1/2004 | |
[ home ] | [1/00] [2/00] [1/01] [2/01] [1/02] [1/03] [2/03] [1/04] [2/04] [1/05] [2/05] [1/06] [2/06] [1/07] |
Angela Nava
|
Manuela Naldini - Docente di Sociologia della famiglia, Università di Torino ue i fenomeni peculiari del modello “forte” di famiglia italiana: il basso tasso di fecondità e la tardiva uscita dei giovani di casa. La solidità dei rapporti familiari, di coppia, intergenerazionali e parentali (vizio o virtù della famiglia italiana?!) si sta trasformando in uno dei maggiori fattori di debolezza e vulnerabilità sociale delle famiglie. Le politiche sociali, e in particolare quelle a sostegno delle responsabilità familiari, per lungo tempo scarse e poco attente, hanno iniziato dalla fine degli anni Novanta ad essere oggetto di una rinnovata attenzione: tuttavia, queste si rivelano oggi profondamente inadeguate nel sostenere le scelte procreative delle giovani coppie. Inoltre, nella misura in cui tali politiche continuano ad affidarsi alla “forza” delle reti parentali per la cura dei bambini e degli anziani invece di incentivare una “buona” offerta di politiche e servizi pubblici rendono del tutto incerta la “tenuta” delle famiglie nel lungo periodo. Si è parlato a questo proposito di “familismo ambivalente”: un modello di welfare che seppure esplicito nelle finalità che persegue appare ambiguo e poco attrezzato nei mezzi proposti. Il ruolo del welfare state e delle politiche sociali in Italia può essere analizzato alla luce dei dati più recenti relativi: a) alle soluzioni di conciliazione famiglia-lavoro dei genitori di fronte al problema della cura dei figli in età pre-scolare; b) dati nazionali e regionali sulle politiche per l'infanzia in Italia, dalla 285/97 agli asili nido aziendali e interaziendali. (sintesi non rivista dall'autore) |