1/2002 | |
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Bambini singolari nella società pluriculturale Annamaria Rivera, docente di Etnologia, Università di Bari
La relazione di Annamaria Rivera, docente di etnologia all'Università di Bari è stata densa, complessa e ha fatto presa in maniera estremamente netta sull'uditorio. Una premessa ineludibile per entrare nel contesto «Non si può affrontare un tema come l'evoluzioner in senso policulturale della società, senza utilizzare alcuna disciplina, senza considerare la condizione di guerra infinita in cui questa si realizza e le condizioni di capitalismo globale che pretendono di dettarne tempi, modi, condizioni». Annamaria Rivera pur apprezzando quanto la scuola si sia dimostrata più attenta di altri settori della società e della cultura ad assumersi l'impegno di sostenere questa trasformazione, ha posto alcune perplessità e critiche derivanti innanzitutto dalla superficialità con cui spesso si traduce, per scarsità di strumenti, il tema dell'incontro con le culture "altre". «Non è sufficiente che l'incontro avvenga attraverso gli aspetti più esteriori e marginali dell'altro, musica, cucina ecc. L'incontro deve nascere dal decentramento: "io non sono l'altro ma avrei potuto essere l'altro"»; mettere in gioco nel rapporto la propria cultura d'appartenenza, la propria identità, proponendola in condizioni di parità e di incontro reale. La relatrice ha evocato i rischi di una rappresentazione superficiale dell'interculturalità: intanto quella di costruire nuovi stereotipi che ingabbiano le persone in categorie date e immanenti. Un processo che porta anche chi si sente minoranza a rappresentarsi attraverso questi modelli. Si perde la persona, che, in quanto tale, è produttore di cultura e non semplice prodotto. Si accetta che l'individuo abbia una propria capacità di riflessione critica limitata e senza scampo: «la cultura come una seconda natura». I rischi insiti in un certo modo di rapportarsi alle culture e alle persone che ne sono, ognuno con la propria individualità, espressione concreta, sono quelli di continuare a perpetrare un rapporto di "inferiorizzazione" dell'altro. La sua alterità è, anche senza esserne consapevoli, vissuta e rappresentata come qualcosa che deve mantenersi integra e separata da "noi" perché a noi irriducibile. Il pericolo è quello del differenzialismo, l'idea che ogni cultura, in quanto sistema statico e omogeneo, può sopravvivere ed essere rispettata solo se mantiene le sue barriere verso le altre. Le condizioni di ineguaglianza nel diritto fra chi è italiano o comunitario e chi non lo è, permettono di fatto la ghettizzazione dell'altro impediscono il realizzarsi di quel sistema dinamico di relazioni fra persone che modifica quotidianamente la cultura e il vivere di ognuno. Un differenzialismo che è spesso, anche se con presupposti diversi, fatto proprio tanto dalla cultura di destra quanto da quella di parte della sinistra. Annamaria Rivera ha citato in proposito un documento del Dipartimento Affari Sociali del ministero della P.I del 1997. Il testo chiamava alla: «adozione di una politica rivolta a rafforzare le identità etniche, a istituire un "tutore etnico" di supporto e a creare "luoghi etnici" (asili nido etnici con giochi, addobbi, cibi ecc..)». Un testo che nasconde, neanche troppo bene, paternalismo, voglia di segregare e di segnare nuove barriere in cui confinare gli "altri". Nicchie ecologiche la cui integrità da conservare è essa stessa, segno della volontà di escludere. Ma l'intera questione di come ci si rapporta ai fenomeni migratori è intrisa di questa cultura segregazionista. «I migranti sono stranieri nei diritti. A loro è negato il diritto ad una identità individuale - ha nuovamente ricordato Annamaria Rivera - mentre riprendendo Zygmunt Baumann, il diritto all'individualità universale dovrebbe poter divenire intangibile, anche agli stranieri non ricchi. I gruppi minoritari non vanno tanto preservati ma messi in condizione di riappropriarsi di mezzi, risorse, diritti». Un ragionamento che da teorico si cala pesantemente nel quotidiano, nei luoghi e nelle modalità relazionali e che forse ripropone questioni antiche anche se in contesti profondamente modificati. Garantire diritti significa rafforzare le identità al punto che queste non diventino elemento di conflitto, di chiusura e di isolamento, ma di scambio e di incontro. |