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il bambino sconfinato
Lo specchio in frantumi. Tracce d’identità bambina attraversate dai confini

Raffaele Mantegazza, docente di storia della pedagogia all’Università di Milano

 

L’esposizione fatta dal prof. Mantegazza ha spiazzato non poco i presenti per l’uso ricorrente (e un po’ inquietante) nonché insolito dei termini morte, uccisione, mangiare riferito ai bambini. Questo ha per un attimo distolto l’attenzione dal vero contenuto del suo intervento che cercheremo di riassumere. L’infanzia nel pensiero adulto è collegata al concetto di tempo, perché è un periodo che passa presto. Mantegazza ha associato a questo l’immagine del bambino morto come desiderio di cristallizzare l’infanzia stessa “fermando l’attimo”. Ha affermato anche che il bambino sconfinato (nel tempo) non muore, spiegando poi nel corso della sua relazione perché e come. La pedagogia dell’infanzia ha seguito due linee di pensiero. La prima ha considerato l’infanzia come colpa e il bambino imperfetto, un albero da raddrizzare. La pedagogia, secondo questo pensiero, deve essere quindi autoritaria per far progredire il bambino verso la perfezione adulta. Questo sottintende l’idea di principio (infanzia) come caos e l’educazione come ordine per raggiungere l’ideale che è l’adulto. L’educazione viene negata, annichilita, fatta scomparire; le si contrappongono adulti rigidi inflessibili autoritari. Questo pensiero pedagogico ha portato un milione di bambini a morire nei lager nel secolo scorso. La seconda linea di pensiero pedagogico è opposta a questa. L’infanzia viene considerata la perfezione , è il simbolo di ciò che abbiamo perduto e che avremmo voluto mantenere, esprime il desiderio dell’adulto di rimbambinire per ritrovare l’ideale paese dei balocchi. Ne deriva un adulto ‘bambino’ che non accetta le responsabilità di cura , un bambino putrefatto, un adulto prenatale: di fatto c’è un tradimento dell’infanzia poiché se ne occupa lo spazio. Non si affronta il problema del confine tra le due età. Mantegazza ha poi parlato del bambino come “corpo” e ha spiegato i quattro modi che hanno gli adulti di pensare al corpo del bambino, e ha posto questi ai vertici di un quadrilatero al centro del quale c’è il bambino stesso.
1 - il corpo ‘tenero’ non nella accezione della pedagogia femminista di “piacevole, carino” e nemmeno in quella di ‘cucciolo da proteggere’, molto usata in pubblicità. Il fantasma di questa definizione (ciò che inconsciamente sta sotto) è che può essere mangiato (ammazzato). Il fatto avviene spesso nelle altre specie animali.
2 - il corpo ‘splendente’ . Il bambino è felice, allegro, spontaneo, gioioso, non deve essere mai triste e non deve piangere. La moda infantile usa questa immagine proponendo abiti che sono caricature adulte. E’ una immagine consolatoria per l’adulto. Il fantasma che è sottostante sottolinea quanto è grigio, brutto, l’adulto, incapace di esprimere creatività.
3 - il corpo ‘piagato’. Il bambino sofferente, violato: usato come metafora politica di situazioni storico sociali (Dickens, Anna Frank). Il fantasma di questa concezione è il godimento della sofferenza del bambino, un sadismo pedagogico connotato dalla perdita dell’esistenza dei bambini ‘normali’. I docenti chiamati a disegnare un loro alunno, nel 90% dei casi ne scelgono uno difficile o con handicap. Il bambino come “piaga”.
4 - il corpo ‘vergine’ seducente, suscita dolcezza e terrore di essere innamorati del bambino (se non lo fossimo stermineremmo i nostri figli). Ma l’aspetto dell’eros è stemperato e corretto dall’educazione, l’adulto ama il bambino in quanto inferiore, per bisogno di cura, quindi per bisogno di potere. Il fantasma sottinteso è la difficoltà e la fatica, da parte dell’adulto ad accettare tollerare ed elaborare questo aspetto.  
Dobbiamo imparare a “uccidere” i bambini e a prendere coscienza che lo stiamo già facendo, (l’11 settembre in Africa sono morti 10.000 bambini, ma nessuno ne ha parlato).
Riconsiderare la morte e i suoi riti come cosa ‘buona’ che segna un passaggio, e la pietra tombale come memoria di ciò che è stato. L’adolescenza (e le sue crisi) non è altro che il funerale all’infanzia, bisogna esprimere gratitudine al bambino che siamo stati (e che ora non siamo più) e che ci fa essere l’adulto di oggi. E’ necessario far morire la fase precedente per uscirne e per rinascere da quella. Pensiamo quindi ad un bambino nuovo ma anche ad un adulto nuovo, perché deve valere la pena “far morire il bambino” per diventare adulti che sanno mantenere la dolcezza del ricordo e della memoria di essere stati bambini.