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sul riordino dei cicli
on
l'obiettivo di stendere un piano quinquennale di riforma ed una relazione
di fattibilità economica e logistica, il Ministro De Mauro a
Giugno ha nominato una commissione di esperti che ha concluso il 3 Settembre
i suoi lavori. Angela Nava, presidente del Cgd Nazionale, ha partecipato
a tali lavori. La sintesi della Commissione è disponibile nel
nostro sito e può essere prelevata (cliccare
qui).
Vi proponiamo una parte significativa della comunicazione in merito
inviata da Angela Nava ai Cgd locali e il contributo di Gigliola Sbordoni
Paoletti, esperta della scuola dell'infanzia e membro della Commissione
Nazionale di Studio per il Riordino dei Cicli di Istruzione che ci illustra
i nodi più critici della riforma.
Scrive
Angela Nava:
"Anche il Cgd , nella persona della Presidente, è
stato nominato all'interno della Commissione di esperti voluta dal Ministro
De Mauro sul riordino dei cicli, dato questo che implica un forte riconoscimento
non solo della nostra Associazione, ma anche del ruolo ufficialmente
riconosciuto ai genitori.
Il lavoro svolto in sottocommissioni , ha visto il Cgd inserito nel
gruppo di riflessione 6: Il piano dell'offerta formativa fra indirizzi
nazionali e realtà locali. Il tema fa riferimento all'art.8 del
Regolamento dell'autonomia, laddove si dà alle singole istituzioni
scolastiche la possibilità di determinare un 15% del curricolo
scolastico. Argomento difficile, spinoso perché va salvaguardato
il carattere nazionale della scuola italiana, a cui crediamo profondamente,
e, al tempo stesso, il rapporto con i singoli territori, con gli Enti
Locali, con le esigenze e le proposte che da quella singola scuola vengono.
I rischi sono evidenti e numerosi: a tessuti territoriali più
ricchi di risorse economiche o culturali potranno corrispondere scuole
più prestigiose o apparentemente più efficienti o moderne;
o ancora si può sostituire all'autoritarismo delle relazioni
tra singola scuola e Ministero, oggi esistente, un nuovo autoritarismo:
quello tra scuole e Regioni (come la legge 112 per certi aspetti va
già prefigurando).
Questo discorso inoltre ci rimanda a quello del tempo scuola: cosa pensiamo
realmente noi genitori "democratici" dei tempi scolastici
lunghi o medi? Li riteniamo davvero utili ad apprendere o ci sollevano
da un tempo di cura altrimenti insostenibile dall'attuale assetto della
famiglia odierna? Quale il tempo scuola ideale? 30 o 33 o 36 ore settimanali?
Riempite da cosa? Materie opzionali o da un progetto formativo per tutti,
anche per quei bambini che non si possono permettere il corso d'inglese
o di informatica a carico della famiglia? Ed inoltre cosa vogliamo che
i nostri figli abbiano dalla scuola? Forse oggi dovremmo ragionare capovolgendo
l'ottica: cioè non pensare al traguardo finale, ma riflettere
su quelle competenze e conoscenze che noi pensiamo debbano permanere
in ogni adulto e una volte individuate costruire su quelle. Dobbiamo
inoltre difendere rispetto ad una scelta della scuola secondaria che
diventa oggi più precoce, una seria politica culturale dell'orientamento,
che non è solo orientamento professionale, ma conoscenza di se
stessi ed inoltre la possibilità per i nostri adolescenti di
sbagliare, ma anche di tornare indietro o di compiere altre scelte senza
essere penalizzati da anni scolastici persi; dobbiamo chiedere che siano
veramente ridotti gli indirizzi delle scuole superiori (oggi più
di 100!) che complicano il momento delle scelte."
Questi sono solo alcuni degli elementi di riflessione che come cittadini
e genitori ci possono appassionare. Su questi temi il Cgd ha aperto
il dibattito nel quale è possibile inserirsi scrivendo o inviando
una e-mail.
A
conclusione del lavoro della commissione, ecco il contributo di Gigliola
Sbordoni:
UNA RIFORMA TANTO ATTESA
C'è
voluto il centro sinistra, l'ingresso in Europa, un ministro coraggioso
come Berlinguer ed oggi un ministro come De Mauro, militante da sempre
della riforma della scuola, perché la domanda di un cambiamento
organico del sistema scolastico e formativo del nostro paese venisse
finalmente accolta, e si creassero per i nostri ragazzi, per le famiglie,
per la società italiana, le condizioni di uno sviluppo verso
la "società della conoscenza" in cui il diritto all'istruzione
per tutti costituisca una risorsa irrinunciabile.
Il complesso di leggi e di regolamenti che compongono il mosaico della
Riforma, ultimo fra questi, il piano attuativo per il riordino dei cicli
di istruzione, presentato dal governo al Parlamento a novembre, è
una risposta globale alla miriade di critiche e di richieste, ai tanti
tentativi di innovazione che negli ultimi trent'anni nella scuola e
attorno ad essa si erano sviluppati.
I
Cicli di Istruzione
La
Riforma inserisce la scuola dell'infanzia a pieno titolo nel sistema
scolastico italiano, assegnandole un valore fondante per l'intero percorso
di istruzione (= curricolo) e crea l'obbligo per lo Stato di generalizzarla
su tutto il territorio nazionale.
E' questo un fatto di grande rilievo che non viene mai abbastanza compreso,
anche perché il dibattito che ha preceduto ed accompagnato il
cammino parlamentare della legge di riordino dei cicli si era accentrato
sulla questione se il percorso obbligatorio di istruzione dovesse iniziare
o meno dall'ultimo anno della scuola dell'infanzia. La soluzione scelta
alla fine dal Parlamento risulta essere la più avanzata. Il problema
infatti non è più quello di prevedere per le famiglie
l'obbligo di iscrivere i propri figli alla scuola dell'infanzia: non
siamo più agli inizi degli anni settanta, quando fu istituita
la scuola materna di stato e in Italia ancora circolavano abbondantemente
teorie pedagogiche secondo le quali il bambino a questa età doveva
stare con la mamma e le maestre sarebbero state brave quanto più
fossero state simili alle mamme! La famiglia italiana e in essa il ruolo
della donna, le relazioni parentali, la crescita dei figli sono profondamente
cambiati: la frequenza alla scuola dell'infanzia è considerata
ormai da tutti necessaria (già la frequentano il 94% dei bambini
italiani) e questa fascia scolastica in trenta anni di vita ha sviluppato
un alto livello qualitativo, raggiungendo punte di eccellenza conosciute
e apprezzate internazionalmente.
In questa situazione è assai più importante che lo Stato
si assuma l'obbligo di generalizzare questa scuola su tutto il territorio
nazionale e che il piano attuativo presentato dal Governo al Parlamento,
nell'esplicitare questo obiettivo, si proponga, accanto a interventi
perequativi della sua diffusione su tutto il territorio nazionale, l'obiettivo
di generalizzarne la qualità ...."anche a partire dal
patrimonio delle scuole di eccellenza già esistenti".
Il piano attuativo dice anche altre due cose di grande importanza: gli
Orientamenti del 1991 della scuola dell'infanzia costituiscono una fonte
a cui attingere per l'impianto curricolare dell'intero percorso scolastico:
Essi infatti guardano alla persona del bambino in tutte le sue dimensioni
e inducono a sviluppare quindi quell'attenzione ai contesti formativi
e relazionali dell'apprendimento, che la riforma dell'intero sistema
formativo vuole decisamente introdurre in tutti i cicli di istruzione.
Dal ruolo fondativo che il piano attuativo attribuisce alla scuola dell'infanzia
discende l'altra importante affermazione che anche "le modalità
operative" (l'organizzazione degli spazi, l'attenzione ai contesti
di apprendimento, le relazioni etc.) della scuola dell'infanzia dovranno
permanere anche nei primi due anni del ciclo primario.
Il
ciclo primario di sette anni (6-13 anni) rappresenta il cuore della
Riforma , quello su cui andranno investite più risorse per la
trasformazione e non solo da parte del governo, dei dirigenti scolastici,
degli insegnanti, ma anche da parte degli Enti Locali.
Esso - realizzando un disegno a lungo perseguito dalla pedagogia democratica
italiana- crea le condizioni strutturali perché i bambini e i
preadolescenti possano finalmente avere una scuola di base unitaria,
senza le cesure e le fratture che fino ad oggi hanno patito dovendo
transitare da una scuola all'altra. Con l'attuazione della Riforma non
esisteranno più la scuola elementare e la scuola media, ma un
unico ciclo, intermedio e non conclusivo dell'obbligo scolastico.
Una nuova scuola dunque dove ci sarà il tempo per acquisire e
padroneggiare "competenze di base che si aprono ad un successivo
sviluppo"; una scuola dove "il passaggio dagli ambiti più
generali del sapere e dell'esperienza alle discipline più formalizzate
e definite" sia reso possibile per tutti; una scuola dove, stante
la centralità della persona che apprende, le discipline siano
per le ragazze e per i ragazzi "strumenti conoscitivi con cui interpretare,
in modo ricco di senso, i vari campi della realtà". Un ciclo
lungo, che consente "l'emergere dei nuclei disciplinari dagli ambiti
iniziali più generali", una scuola dove sarà possibile
prevedere "spazi di reale flessibilità nell'organizzazione
della didattica" che consentano di personalizzare il percorso curriculare
di ciascun alunno, facendo "interagire i ritmi dei soggetti dell'apprendimento
con i percorsi di insegnamento".
Tutto questo sarà reso possibile perché non esistono più
due scuole, la elementare e la media, con "programmi ministeriali"
che nei contenuti si ripetevano e si sovrapponevano, ma un unico percorso
(=curricolo) formativo. Un unico percorso i cui obiettivi generali formativi
e di apprendimento saranno definiti nazionalmente per ciascun ciclo,
come nazionalmente verranno definite le discipline e le attività
ritenute obbligatorie, ma che (grazie ad un'altra grande innovazione
introdotta dalla Riforma più complessiva del sistema scolastico,
che ha istituito le scuole autonome, togliendo anche dal punto di vista
istituzionale rigidità al sistema) avrà spazi di articolazione
e flessibilità nella "quota" di curriculo a disposizione
della progettazione di ciascuna scuola autonoma. E' evidente che per
quanto riguarda la scuola di base e il carattere intermedio del ciclo
primario, la quota autonoma di curricolo a disposizione di ogni singola
scuola sarà spesa per personalizzare al massimo i percorsi formativi
degli alunni, sulla base delle loro esigenze, dei loro interessi, dei
loro ritmi di apprendimento, delle risorse culturali ed educative fornite
dal territorio.
Sulla unitarietà del ciclo primario resta da dire che una delle
condizioni materiali perché si possa attuare è che la
scuola di base sia collocata in un unico edificio, all'interno del quale
realizzare quell'integrazione di professionalità e di percorsi
fino ad oggi anche fisicamente separati nelle due scuole, elementare
e media. Questa parte del piano attuativo chiama in causa le competenze
che in materia di dimensionamento e di edilizia scolastica hanno i Comuni
e la capacità che essi dovranno avere da subito di procedere
in tal senso. Il Piano attuativo, infatti, se non subisce modifiche
da parte del Parlamento, prevede che già dall'anno scolastico
prossimo parta l'attuazione della riforma del ciclo primario, che interesserà
le prime e le seconde classi dell'ex scuola elementare.
Del
Ciclo Secondario la cosa principale da dire è che termina a 18
anni e che ciò equipara i nostri ragazzi a quelli degli altri
paesi europei. L'altra cosa è che i primi due anni di scuola
secondaria sono obbligatori (cioè fino a 15 anni) e che i ragazzi
hanno la possibilità di scegliere più consapevolmente
e meno precocemente, essendo all'interno di una stessa scuola, l'indirizzo
dei loro studi. La terza cosa è che cessa l'assurdità
degli oltre 200 indirizzi che nel nostro paese hanno caratterizzato
fino ad oggi l'istruzione superiore, e viene previsto il superamento
della persistente gerarchia degli studi ( il liceo classico: il migliore,
l'istituto professionale: il peggiore): esiste, dopo la Riforma, un'unica
scuola secondaria superiore che si chiama in un solo modo: liceo.
Il piano attuativo ha proposto al Parlamento quattro indirizzi: umanistico,
scientifico, tecnico, artistico.
I quattro indirizzi sono compresi in un unico ciclo e l'articolazione
dei percorsi (=curricoli ) sarà tale da consentire il passaggio
da un indirizzo all'altro senza perdere un anno di scuola (aree di equivalenza,
flessibilità, crediti formativi, percorsi passerella).
La flessibilità dei percorsi è resa possibile, anche nel
ciclo secondario, dall'autonomia delle istituzioni scolastiche a cui
è affidata nella quota di curricolo "locale" la progettualità
dell'integrazione del curricolo obbligatorio definito a livello nazionale.
Il curricolo della scuola secondaria dovrà rinunciare a finalità
di formazione specialistica, per realizzare "un'ampia e qualificata
diffusione di livelli di formazione generale", consentendo l'uscita
al termine dei cinque anni verso la formazione universitaria, verso
la istruzione/formazione tecnica superiore (IFTS),verso la formazione
professionale di secondo livello.
Riforma universitaria e mutamenti del mondo del lavoro impongono entrambi
che la scuola secondaria fornisca agli studenti un'elevata e diffusa
formazione teorica e culturale.
Un aspetto della riforma complessiva del nostro sistema di istruzione/formazione,
poco conosciuto , che ha una portata fortemente innovativa, e che è
già operante è l'istituzione dell'obbligo formativo fino
a 18 anni, oltre l'obbligo scolastico a 15 anni. E' fatto cioè
obbligo alle famiglie e allo lo Stato di occuparsi della formazione
dei giovani oltre i 15 anni. Questo significa che se un ragazzo dopo
i 15 anni non prosegue ( o ha interrotto) gli studi, di lui devono occuparsi
appositi servizi (i Servizi per l'Impiego, già costituiti in
ogni territorio provinciale) attraverso un'azione di orientamento, di
inserimento nella formazione professionale (o della messa a punto di
percorsi integrati formazione/istruzione), di accompagnamento al lavoro.
Le scuole sono obbligate a comunicare i nominativi dei ragazzi che abbandonano
la scuola al quidicesimo anno di età e i Servizi per l'Impiego
sono tenuti a convocarli attivando in loro favore le azioni suddette.
Un'ultima notazione, a completamento del mosaico della Riforma, riguarda
la costituzione del sistema integrato di istruzione/formazione che comprenda
anche l'educazione degli adulti, intesa come attuazione anche nel nostro
paese di opportunità di educazione/formazione/istruzione lungo
tutto l'arco della vita, per la realizzazione piena del diritto di cittadinanza
nella "società della conoscenza".
Il riferimento è alla Conferenza unificata Stato Regioni svoltasi
i 3 marzo 2000 presso la Presidenza del Consiglio. In essa, oltre allo
stabilire gli impegni che Stato e Regioni concordemente assumevano rispetto
all'attuazione dell'obbligo formativo è stato siglato un accordo
per "riorganizzare e potenziare l'educazione permanente degli adulti"
definendone già, anche se ancora in termini molto generali, obiettivi
e strategie.
Gigliola
Sbordoni Paoletti
Commissione Nazionale di Studio per il Riordino dei Cicli di Istruzione
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