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Angela Nava
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Tavola rotonda della domenica 4 aprile Resoconto a cura di Manuela Giuffrida Ha aperto la tavola rotonda dal titolo “Libertà, regole, trasgressione: e gli adulti che fanno...?” il coordinatore Marino Sinibaldi, conduttore di Fahrenheit e Vicedirettore di Radio Rai: ha descritto la realtà attuale, focalizzando l’attenzione sulla sempre più marcata dicotomia della nostra società. La nostra storia e le grandi trasformazioni ma anche la cronaca quotidiana sono fortemente lacerate tra due esigenze: la libertà e la sicurezza. Assistiamo a un deficit di etica pubblica ma contemporaneamente abbiamo leggi che regolano ogni nostro comportamento, dalla socializzazione alle scelte individuali, dalla famiglia all’alimentazione. La comunicazione è asimmetrica - da una parte sempre più codici in circolo e dall’altra la loro crescente impotenza - e anche i genitori spesso contribuiscono a confondere le acque. Cosa possono fare o non fare gli adulti in questo mondo lacerato?
Il primo intervento è stato quello di Massimo Canevacci, professore di Antropologia Culturale presso l’Università La Sapienza di Roma. Parlando della comunicazione tra i diversi mondi degli adulti e dei giovani, ha messo in luce la necessità che i genitori imparino ad ascoltare e osservare i loro figli. Non bisogna ignorare forme di comunicazione silenziosa, come le scelte di abbigliamento e di arredamento della propria camera da parte degli adolescenti: sono importanti veicoli del dialogo che spesso non ricevono la dovuta attenzione dai genitori e al contrario sono frequentemente causa di scontro. Bisogna quindi sensibilizzare gli adulti all’ascolto: gli oggetti, le marche, tutte le cose parlano ed è sbagliato rinchiudersi in posizione di difesa dei propri valori perché le regole sono importanti ma i codici cambiano molto velocemente. I ragazzi, infatti, si trovano in una situazione di transito, di gran confusione: le vecchie norme non valgono più ma ancora le nuove non si sono affermate. L’adulto non può essere solo un controllore e un osservatore ma deve instaurare una relazione dinamica: la regola stessa non può essere un’etichetta, una concezione stabile ma deve esprimere la voglia di sperimentare, di infrangere ogni chiusura, deve essere un transito verso il molteplice. L’infrazione, infatti, è parte della norma e i tabù sono fatti per essere infranti. Spesso il genitore non è in grado di aiutare il figlio nel processo di costruzione dell’identità, che è sempre più divaricato tra il rischio dell’omologazione e il pericolo dell’emarginazione. Infine, l’unico modo per includere positivamente nella scuola e nella società l’interculturalità dei ragazzi è trovare un punto di vista che sappia creare identità pluralizzate, per evitare un’impostazione discriminatoria, affibbiando etichette e bloccando i ragazzi nel ruolo di rappresentante della propria cultura d’origine.
Cesare Mirabelli, presidente del Consiglio nazionale degli Utenti ha focalizzato il suo intervento sulle regole e diritti dei mezzi di comunicazione. “Marisa Musu - ha spiegato - ci ha insegnato ad esprimere il proprio punto di vista solo dopo aver ascoltato gli altri.” Così partendo dalla libertà d’espressione si arriva a parlare dei diritti dell’infanzia. Per tutelare i minori da ciò che viene trasmesso dai media, i genitori di solito assumono due atteggiamenti: il primo è quello del custode, al quale la crescente preoccupazione suggerisce di prevenire il problema rimuovendo ogni contatto con il pericolo. Il secondo comportamento è quello rivolto ad educare il bambino, accompagnandolo nell’uso dei mezzi di comunicazione per dare una maggior consapevolezza: nella libertà d’azione il minore acquisisce una propria responsabilità che lo tiene lontano dal rischio. Anche l’impegno della scuola deve andare in questo senso. Esistono e sono molto importanti le leggi e i codici di autoregolamentazione ma rappresentano un passo successivo: infatti hanno funzione di controllo e di punizione del consumo di cattivi prodotti ma l’impegno di tutti dovrebbe essere per far sì che ci sia un buon prodotto. È fondamentale che anche i cittadini si mobilitino per valutare la qualità e rendere noto il rischio prima del consumo: non si esclude la norma ma la responsabilità degli utenti sta nell’essere più attivi verso gli emittenti di ogni flusso comunicativo, affinché si imbocchi una strada migliore.
L’intervento successivo è stato introdotto dal coordinatore Marino Sinibaldi con una provocazione: è vero che le regole per educare un figlio sono le stesse poche e semplici norme per l’educazione dei cani da caccia? Fulvio Scaparro psicoterapeuta e direttore scientifico dell’associazione GeA risponde che un altro invito alla riflessione. “Il cacciatore - dice - ha il ruolo di guida ma se non caccia, il cane è disorientato e gira a vuoto. Meno parole e più esempi.” Critica, quindi, una frase di Massimo Canevacci affermando che i tabù non sono fatti per essere infranti, pur essendo frangibili: sono divieti molto forti, quasi sacri perché dettati non solo dalle convenzioni sociali ma hanno ragione d’esistere nell’ottica della selezione e sopravvivenza della specie. Prosegue poi con una riflessione riguardo alla questione del crocifisso nelle aule scolastiche: la cosa più importante è tutelare il diritto a non avere una fede, a scegliere di non essere inquadrati sotto nessuna bandiera. Nella vita intesa come lotta di liberazione da ogni vincolo tranne quelli scelti liberamente, dovremmo difendere la parete nuda, sulla quale ognuno può proiettare il simbolo che preferisce o anche nessun simbolo. Fulvio Scaparro passa poi all’analisi della nostra società: siamo tutti “signorini soddisfatti” per i quali, in un’epoca di appagamento totale, ogni cosa è delusione e niente più è da conquistare. In questa piccola parte di mondo nella quale possiamo permetterci il lusso del superfluo, siamo immemori del sangue versato per conquistare quello che abbiamo: diamo tutto per scontato, non apprezziamo la fortuna che abbiamo e non tolleriamo negli altri la non libertà. L’errore è di chi non ha trasmesso alle nuove generazioni il racconto degli sforzi fatti, lasciando che i giovani non abbiano la consapevolezza che tutte le conquiste si possono perdere, soprattutto perché nella nostra società esistono forme nuove e più sottili di limitazione della libertà - ad esempio screditando una persona o non dandole visibilità sui mezzi di informazione: non si viene arrestati ma nessuno sta ad ascoltare ciò che si ha da dire. Il compito degli adulti deve essere questo: insegnare ai giovani che tutto è fatica e non una concessione, che non ci si deve limitare a sopravvivere ma bisogna rischiare di dare un senso alla propria vita. Non si può essere solo rappresentanti dei predecessori ma persone che lottano per il loro destino: essere avventurosi, non avventurieri. Accettando di essere “cavalieri con macchia e con paura”, scegliamo di pagare il prezzo delle nostre scelte perché fatica e rischio sono necessari per riscrivere, adattando a noi stessi, ogni copione ricevuto. Interpretare il senso della vita significa amarla.
Pierpaolo Romani responsabile del progetto della rivista Macramè del Gruppo Abele colloca al centro della sua esposizione il rapporto con le norme. Il primo passo è sicuramente capire perché alcune regole si rispettano mentre altre si violano: l’ambiente della strada è quindi il punto di partenza per mettere a fuoco le motivazioni che spingono a intraprendere percorsi come la droga o l’illegalità. La denuncia di una problematica deve essere accompagnata da una proposta: bisogna lasciare spazio alla cultura perché solo così si può avere una reazione alla violazione delle norme e dare una possibilità di riabilitazione a chi sbaglia. Ma tutto questo non basta: è necessario parlare con i giovani delle regole e dei principi che vi stanno a fondamento, far loro capire che sono soprattutto una garanzia e non solo una sanzione. I giovani sono consapevoli che le regole della nostra società oggi si basano quasi esclusivamente sul consumo, l’avere è la base per essere accettati ed esibire è più importante dell’essere. Ma i ragazzi hanno anche una concezione dinamica delle norme, sono pieni di idee e capiscono che i diritti - allo studio, alla partecipazione, al sogno, all’informazione - sono come persone amate: bisogna trattarle bene per non perderle. Per la maggior parte non hanno fiducia nella politica ma la realtà non è statica: solo ascoltando i racconti dei ragazzi si può capire perché alcune norme funzionano bene mentre altre è necessario cambiarle. Gli adulti, quindi, devono saper ascoltare per poter essere un punto di riferimento per i giovani.
Il penultimo contributo alla tavola rotonda è stato quello di Pia Blandano dell’Associazione Libera. Il primo punto affrontato è stato l’educazione alla legalità. “Oggi - ha detto - non si parla più di perdono ma di condono. Il confine tra illegale e legale è mobile: è difficile definire e insegnare cos’è illegale se domani viene legalizzato e viceversa.” Solo l’esempio può concretizzare il rispetto per le regole nei comportamenti sociali e privati. Le norme sono necessarie per la convivenza non solo formale ma per la partecipazione di tutti: per la tutela dell’ambiente e l’apertura verso altre culture, per la condivisione di una legalità democratica. Il secondo aspetto messo in luce da Pia Blandano è cosa significa parlare di regole in territori a rischio e in zone di normale illegalità sotto il controllo della mafia. “E’ un problema - ha detto - che riguarda tutte le regioni, non solo Forcella.” C’è molta voglia di liberarsi dall’oppressione dell’etichetta “mafia” ma non parlarne non è sicuramente una soluzione. Bisogna dare un senso alla legalità con azioni concrete come i progetti nelle scuole e le attività organizzate con i beni confiscati: in questo modo il maltolto viene restituito alla società civile passando attraverso la partecipazione dei giovani. La mafia ha violentato il territorio: ora è necessario insegnare che la legalità non è solo piacere ma anche convenienza. “Chi è orfano nei diritti - ha ricordato Pia Blandano - è straniero nella terra dei doveri.” Il punto di partenza, quindi, è lavorare sul rispetto dei bisogni fondamentali delle persone: altrimenti sarà la criminalità a rispondere alle esigenze non soddisfatte. Inoltre per combattere la mafia si devono creare e proporre modelli di vissuto democratico altrettanto forti anche rischiando la cesura, col pericolo di spaccare in due le identità dei giovani. Non deve esserci la paura di confrontarsi ma è necessario coinvolgere anche i figli dei mafiosi affinché il loro futuro non sia segnato. E’ possibile stimolare l’impegno solo costruendo la memoria della lotta alla mafia e delle sue vittime: perché non c’è bisogno di eroi ma di cittadini che combattono ogni giorno per una giustizia vera.
L’ultimo intervento è stato quello di Dario Missaglia della CGIL: ha parlato del ritardo intollerabile del processo di riscrittura della nostra società, perché impostare il problema delle regole impone prima di tutto di iniziare a rispondere. Dobbiamo cominciare oggi a dire cosa vogliamo costruire, a raccogliere le diverse espressioni. Attualmente più crescono e si differenziano le offerte formative più c’è il rischio che queste siano solo per chi ha già ricevuto una buona formazione mentre chi non l’ha ricevuta non è neanche interessato ad averla. Ma il sapere non è solo quello dei libri di testo ma è sempre in rapporto con l’esperienza individuale e deve alimentare il bisogno di conoscenza. Le norme devono essere viste come nuove opportunità, non come un limite: le vecchie regole hanno incrementato le disuguaglianze e oggi l’umanità necessita di nuovi schemi per sanare gli squilibri e impedire le guerre. Il bisogno di regolamentazione nella vita sociale ha lo scopo di contrastare la logica indotta dal mercato: la competizione non può sostituirsi ai diritti, nella cultura e nell’educazione non può esserci un perdente perché se qualcuno è sconfitto allora non ha vinto l’intera civiltà. In Italia fino ad oggi la governabilità è stata fine a se stessa e il dialogo tra le istituzioni diventa ogni giorno più violento e incivile: si sente la necessità di una nuova fiducia nello stato e nel welfare. Abbiamo avuto tanti governi in cui la libertà è stata considerata solo dal punto di vista dell’individuo, portando solo ad una maggiore richiesta di limitazione della libertà altrui. Anche il lavoro è stato sempre visto in un’ottica sbagliata, come qualcosa fuori di noi, un’attività necessaria solo per trarne un salario: questa concezione è un’eredità pesante anche per la scuola. Qual è il sapere che ci serve?! Gli insegnanti devono trasmettere la conoscenza ma anche dialogare e riflettere su ciò che fanno: i bambini ci insegnano che il pensiero divergente produce innovazione... gli adulti si devono sforzare di più per trovare questa innovazione.
Ha concluso la tavola rotonda e i tre giorni di lavori, l’intervento di Angela Nava: Castiglioncello è una sorta di casa per il bambino del Cgd, anche se biennale. Durante gli incontri i relatori sono stati eterogenei e divergenti, rappresentando così uno spaccato della società civile ma è stata molto importante anche la presenza dei ragazzi e la loro partecipazione alla riflessione. “Castiglioncello - ha concluso - ha portato tanto dialogo ma non certezze, come è giusto che sia: l’appuntamento è di nuovo qui, tra due anni, per seminare molti altri dubbi.” |