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speciale

Angela Nava
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Pino Centomani
Sergio Tavassi
Tavola rotonda "per Marisa"
Tavola rotonda finale
 
 

il bambino sregolato
Il bambino sregolato

Angela Nava - Presidente Nazionale del Coordinamento Genitori Democratici

Aprire un incontro come quello di Castiglioncello con la sua cadenza biennale, consolidato nel tempo e nell'immaginario e quindi divenuto fonte di aspettative e di riti, comporta, al di là di ogni liturgia, una forte dose di implicazione emotiva.

Questo incontro in particolare, il quindicesimo ma a vent'anni dal primo, ha in sé una grande valenza simbolica che lega fortemente passato, presente, progettualità futura. Non solo perché rivedo gli amici di sempre ed insieme i nuovi (che hanno seguito il CGD nel percorso di ricerca, nel non rassegnarsi all'idea di un esistente immodificabile, privilegiando il dubbio ed il pensiero critico nel patto di responsabilità che con le generazioni future dobbiamo stipulare) ma soprattutto perché siamo qui grazie anche all'ostinazione lungimirante di un Ente Locale che sull'infanzia continua ad investire. Il ringraziamento a tutti loro, amministratori e personale, nasce sincero da una riflessione politica: siamo consapevoli, in tempi di finanziarie irrispettose ed irridenti dei diritti e dei bisogni dei cittadini, della difficoltà di un'amministrazione comunale nel progettare e garantire qualità dei servizi ed ascolto. Siamo, però, altrettanto certi che nel nostro paese, più che nel passato, gli enti locali siano il luogo in cui decisori politici e cittadini possano praticare un nuovo terreno di incontro democratico: che diano vita ad una sussidiarietà che non può, come la visione politica dominante vuole, consistere nel colmare il vuoto delle politiche nazionali, che pensino a “città affettuose”, città sostenibili coniugando progetto e programma e rilanciando la partecipazione non come condizione aggiuntiva, ma come elemento fondamentale.

Ricostruire una nuova agorà, dove si vengono a ricomporre identità e interessi per creare regole e istituzioni democratiche nelle quali l'individuo si possa riconoscere attore nella vita sociale: anche di questo nuovo terreno di regole, come trama di una democrazia oggi in crisi, vogliamo occuparci nel nostro Bambino, per il nostro Bambino.

Il nesso tra passato e presente è oggi reso più evidente dall'assenza di chi non c'è più, ma che sentiamo fortemente con noi: a Marisa Musu è dedicata una giornata di festa e ricordo ma è la ventennale esistenza nell'associazionismo laico italiano del CGD e del suo bambino, a confermare che “giusto era il segno” da lei perseguito quasi trent'anni fa.

Ad avviarci alla riflessione sul binomio regole-libertà è stata proprio Marisa, quando nel congedarsi a Castiglioncello nel 2002, ci aveva ricordato l'importanza di ragionare sul bambino libero ma in una dimensione di solidale generosità. Il binomio regole e libertà ci è apparso subito carico di contraddizioni e di aporie irrisolte. Come conciliare l'educazione di personalità libere e critiche con la costruzione delle regole? Come parlare di libertà quando correnti culturali e movimenti politici ce la indicano solo come spirito del libero mercato, un'idea di libertà che si confonde con l'assenza di regole? E sono quegli stessi poteri forti che attraverso l'allentamento dei vincoli normativi e dello spirito pubblico mirano a conquistare ogni spazio delle relazioni sociali, gettando sul mercato ogni tipo di beni, anche i diritti fondamentali, anche i diritti di libertà.

Nell'attuale stato d'emergenza planetario, l'insicurezza e la paura ci dominano: l'ideologia della sicurezza come bene primario può diventare giustificazione per ogni genere di limitazione dei diritti fondamentali.

Né la riflessione su regole e libertà può dimenticare nuovi e più raffinati controlli che la rete informatica consente: il nuovo genitore rischia di farsi sedurre dalla sicurezza elettronica (ad esempio il braccialetto elettronico per localizzare in ogni momento i bambini) per cercare di soddisfare l'onnivoro bisogno di rassicurazione degli adulti, divenuti incapaci di sopportare il l'autonomia dei figli, tappa ineluttabile della crescita, ma addirittura il loro allontanamento temporaneo da noi. Esplicativo è il dato sulla natalità in Italia, ultima tra le nazioni europee: i bambini sono percepiti come una merce ormai rara e preziosa. Questa consapevolezza, però, non sta incidendo sulle politiche nazionali per l'infanzia che ad essa destina ancora solo lo 0,9% delle sue risorse. C'è un nesso tra investimenti avari e miopi e il tasso di natalità?

Intanto rileviamo una proliferazione di atteggiamenti di chiusura e ripiegamento, autodifensivi, individualistici, che bene si coniugano con un mercato che fa del bambino e dei prodotti a lui destinati un consumatore d'eccellenza: bambino appunto come gioiello prezioso da mettere in cassaforte, da preservare, insomma che non cresca.

Legato a regole e libertà, è il nodo dell'autonomia: come ci ha fatto riflettere Iacono: “L'autonomia implica la facoltà di disobbedire, ma sarebbe paradossale che fosse colui che si trova più in alto nella scala del potere a decidere il momento del passaggio dall'obbedienza all'autonomia”. Non elogio della disobbedienza quindi, della sregolatezza, ma consapevolezza che “l'obbedienza piuttosto che essere in armonia con la libertà, non può che esserne in tensione”.

Il genitore sembra, però, aver rinunciato consapevolmente all'autorità, memore dei danni che un'educazione autoritaria produce: assistiamo spesso ad un atteggiamento di resa, ad una generalizzata incapacità a dire di no, rinunciando ad essere adulto di riferimento pur di non dover sopportare in alcun modo il malessere di dare anche quella piccola frustrazione. Questa rinuncia porta ad un'ulteriore abdicazione: quella ad essere se stessi con le proprie convinzioni, passioni, ideologie, debolezze, subordinando il proprio essere persone reali all'ansia di evitare per i propri figli ogni genere di conflitto.

Inoltre questo atteggiamento consegna, senza lottare, i propri figli alla cultura dell'omologazione, alla moda del momento e alla legge del mercato e si riflette negativamente sugli stessi processi di identità.

Non a caso crescono (insieme al consenso che ricevono) le pubblicazioni che ricordano al genitore i no che fanno crescere, i si fa come dico io e cresce l'ambizione statistica di misurare i fenomeni di bullismo, raggruppando sotto questa categoria tutti i fenomeni di prevaricazione, prepotenza, devianza e disagio rispetto ai quali le forme di potere che gli adulti esercitano (penso a quelle della scuola registro, voto, sanzione, espulsione) rivelano la loro inefficacia. Cresce l'allarme verso nuove modalità del divenire donne che rompe con molti stereotipi. Aggressività e pratiche sessuali precocissime tra le giovanissime ci svelano romanzi di formazione a noi ignoti. Cresce la voglia di contenimento, se è vero che la reintroduzione del voto di condotta che confina e definisce situazioni che si intrecciano strettamente con il processo di apprendimento, ha incontrato il favore della maggioranza degli educatori-genitori ed insegnanti. Si diffonde la geremiade sui ragazzi sregolati appunto, non necessariamente violenti, trasgressivi o pericolosi ma incapaci di riconoscere (e quindi di rispettare) l'esistenza di regole, di un galateo sociale diffuso che silenziosamente regolamenta le interazioni, le precedenze, l'uso dei tempi, delle parole, degli spazi sociali, che da generazioni omogeneizzava il significato dei comportamenti sociali.

È necessario ripensare ai luoghi reali e simbolici, in cui è possibile condividere e negoziare un sistema di regole con le nuove generazioni.

L'idea di una genitorialità sociale e diffusa che da sempre perseguiamo diventa ancora più necessaria in una società come quella italiana in cui il 40% delle famiglie denuncia la difficoltà a tenere il ritmo con altre agenzie educative e lamenta la difficoltà a trasmettere valori positivi, mentre ben il 64% denuncia la solitudine delle famiglie rispetto alle istituzioni sociali (indagine CENSIS). Genitorialità diffusa anche come antidoto all'individualismo che pervade persone, relazioni sociali, stili di vita e di pensiero: individualismo assunto come paradigma della modernità, al quale ci siamo un po' tutti subalternamente piegati. Negli ultimi decenni, infatti, abbiamo assistito al passaggio da una società delle regole condivise a una società dei rischi individualizzati, da una società della continuità e della stabilità a una società del mutamento discontinuo.

Bisogna ripensare in primis alla scuola, partendo dalle persone e non dagli individui, sapendo che la scuola è un versante decisivo: da lì si dipana il mondo del lavoro, delle istituzioni, dei diritti delle persone ed è nella scuola che parole come “ solidarietà e comunità” possono diventare situazioni concrete.

Da qui ribadiamo il nostro No alla riforma della scuola: perché siamo vicini ai movimenti diffusi nel paese che si oppongono ad una scuola avara di risorse e sprezzante rispetto ai tempi e alle diversità dei bambini (un movimento diffuso che ribadisce che questa istituzione appartiene a tutti i cittadini e non è e non può essere appalto o delega degli addetti ai lavori) ma soprattutto perché dietro questa idea di scuola si cela un'idea della politica e della società che abbandona i suoi cittadini all'individualismo e alla competizione di un mercato senza regole. Proprio mentre si afferma la loro centralità, si abbandonano i bambini di questo paese, alle scelte degli adulti e dei loro bisogni, non si scrive un patto con le nuove generazioni.

Diciamo quindi no ad una scuola sregolata. E non certo perché nostalgici di un modello centralistico e statalista, ma perché capaci di progettare la scuola che vogliamo: scuola che deve rinnovare la mission tradizionalmente affidatele, quella cioè di formare un cittadino nazionale, europeo, planetario. E' necessario assumersi la responsabilità non solo delle opportunità di base e per tutti, ma anche degli esiti: compito assai più complesso dell'offrire qualche ora di lingua straniera o di informatica come strategia dell'inclusione sociale. (eliminando nel contempo ogni accenno alla teoria evoluzionistica!!).

Abbiamo bisogno di costruire una democrazia cognitiva che spezzi la spirale antidemocratica del progresso tecnico-scientifico attuale, che emancipi la maggioranza di uomini e di donne dall'ignoranza indotta dall'esplosione mediatica, che contribuisca a creare un'attenzione informata e consapevole sui grandi temi che lo sviluppo delle tecnologie di manipolazione della vita e della natura pone oggi al cospetto del mondo.

Abbiamo bisogno di ripensare a nuove regole per un'integrazione necessaria, ad una riflessione nuova sulla laicità cui il dibattito francese ha fatto da apripista.

A questo compito ci chiama la Costituzione , ma anche e soprattutto la necessità di individuare i terreni per un'integrazione che vada al di là della generica tolleranza. Sembra infatti che il termine tolleranza sia usato nella sua accezione peggiore o solo etimologica: sopportare o mal sopportare tutto ciò che si crede insidioso rispetto ad un'identità nazionale oggi, in tempi di ibridazione identitaria, più che mai sospetta. Problemi che solo fino a ieri ci sembravano lontani ed estranei, ma che già la cronaca ci avvisa diventeranno all'ordine del giorno se non sapremo affrontare, in tempo e a tutti i livelli, le questioni che la presenza dell'altro porta con sé. Senza toni da crociata.

Paradossalmente le due opposte idee di laicità dello Stato in Italia e in Francia producono effetti simili sulla libertà dei cittadini. Ma al fondo resta un problema di base che bene Chiara Saraceno ha messo in luce in un articolo dal titolo Il velo no, il piercing si? : “Come potranno tutte e tutti imparare il rispetto delle reciproche differenze se non possono vederle e comunicarle nello spazio pubblico?”.

Non abbiamo risposte precostituite: insieme ai relatori vogliamo intraprendere un percorso di riflessione su questi temi e nei workshop, che da sempre costituiscono le gambe dei nostri incontri, proporre buone pratiche e buona scuola.

Nel lasciarvi ai lavori vi consegno un'immagine che ci interroga drammaticamente come genitori, come educatori come cittadini: è quella del quattordicenne fermato con una cintura kamikaze a Nablus e pronto a farsi esplodere. Se l'inferno quotidiano palestinese, immensa prigione per tre milioni di individui, spinge anche i ragazzini ad essere disponibili, chiunque usi questa disponibilità diventa speculare alla logica dell'occupante che pure non ha esitato a sparare su ragazzi armati di sassi. È un mondo che uccide i propri bambini e cancella con essi il diritto alla vita. Salviamo i ragazzi! Salviamoli rendendo fertile la loro spontaneità, facendo convivere la nostra memoria con la loro libertà, difendendo entrambe da chi vorrebbe cancellarle.

Scriveva Marisa Musu nel 2000, concludendo l'introduzione alla storia della nostra associazione: “Oggi più e meglio di trent'anni fa, abbiamo la consapevolezza che essere genitori in Italia, pur con tanti problemi ed angosce, è un privilegio rispetto alla condizione dei padri e delle madri dell'India, dell'Angola, del Brasile, di due terzi del mondo. Proprio di fronte alle dimensioni cosmiche del problema, abbiamo coscienza di aver fatto poco, pochissimo, un granello di sabbia, poche gocce d'acqua.... Ai genitori giovani che hanno preso il nostro posto lasciamo questa consapevolezza e affidiamo questa volontà”.

Buon lavoro a tutti