1/2004 | |
[ home ] | [1/00] [2/00] [1/01] [2/01] [1/02] [1/03] [2/03] [1/04] [2/04] [1/05] [2/05] [1/06] [2/06] [1/07] |
Angela Nava
|
Giovanna Zunino - CGIL Scuola n’inchiesta qualitativa, condotta nel 2003, mediante interviste semi-direttive, su un campione eterogeneo e casuale, di un centinaio di genitori pugliesi della scuola dell’infanzia o della scuola elementare, ci presenta un vasto campionario di opinioni, concezioni, valutazioni, aspettative diverse e spesso opposte nei riguardi della scuola, nonché di spiegazioni e motivazioni circa le intenzioni di scelta o le scelte già operate, altrettanto disparate e contrastanti. Così, per fare alcuni esempi, ci si trova al cospetto di genitori favorevoli all’anticipo della scuola dell’infanzia, per necessità, con cautela o risolutamente. Altrettanto nutrito e differenziato al suo interno è il gruppo di contrari: per principio, di fatto o contrari per i propri figli ma possibilisti per gli altri (non la ritengono una scelta “giusta” a due anni e mezzo, ma si mostrano sensibili a comprendere la ‘necessità’ diversa di tanti genitori, ad esempio, delle ‘mamme che non stanno a casa’). Parimenti troviamo i nostri genitori ‘spaccati’ tra favorevoli e contrari all’anticipo nella scuola elementare; ed ancora, relativamente ai soggetti cui spetterebbe la scelta dell’anticipo, tra autoreferenziali (che tendono a sostenere, in definitiva, l’esclusiva legittimità e competenza dei genitori), collaborativi oppure propensi a delegare (secondo i quali spetterebbe essenzialmente agli insegnanti o alla scuola in generale il compito di valutare e di dare indicazioni precise ai genitori). Circa il grado di soddisfazione e le stesse aspettative riposte nei confronti della scuola, infine, ciò che da una parte di genitori viene considerato positivamente da un’altra parte di essi viene considerato negativamente e fatto oggetto di malcontento o perlomeno di indifferenza o di perplessità (ad esempio: imparare a scrivere, frequentare la ‘primina’ o il terzo anno ‘sperimentale’ nella scuola ‘materna’, oppure, nella scuola elementare, il team di insegnanti, il tempo pieno, le attività extrascolastiche, ecc...). L’indagine esplorativa cui si è fatto cenno, ha intanto il merito di fare un po’ di chiarezza tipologica all’interno di quel magma indistinto che è l’insieme delle famiglie, quando ‘la famiglia’ viene assunta invece come soggetto unitario ed omogeneo, come entità astratta, la cui ‘libertà’ in tema di scelte scolastiche è ossessivamente conclamata, talvolta con qualche pizzico di convinzione, più spesso, speciosamente e pregiudizialmente. Qui in sostanza si confrontano due impostazioni di fondo relative al rapporto ‘scuola/famiglia: secondo la prima la scuola tenderebbe a comportarsi (così come alcuni intervistati ritengono che avvenga specialmente, ma non soltanto, in tante scuole private) nello stesso modo delle altre aziende produttrici di beni di consumo o di particolari servizi, che commisurano l’efficacia della propria attività e la qualità del proprio prodotto, al ‘soddisfacimento del cliente’. La seconda impostazione, invece, tenderebbe a favorire un dialogo permanente con i genitori ma sul terreno fermo di orientamenti culturali di carattere generale conformi ai fondamentali criteri di valore della Costituzione e di proposte formative e didattiche, confermabili e sostenibili dalle conoscenze scientifiche e dalle esperienze professionali accumulate. Se il bene istruzione rappresenta qualcosa di delicato e complesso inerente alla crescita ed al benessere delle nuove generazioni e, dunque, anche allo sviluppo ed al benessere generale della società nel suo complesso, sarebbe inadeguato e addirittura pericoloso, assumere il gradimento del genitore-utente quale criterio risolutivo della entità e della qualità dell’offerta di questo particolarissimo bene. Non è difficile prevedere, ad esempio, per quale tempo scuola propenderebbero, se chiamate a decidere, tante di quelle famiglie dei popolosi quartieri ‘emarginati’ delle nostre città, nelle quali la frequenza della scuola media inferiore è vissuta come obbligo piuttosto che come diritto, preoccupate come sono di ridurre il più possibile l’entità del lucro cessante conseguente ad un impegno lavorativo dei propri ragazzi, ridotto forzosamente. Non si tratta di trascurare la componente ‘famiglia’ che anzi vede affermato il ruolo di soggetto centrale - sebbene non unico - della dialettica ‘scuola società’. Il genitore, all’interno di questo processo di ‘negoziazione permanente’ può e deve poter pesare e in qualche misura contribuire a definire soluzioni accettabili (organizzative, didattiche, curricolari, ecc.) ma, al pari di tutti i soggetti coinvolti (interni ed esterni alla scuola), potrebbe anche finire talvolta per rivedere e modificare sostanzialmente le proprie posizioni di partenza. In tale prospettiva parrebbe utile passare, accogliendo anche i suggerimenti ricavabili da questa prima esplorazione, all’elaborazione di un vero e proprio progetto di ricerca e quindi alla costruzione di un questionario da sottoporre a campioni statisticamente significativi di genitori di questa o quella realtà territoriale (a scala regionale, provinciale, distrettuale, comunale, sub-comunale) in modo da poter disporre alla fine non solo di attendibili dati descrittivi (quantificazione e dislocazione dei diversi tipi di atteggiamenti e comportamenti) ma anche e soprattutto di plausibili ipotesi esplicative (rispetto a variabili sociali, culturali, ambientali, ecc.). (sintesi non rivista dall’autore) |