisce la sua creatività, soddisfa le sue esigenze affettive ed espansive; gli consente di avere un contatto più vivo e plastico con la realtà, serve come condizione e avvio alla socialità, perché esige il rispetto delle regole che comportano controllo, attenzione, sforzo e spirito di collaborazione (Cinguetti, 1971). È giocando, quindi, e soltanto mentre gioca, che il bambino è in grado di essere creativo e di fare uso dell'intera personalità, ma soprattutto di scoprire se stesso.

Sviluppo affettivo-emotivo

Lo sviluppo affettivo si verifica nel senso del costituirsi e del progressivo affinarsi sia di rapporti a carattere positivo, contrassegnati cioè da amicizia, attaccamento, amore nei confronti delle persone, luoghi, oggetti che formano l'ambiente psicologico del bambino, sia di rapporti a carattere negativo, contraddistinti cioè da inimicizia, risentimento, repulsione, gelosia. Compito dell'educatore e intento del programma è fare in modo non solo che si sviluppino e si consolidino i rapporti affettivi del primo tipo, ma che gradualmente cresca nel bambino la capacità di dominare tensioni e impulsi .

Educazione morale e sociale

Gli altri due momenti didattici su cui i programmi pongono particolare accento sono gli aspetti morale e sociale dell'educazione.). L'acquisizione di norme morali è alla base dello sviluppo di un comportamento genuinamente sociale. Le norme infatti riguardano spesso il comportamento del bambino nei confronti degli altri: il rispetto delle regole di un gioco, la lealtà, la sincerità, la solidarietà e l'aiuto reciproco sono infatti forme di comportamento morale in situazioni sociali (Francescato e Putton, 1990). Così un gioco di gruppo, un lavoro eseguito in collaborazione con i compagni, l'attesa del proprio turno in un'attività, il prestito spontaneo di un giocattolo segnano il primo avvio alla socializzazione, e si tratterà di un avvio efficace e promettente perché considerato in chiave esperienziale e vissuta, e non precettistica e formale (Dewey, 1949).

Educazione intellettuale

L'ultima fase educativa è quella intellettuale. Agli albori della psicologia scientifica, l'intelligenza veniva concepita o come una facoltà data una volta per tutte o come un sistema di associazioni meccanicamente acquisite. Attualmente la ricerca in questo ambito ha aperto nuove frontiere.