speciale
Angela Nava
Chiara Saraceno
Paolo Fabbri
Gabriella Romano
Andrea Gallo
Melita Cavallo
Lella Ravasi Bellocchio
Annamaria Rivera
dai workshop
Mario Russo
Dario Missaglia
Raffaele Mantegazza
Carlo Ricci e Robert Roche
Giancarlo Tanucci
Stefano Galieni
Vinicio Ongini
Marisa Musu
Gianfranco Simoncini e Nicoletta Creatini
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Il bambino viandante, fra mito e storia
Stefano Galieni, giornalista
La tavola rotonda dal titolo “Il bambino viandante, fra mito e storia” si è rivelata momento vivace di discussione che ha coinvolto il numeroso pubblico. Un’occasione per guardare il bambino s/confinato non attraverso la lente perfetta e rigida dell’osservazione scientifica con lo sguardo partecipe, emotivamente coinvolto del narratore, di chi prova a raccontarlo attraverso la macchina da presa o la penna, con tutte le distorsioni che questi mezzi determinano. Numerose le sollecitazioni offerte dai partecipanti. Roberto Faenza, docente universitario e regista si è soffermato su un suo film uscito due anni orsono “L’amante perduto”, rielaborazione di un romanzo dello scrittore israeliano Abrahm Yeoshua. Un film girato in Israele e nei territori occupati di Palestina, in cui l’incontro fra i due popoli si realizza nella realtà e nella finzione: nella realtà perché il film è stato realizzato da una troupe mista, nella finzione perché la storia è incentrata sul tema dell’incontro. Faenza ha raccontato come sia stato proprio l’incontro nella realtà a imporre un finale diverso rispetto alla sceneggiatura originale. Nel libro l’amore fra due adolescenti, israeliana lei, palestinese lui resta impossibile. Il film si conclude invece con una scena in cui il padre della ragazza e il ragazzo spingono insieme una macchina in panne, metafora esplicita del dramma di quella terra. Il film è stato presentato nelle scuole israeliane e palestinesi dove è stato ben accolto dai ragazzi ma rifiutato dagli adulti. Il film non è mai uscito nelle sale in Israele.
Francesco d’Adamo, scrittore, è stato coinvolto a partire da un suo romanzo per ragazzi, “Storia di Iqbal”(edizioni EL). La trasposizione romanzata di una vicenda realmente accaduta in Pakistan. Iqbal Masih era uno dei tanti ragazzini schiavi venduto dalla famiglia ai fabbricanti dei tappeti, a 11 anni si era ribellato, aveva denunciato i propri sfruttatori, contribuito a far chiudere alcune fabbriche clandestine e alla liberazione di migliaia di coetanei. Iqbal Masih è stato ucciso il 16 aprile del 1995 da esponenti mai individuati della mafia dei tappeti. Per D’Adamo la storia di Iqbal è nata come un romanzo per la memoria, un romanzo per ragazzi con molte anomalie. È raro che in un testo per l’infanzia il protagonista, in cui è facile un processo di immedesimazione, muoia. Ma ai tanti ragazzi che hanno letto il libro questa storia è parsa vicina e coinvolgente. Certo, soprattutto i più piccoli si commuovevano al destino del loro coetaneo ma ne traevano un messaggio prezioso: l’importanza di lottare per difendere la propria e altrui libertà.
Luca Raffaeli ha provocatoriamente contribuito ad infiammare una platea già emotivamente coinvolta. Da esperto di fumetti e cartoon ha difeso la validità espressiva e formativa anche dei famigerati cartoni animati giapponesi affermando che i protagonisti delle vicende che narrano sono spesso migliori dei genitori che a priori li contestano.
Affermazioni che hanno dato il via ad un vivace dibattito con il pubblico e fra i relatori stessi. I conflitti fra generazioni, la capacità, gli strumenti culturali e la disponibilità a comprendere modalità espressive diverse, sono state il terreno su cui si sono confrontati in molti, anche con toni accesi e coinvolti.
Scuola, televisione e famiglia, in quanto luoghi di formazione o di malformazione sono stati continuamente evocati, denunciati e difesi, segnale evidente di quanta esigenza ci sia attorno a questi temi di discutere, analizzare, confrontarsi.
E lo scontro più che fra i tradizionali schieramenti vecchio /nuovo, sembrava attraversare le complesse modalità di percepire i bisogni, le capacità comunicative, gli strumenti di conoscenza e di crescita di cui si dotano e di cui riteniamo idoneo dotare le nuove generazioni.
Esigenza anche di salutare conflitto di opinioni, di divergenze che non necessariamente debbono essere ricondotte ad una omogeneità di vedute ma che anzi, nel proporsi, possono suggerire riflessioni, messe in discussione dei propri presupposti di partenza.
Costretta forse in un tempo troppo ristretto, questa tavola rotonda ha rivelato più del prevedibile la voglia di partecipare ed esprimersi che oggi sembra muovere tante persone.
Tanto che i temi e le riflessioni suscitate, hanno continuato ad animare le discussioni dei presenti anche nei momenti successivi del convegno.
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