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speciale
Angela Nava
Chiara Saraceno
Paolo Fabbri
Gabriella Romano
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Melita Cavallo
Lella Ravasi Bellocchio
Annamaria Rivera
dai workshop
Mario Russo
Dario Missaglia
Raffaele Mantegazza
Carlo Ricci e Robert Roche
Giancarlo Tanucci
Stefano Galieni
Vinicio Ongini
Marisa Musu
Gianfranco Simoncini e Nicoletta Creatini


 
 

il bambino sconfinato
Dai workshop

1. l'educazione nella scuola multiculturale: percorsi possibili
2. l'educazione nella scuola multiculturale: ricerche ed esperienze
3. rivelare i confini: differenze, identità, modelli
4. per una scuola dai confini più vasti: lavorare sul recupero e la dispersione
5. la scuola sconfinata: modelli ed esperienze alternative
6. bambini al confine di guerra
7. cooperazione allo sviluppo: sensate esperienze
8. tra conflitti e cooperazione: essere mediatori sul confine
9. operare al confine: metodi di formazione e strumenti

 

workshop 1

l'educazione nella scuola multiculturale: percorsi possibili

Nel gruppo sono state presentate tre esperienze:

Superare l'etnocentrismo

L'esperienza è realizzata nell'istituto comprensivo di Villalba di Guidonia in provincia di Roma. E' presentata dal dirigente scolastico, da un docente della scuola e da un operatore dell'associazione CIVIS coinvolta.

Il progetto è nato per sviluppare l'educazione interculturale e favorire in questo modo la convivenza sociale in un contesto caratterizzato da forti diversità etniche, regionali e culturali dovute a fenomeni migratori da paesi extracomunitari ( Est e America Latina e anche da altre regioni di Italia). Per farlo la scuola ha scelto di finalizzare a questo scopo le competenze disponibili tra i docenti, le opportunità offerte da altre associazioni presenti sul territorio, privilegiando alcuni progetti trasversali già inseriti nel POF. Come obiettivo generale nel POF è stato posto quello della formazione di una mente “decentrata”, capace cioè di uscire dal proprio punto di vista per adottarne altri; capace quindi di superare l'egocentrismo che caratterizza il comportamento del bambino.

I pregiudizi, gli stereotipi, le forme di etnocentrismo e di intolleranza possono infatti essere interpretati come un non completo superamento dell'egocentrismo.

L'esperienza si è articolata attorno a tre progetti:

  • progetto cinema, che prevede la visione di alcuni film, la riflessione sui contenuti e l'analisi delle inquadrature, intese come punti di vista
  • progetto sull'intelligenza emotiva, nato dalla collaborazione con un'associazione ispirata agli studi di Goleman, che propone percorsi ispirati all'empatia e all'intelligenza emotiva, per favorire l'educazione alla convivenza democratica e alla cittadinanza
  • progetto sui “mondi percettivi”, che propone un percorso che mette a confronto i sistemi percettivi degli animali con il sistema percettivo dell'uomo, per far capire la molteplicità dei punti di vista

 

Scuola e territorio: la rete dei centri di alfabetizzazione Ulysse, Giufà, Ghandi

Si tratta di un progetto pilota dell'Assessorato alla P.I. del Comune di Firenze. Prevede la realizzazione di una rete di servizi alla scuola per facilitare l'inserimento e il successo scolastico di alunni in età di obbligo che non parlano italiano (nel comune di Firenze sono presenti 56 etnie). I centri sono costituiti presso scuole pubbliche e svolgono attività che si integrano con quelle scolastiche, secondo una programmazione inserita nel POF. Sono creati a seguito di un patto territoriale interistituzionale tra scuola, ente locale, associazioni ed agenzie educative.

I centri si rivolgono a studenti iscritti o in fase di iscrizione alle scuole elementari e medie inferiori; le attività sono organizzate per moduli e per piccoli gruppi di ragazzi, utilizzando strategie educative che favoriscono gli aspetti relazionali, cognitivi e formativi nel rispetto delle culture di origine.

I centri si avvalgono di una metodologia attiva, aperta alla ricerca azione. Si tiene conto delle scolarizzazioni precedenti e della lingua di origine; viene utilizzata la competenza della lingua materna ricorrendo ai mediatori culturali; viene valorizzata l'esperienza del “qui ed ora” per costruire percorsi conoscitivi e si finalizzano a scambi comunicativi tutti i momenti di vita comune (gioco, teatro, arte, musica) e tutti gli strumenti multimediali.

L'interazione tra docenti delle scuole e operatori dei centri è continua, e così pure le iniziative di promozione integrata.

Verso l'integrazione scolastica a Mazara del Vallo

Una esperienza esemplare quella di Mazara raccontata da Karim Hannachi. Nel 1981, considerata l'alta percentuale di presenze di tunisini che coprono per la maggioranza le attività lavorative del porto, viene costituita dal governo tunisino una scuola elementare per i figli di emigranti. L'idea era quella di mantenere l'idea del ritorno: i tunisini desideravano che i figli, anche se nati in Italia, studiassero arabo e francese per potersi reinserire con più facilità al ritorno in patria. Un'esperienza, quindi, di separatezza, punteggiata di difficoltà per i ragazzi che decidevano di continuare gli studi nella scuola media italiana, per la conoscenza approssimativa della lingua italiana, di frustrazioni per coloro che tornavano in Tunisia, presso parenti o con le madri, per riprendere gli studi, per il distacco dall'ambiente italiano.

Questa esperienza viene rivisitata criticamente, e la sperimentazione, sostenuta anche dal Fondo Sociale Europeo, viene avviata nel 2000/2001 dal I Circolo didattico, con la proposta di un vero e proprio bilinguismo offerto sia ai ragazzi italiani che tunisini: così nella scuola italiana si iscrivono ragazzi italiani e tunisini nelle stesse classi, e nella programmazione sono previste delle ore per insegnare l'italiano ai tunisino e l'arabo per gli italiani. L'esperienza è in atto, è positiva, incide anche sulle scelte delle famiglie, motivandole di più all'integrazione definitiva, favorisce la comunicazione interculturale, la socializzazione tra i bambini e le loro famiglie e la costruzione di una cittadinanza reale.

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Workshop 2

l'educazione nella scuola multiculturale: ricerche ed esperienze

Quando la maestra sconfina: tentativi di costruzioni interculturali nelle terre di mezzo dell'organizzazione scolastica”

Maria Cristina Ranuzzi

Il laboratorio di educazione interculturale nasce all'interno del progetto di sperimentazione “Integrazione di alunni stranieri nella scuola ed interazione tra culture: acquisizione di competenze comunicative tra alunni stranieri ed italiani” iniziato nell'anno scolastico 1997/98 e reso possibile per l'attuazione di forme di flessibilità che hanno consentito la valorizzazione di alcune delle risorse presenti nel 19° circolo didattico di Roma e dalla presa di coscienza del fenomeno della convivenza, in uno stesso territorio, di persone appartenenti a diverse culture con riferimenti valoriali a volte competitivi tra loro.

Il progetto assume il potenziale conflitto che da questa realtà viene generato e cerca di trasformare attraverso opportune strategie le diversità reciproche in reciproche risorse, riconoscendo alla scuola la sua posizione “di frontiera” e suscitando in essa il ruolo di “terra di mezzo” dove la presa di coscienza e l'incontro delle irrinunciabilità e delle condivisioni identitarie genera una cultura “altra”.

L'attività si è strutturata principalmente in due parti:

  • un'attività di “pronto-soccorso linguistico” gestita dalle insegnanti comunali di attività parascolastiche e frequentata per circa due ore al giorno, dai bambini stranieri appena arrivati, regolarmente inseriti nella classe di appartenenza in base al titolo di studio in possesso. Scopo del laboratorio, in coordinamento con le insegnanti di classe è l'insegnamento dell'italiano come L2.

  • Un “laboratorio di educazione interculturale” gestita da un'insegnante del plesso distaccata dalla classe e frequentata da ciascun gruppo-classe (se la classe è superiore a 18-20 bambini si sudddivide in due gruppi) per circa due ore settimanali.

L'attività del laboratorio di educazione interculturale focalizza la propria attenzione sugli aspetti inerenti ai processi di costruzione dell'identità e, partendo dal presupposto che questa sia mobile, fluida e plurima, un “esserci” nello spazio e nel tempo, attiva un sistema di relazioni reciproche che, attraverso la narrazione, le attività psicomotorie, i giochi di relazione, il lavoro (individuale e di gruppo) attiva il meccanismo del decentramento e dell'empatia stimolando la costruzione di significati condivisi.

L'esperienza raccontata nel workshop, svolta con due classi di quinta elementare della scuola Grazia Deledda di Roma (19° Circolo) ha avuto come tema “ Le porte della scuola ” .

L'attività, facente parte delle iniziative sull'accoglienza e sulla continuità educativa, conferendo un valore simbolico ad alcune porte della scuola: mensa, palestra, teatro, ambulatorio .. ha sperimentato un incontro tra la narrazione e la memoria.

Si è pensato alle porte come ad un luogo di confine, di sospensione spazio-temporale: terra di mezzo tra il passato ed il presente, tra il dentro ed il fuori, tra il sé ed il mondo.

Le porte della scuola come accesso e confine ai vissuti delle esperienze accadute nell'ambiente del quale delineano la “soglia”.

Scopo del laboratorio, attraverso la metodologia della narrazione, era creare contesti di ascolto capaci di permettere l'affiorare dei ricordi e dei conflitti ad essi connessi, inserendoli in un contesto che consentisse una rielaborazione delle esperienze vissute ed una presa di coscienza di alcune emozioni da esse suscitate, per arrivare poi alla scoperta di alcune condivisibilità.

Il lavoro finale è consistito in un prodotto collettivo, che è andato costruendosi poco a poco, ad opera dei ragazzi, che hanno prima lasciato le tracce dei loro ricordi utilizzando i colori a tempera, li hanno poi riconosciuti ed identificati legandoli tra loro con fili e corde, ed infine hanno costruito insieme i simboli di alcuni dei ricordi. E' risultata un'opera polimaterica “a strati” frutto delle loro condivisioni. I ricordi di ciascuno sono stati legati ai ricordi degli altri ed hanno dato luogo alla creazione di simboli comuni e condivisi. Una costruzione comune di una “storia altra” nata dalle “contaminazioni”, dai “legami” tra le storie di ciascuno.

Il ciclo della vita

Diana Cesarin (mceroma@tin.it)

Nascere, crescere, morire: sono fasi fondamentali di ogni esistenza nelle quali troviamo collegati in modo inscindibile l'aspetto biologico e l'aspetto sociale. Non è sufficiente ad esempio esser stati partoriti per venir considerati membri di una comunità: in ogni cultura alla nascita biologica si accompagnano rituali di ingresso nel gruppo. In modo analogo una persona non è considerata morta a, tutti gli effetti se non dopo che vi è stata una qualche forma collettiva di elaborazione del lutto.

Il ciclo della vita, dunque, è l'insieme delle táppe che segnano i passaggi di condizione o di ruolo e le fasi socialmente significative delle vita individuale: in particolare la nascita, l'ingresso nella vita adulta, l'appartenenza ad un gruppo particolare, il matrimonio, la morte.

In ogni società queste transizioni sono caratterizzate da rituali, pratiche, credenze che pur essendo sempre diverse possono comunque ricondursi allo stesso schema ordinatore e dunque trovare un terreno di comparazione.

In sostanza, rituali diversi organizzano in modo differente il ciclo biologico comune a tutti gli individui. Nella nostra società le scansioni dei momenti importanti della vita, in particolare quelle relative al “diventar grandi” sono numerose, frammentate, poco ritualizzate.

Questo acuisce la crisi, la sensazione di rischio che accompagna ogni mutamento.

Occuparsi a scuola di questi momenti, riconoscerli e ricostruirne i vissuti, significa da un lato individuare un terreno agevole di confronto con altre culture e significa altresì accompagnare i ragazzi attraverso le fasi critiche dei loro processsi evolutivi e della costruzione dell'identità sociale offrendo occasioni e strumenti di lettura e di elaborazione del disagio. La scuola viene così ad assumere consapevolmente una funzione di codificazione di momenti delicati di passaggio e di crescita che i ragazzi avvertono come fondamentali e che vengono vissuti con grande partecipazione emotiva.

workshop 3

rivelare i confini: differenze, identità, modelli.

Relatori: Tiziana Luciani, psicologa, consulente Coop Toscana Lazio;

Fiorella Chiappi, presidente Istituto CORI, Comunicazio&Ricerche Livorno;

Maria Rosa Del Buono, IRRE Lombardia

Conduttore: Salvatore Guida

Il primo relatore ha messo in evidenza, utilizzando alcune diapositive, la sequenza delle varie fasi della vita, dalla primissima infanzia all'adolescenza, all'adultità, alla maturità e, infine, alla vecchiaia.

Il dibattito ha mostrato come ciascuno dei passaggi sia “marcabile” da merci/oggetti che hanno un valore di connotazione in quanto rappresentano, simbolicamente, il sedimento delle diverse stereotipie.

La relatrice ha poi coinvolto i partecipanti invitandoli a produrre, su fogli di acetato, che ha poi proiettato con la lavagna luminosa, uno o più disegni di oggetti che, secondo il vissuto di ciascuno, rappresentavano il passaggio dall'infanzia/preadolescenza ad una dimensione di adultità, vera o presunta che fosse.

L'esperienza ha suscitato ulteriori riflessioni intorno al fatto che gli oggetti, se caricati di significati personali profondi, vengono, per così dire, umanizzati. Tra le acquisizioni condivise del gruppo ci sembra utile poter evidenziare che il superamento del consumismo, o di una lettura consumistica dei fenomeni di mercato (che, anche attraverso la pubblicità paiono mercificare tutto, anche i sentimenti), può essere conseguito attraverso una sorta di riumanizzazione degli oggetti; si tratta, cioè, di individuare delle implicazioni emotive, metterle in discussione, studiarne le valenze conformistiche e stereotipizzanti dei comportamenti e degli atteggiamenti valoriali e reinvestire in modo più consapevole anche le valenze transazionali di determinati oggetti.

La seconda relatrice ha preferito avviare una sorta di rilettura critica della nascita del concetto di una psicoanalisi al femminile per arrivare ad avanzare alcune suggestioni rispetto al fatto che gli stereotipi di tipo sessista trovano, in gran parte, origine, perlomeno nella nostra cultura occidentale, nel tipo di società che, più di ogni altra pare aver lasciato traccia di sé: quella greca. In Prticolare, secondo la relatrice, il cosiddetto periodo aureo della Polis ateniese mentre, da una parte rappresenta un esperimento di alta democrazia, dall'altra, in relazione alla donna commette una sorta di “delitto di stato”, teorizzando, e praticando, una totale esclusione ed annullamento della presenza pubblica della dinna; una sorta di nullificazione sociale i cui costi ancora, in buona misura, gettano la loro ombra sul presente.

Nella seconda parte, il gruppo, invitato ad esplicitare i più diffusi e radicati stereotipi di genere, ne ha fatti emergere alcuni (donna fragile, donna preda, donna pacifica, donna acccogliente, donna paziente, donna ascientifica e così via . ); guidati dalla docente i partecipanti hannodibattuto sulle valenze escludenti/includenti di alcuni di questi stereotipi e hanno convenuto sulla necessità di ampliare sempre più gli spazi di discussione e di confronto avendo ben chaiaro che i confini della divisione di genere non si superano se non sottomettendo a severa critica ogni scontata distinzione sessista.

La terza relatrice, più orientata ad un atteggiamento pedagogico, ha presentato un modello di esperienza formativa, condotta con insegnanti provenienti da diversi ambiti scolastici e di diverso ordine.

La proposta, riportata in una pubblicazione in ambito Irre Lombardia, riferisce su molte esemplificazioni di moduli di atttività proponibili a discenti con l'obiettivo di superare stereotipie culturali e distinzioni etniche.

workshop 4

per una scuola dai confini più vasti: lavorare sul recupero e la dispersione

Emersione dei confini:

Il mancato riconoscimento dell'alterità produce tentativi d'assimilazione e non percorsi di integrazione rispettosi delle differenze. Questo elemento comune ai tre percorsi presentati al gruppo trova in chance un altro confine, definito come il più difficile da gestire: la flessibilità. Gli operatori sentono di dover essere “sponda contenitiva” e non “spugna assorbente”, pericolo presente quando si consideri la forte persuasività del progetto chance.

Altri confini emersi: la famiglia dei soggetti coinvolti, che incontra forti difficoltà a “riconoscere” i cambiamenti intervenuti; la scuola “ordinaria” che resiste nell'assunzione dei problemi.

Caratterizzazione delle esperienze

Riconoscimento delle cornici comunicate stabilite nelle famiglie. Comuicazione con bambini e adolescenti non informa inferenziale ma analogica (molto forte in chance e nell'esperienza della comunità di capodarco).

La caratteristica di chance è la costruzione di una relazione sociale, connotata dall'adesione dei ragazzi, dalla volontarietà, che passa dall'esplicitazione del bisogno.

Nell'esperienza dell'Arca di Noé è forte il senso di appartenenza al quartiere da parte dei ragazzi, vissuto come luogo “positivo”.

Aspetti metodologici

Un aspetto metodologico comune alle tre esperienze presentate è il lavoro centrato sull'appropriazione degli spazi e la condivisione dei tempi.

In Chance rilevante è il metodo centrato sull'osservazione sistematica, riletta e periodicamente condivisa, nonché la rilettura del sé da parte dei ragazzi. Rilevante, quindi, la restituzione reciproca di ogni aspetto e fase del percorso (accompagnato dai tutor per i ragazzi e dal sostegno psicologico per gli operatori). Rilevante il peso del coordinamento pedagogico e del patto formativo, garante della trasparenza del percorso e della responsabilizzazione (autovalutazione).

Comune ai tre progetti il tema della rete interna ed esterna: paradigma complesso e fondamentale per l'efficacia dell'intervento.

Necessità di calibrare gli interventi tenendo conto delle caratteristiche del territorio e del gruppo destinatario. In chiusura dell'incontro è emerso il forte disagio determinato negli operatori dall'accresciuta consapevolezza rispetto alle resistenze ancora presenti nelle istituzioni scolastiche ad assumere il tema della disperzione.

Progetto Chance - maestri di strada - Napoli -- relazione /sintesi

Arriviamo alle nove sicure che il nostro workshop sia domani, come abbiamo letto sul programma, invece scopriamo di doverlo fare oggi, breve panico; ci rassicura subito il clima di calda confusione che regna nelle stanze del Castello, per de-formazione professionale le situazioni di movimento ci sono più congeniali di quelle meticolosamente pianificate!

Riguardiamo la linea d'intervento che abbiamo preparato e ci anticipiamo largamente sull'orario d'inizio del workshop. Controlliamo i supporti tecnici di cui abbiamo bisogno ( video-proiettore e lavagna luminosa), nessuno dei due funziona a dovere, il tecnico ci aiuta ma ci convinciamo di doverci accontentare dei supporti multimediali e di puntare come sempre su quelli umani.

Comincia ad arrivare qualcuno, ci chiediamo quanti ne arriveranno, ci attraversa l'ansia della prova e ci vengono alla mente i nostri alunni (maledettamente non ce li dimentichiamo mai!) quando sopraffatti dall'ansia del compito, nonostante le nostre rassicurazioni, passano all'acting-out.

Si comincia: passa il video e la sala si va via via riempiendo, il più è fatto ora il percorso è tutto in discesa.

Passano i lucidi con il nostro intervento, la platea ci rimanda una sensazione di grande coinvolgimento ed attenzione che ci ricarica.

Il drop-out viene evidenziato in tutte le sue caratteristiche, raccontiamo come veniamo in contatto con lui, come facciamo a coinvolgerlo ed a responsabilizzarlo, insieme alla sua famiglia, in un percorso di rientro nella scuola della seconda opportunità (la prima l'ha già abbondantemente persa almeno un paio di anni prima); è un percorso ritualizzato da un Patto firmato da tutti gli attori del Progetto (docenti, famiglia e ragazzo), in piena consapevolezza ed assunzione di responsabilità di rispettarne i termini.

Il principio ispiratore del nostro intervento è la Convenzione di New York sui diritti dell'infanzia, diventata legge della Repubblica Italiana con voto unanime del Parlamento (27 maggio 1991), e cerchiamo di fare in modo che tutti e ciascuno dei nostri ragazzi abbia accesso agli alfabeti linguistici, scientifici e tecnologici e ai saperi che promuovono un progetto di vita e di opportunità di vita.

Licia, che svolge la funzione di moderatrice, è costretta ad arginare il nostro intervento per garantire lo spazio della parola alla platea.

La platea resta in silenzio, ci sembra ancora troppo dentro quello che ha visto e sentito.

Poi cominciano le domande: quando è cominciato il Progetto e come è nata questa idea? Vi è capitato di trovarvi in situazioni di opposizione da parte della famiglia? Il vostro intervento, pur molto positivo, riguarda però un numero molto esiguo di ragazzi rispetto ai dati sulla dispersione della città di Napoli, come pensate, voi o le autorità competenti, di poter estendere l'intervento?

Quando l'atmosfera è calda giungono come macigni le domande più dolorose (per noi): come fate a reggere il peso emotivo che queste situazione inducono?

La risposta è molto franca: nonostante il supporto psicologico di cui disponiamo quando l'impatto è troppo forte la nostra unica via immediata di rielaborazione è il pianto, poi ricominciamo da dove ci siamo fermati!

Abbiamo sforato tutti i tempi, la Comunità di Capodarco che deve cominciare dopo di noi, incalza.

Intorno a noi c'è una piccola folla che vuole materiale, indirizzi e riferimenti per ritrovarci.

Una ragazza (ce ne sono tante/i) si avvicina, ci stringe la mano e ci dice “ci avete incantato!”, non ci aspettavamo tanto, l'avrebbe dovuta sentire il nostro Coordinatore che ci dice sempre “in questi anni siete molto cresciute, siete brave e non lo sapete”.

Salvo Di Maggio fa il suo intervento sul lavoro che la Comunità di Capodarco fa con i Rom che vivono nella periferia romana.

Le domande arrivano subito, prima ancora che abbia raccontato tutto.

E' evidente che il problema è molto sentito.

Mariarosaria Savignano m.r.savignano@virgilio.it
Antonella Perito a.perito@libero.it
Coordinatore del progetto
Marco Rossi-Doria mrossidoria@libero.it

 

workshop 5

la scuola sconfinata: modelli ed esperienze alternative

II Progetto Sul tappeto volante è stato promosso dalla Città di Torino - Divisione Servizi educativi e si èavvalso di un contributo finanziario della Compagnia di San Paolo di Torino. Oltre all'Assessore al sistema educativo, ai rappresentanti dei Servizi educativi, delle scuole e della Compagnia di San Paolo, fanno parte del Comitato scientifico rappresentanti del Ministero dell'Istruzione, della Direzione regionale del Piemonte, del Museo d'arte contemporanea del Castello di Rivoli, dell'Agenzia di sviluppo di San Salvario, dell'Università degli Studi di Torino.

L'insegnante della scuola dell'infanzia Bay, Liana Carri, presenta l'esperienza promossa dai Servizi educativi della Città di Torino. II Progetto Sul tappeto volante ha individuato il sistema della formazione come elemento fondamentale di sviluppo per la crescita della cittadinanza, della comunicazione e della qualità della vita in un quartiere di Torino, San Salvario, diventato un caso mediatico nazionale per le difficoltà sociali provocate dal crescente insediamento di cittadini stranieri. Un quartiere peraltro dinamico, ricco di energie umane e cultura associativa, in cui un nido e una scuola dell'infanzia comunali e un istituto comprensivo statale hanno cercato di svolgere un ruolo positivo di sperimentazione educativa e aggregazione delle famiglie e degli abitanti, trasformando le alte percentuali di studenti stranieri in uno stimolo al rinnovamento pedagogico e civile.

Le scuole hanno costruito percorsi in sinergia con i soggetti pubblici e privati del quartiere e con importanti istituzioni culturali, la cui “alleanza” ha aiutato a rinnovare le metodologie educative con un progetto culturale forte, imperniato sulla creatività e sulla dimensione internazionale della cultura e della convivenza.

Le linee d'intervento principali hanno riguardato non solo le attività strettamente pedagogiche, male relazioni e l'associazionismo dei genitori, la valorizzazione degli spazi nelle scuole e nel quartiere, il recupero della dispersione e dell'insuccesso scolastico con interventi di mediazione dei conflitti e coordinamento delle agenzie che realizzano attività pomeridiane per i bambini e i ragazzi.

Dall'incontro tra le scuole sono nati gruppi di lavoro con i seguenti obiettivi: mettere a punto un curricolo verticale dal nido alla media per garantire un percorso educativo coerente; potenziare l'insegnamento delle lingue straniere per tutti e della lingua italiana per gli stranieri; favorire lo sviluppo della creatività attraverso laboratori di arte contemporanea, musica, teatro; favorire l'associazionismo dei genitori come fondamentale momento di crescita del senso di solidarietà e cittadinanza, realizzare momenti di festa in quartiere per coinvolgere gli abitanti nella vita delle scuole; progettare attività volte alla conoscenza del territorio e all'utilizzo educativo delle sue risorse ambientali e culturali.

Nel suo intervento Liana Carri cercherà, attraverso parole ed immagini, di raccontare un'esperienza educativa in cui la creatività dei bambini e dei ragazzi è stata valorizzata non solo come opportunità in più di esprimersi, acquisire competenze, comunicare, ma come risorsa esistenziale, capacità di affrontare situazioni nuove e complesse, di cogliere nelle diverse culture gli elementi più fecondi per costruire un progetto comune.

Silvia Minetti, genitore, presenta l'esperienza dell'Associazione genitori scuole Bay di Torino.
L'Associazione, formalmente costituitasi nel luglio 1999, nasce all'interno di una struttura pubblica comunale con l'intento di favorire in special modo lo sviluppo della socializzazione e l'integrazione fra soggetti appartenenti a diverse culture, mettendo in luce la pluralità delle esperienze educative in un quartiere come quello di San Salvario, dove è più forte che altrove la presenza di popolazione immigrata e più grande la sfida di un progetto interculturale. Nel suo intervento Silvia Minetti cercherà di connotare il contesto del quartiere nel quale sono collocati il nido e la scuola d'infanzia Bay e nel quale è nata l'Associazione e di mettere in luce i legami tra le famiglie, il quartiere, la scuola d'infanzia vista come luogo di incontro e di confronto, e come terreno per la sperimentazione di nuove modalità di convivenza per i bambini e le loro famiglie a Coloors, Centro per l'infanzia e l'adolescenza: spazio di ricerca, strategie, opportunità e nuovi sentieri comunicativi

Rocco Mondello e Rossella Sperati
Tre anni di esperienza con bambini e adolescenti ci hanno visti impegnati nel ricercare spazi di intervento e di opportunità per i minori afferenti al centro che non fossero i classici metodi educativi, ma sconfinando tutte quelle barriere di provenienza culturale, per permettere una maggiore conoscenza dell'altro nell'ottica della diversità e del rispetto di essa.
Percorso non sempre facile e comunque condotto in una metodologia di lavoro di rete a stretto contatto con la scuola e la famiglia. Andare oltre i confini, per noi ha significato superare i confini stessi del nostro servizio, inteso come centro tanto da poter affermare che al di là del luogo, il centro Coloors è diventato un modo di pensare, di educare, di agire rivolto al territorio nella sua compagine minorile. Oltre alle diversità culturali incontrate nelle singole individualità all'interno del gruppo dei ragazzi, che stabilmente hanno frequentato il centro, l'esperienza è stata arricchente per lo sforzo degli operatori profuso in una continua ricerca di attività anch'esse eterogenee per modalità e matrice culturale, nell'ottica dell'ulteriore arricchimento nella cornice della differenza. È stato importante, pertanto, fare avvicinare i minori, anche i più svantaggiati socialmente a tutte quelle opportunità che la nostra società oggi offre (laboratorio informatico, corso di vela, attività sportiva), non perdendo di vista modalità comunicative di diversa cultura (laboratorio di capoeira, laboratorio di djambè, laboratorio di danza africana)

Scuola in ospedale
Giuseppina Fantone
La scuola in ospedale non è un'invenzione dei giorni nostri: già dal lontano 1936 si era sentita l'esigenza di aiutare i bambini ospedalizzati, allora purtroppo per tempi lunghissimi, ad uscire dallo stato di abbandono intellettivo in cui si trovavano. Questo compito delicatissimo, per la particolare situazione di sofferenza fisica e psichica in cui si trova il bambino malato, richiedeva e richiede non solo una grande sensibilità e disponibilità da parte degli insegnanti, ma anche una adeguata preparazione degli operatori.
Con il trascorrere degli anni, grazie alle importanti scoperte avvenute in campo medico ed alle nuove politiche sanitarie, le degenze ospedaliere si sono enormemente accorciate; permane tuttavia la necessità di:

  • assistenza scolastica in ospedale, specialmente in quei reparti dove le degenze, se pur brevi, sono purtroppo ricorrenti (dialisi, oncologia, ematologia, ecc);
  • assistenza scolastica a domicilio là dove le lungo-degenze ospedaliere si sono trasformate in lungo-degenze domiciliari.

Oggi, grazie anche alla cosiddetta umanizzazione iniziata nelle strutture sanitarie negli anni Ottanta, nell'intento di migliorare la qualità di vita del minore ricoverato, oltre a provvedere alla sua istruzione, si tende ad introdurre negli ospedali altre attività (clown-terapia, musico-terapia, ecc) che, a volte, possono dare risultati non del tutto positivi

workshop 6

bambini al confine di guerra

Sono state riportate da Sanai Hilal (Palestina), Rosa Ayala Sosa (El Salvador), Ouiza Ferhi (Algeria), Cristina Rosselli - Del Turco (Bosnia), Isabella Becucci(Emergency), testimonianze drammatiche di esistenza di bambini/e nei luoghi devastati dalle guerre.

E' emersa con forza la volontà di trovare parole, spazi ed opprtunità per operare contro la logica che vede nella guerra uno strumento per la risoluzione dei conflitti. Le “parole” sono state riportate in un appello approvato da tutti/e i/le convenuti e che dovrà s-confinare nei luoghi di lavoro, di vita di ognuno di noi. Una prima opportunità viene concretizzata nella stesura di un progetto da realizzare in collaborazione con il CIEP (Comitato Internazionale di Educazione per la Pace ) per insegnanti, genitori, operatori dell'area socio - culturale, finalizzato alla promozione di una cultura della pace, fondata sull'educazione della mente. Naturalmente si è coscienti che la radice della violenza è da ricercare nelle scelte economiche, politiche, culturali che devono quindi vederci impegnati ogni giorno senza mai concedere spazio all'indifferenza e/o all'impotenza.

Cessino intanto le guerre. Noi ci metteremo al lavoro per ripararne i danni.
Noi, genitori, insegnanti, cittadini degli Incontri di Castiglioncello.

Appello

Bambini uccisi, feriti, mutilati da guerre,”guerre intelligenti”, “guerre umanitarie”, guerre di ogni tipo. Fermiamo le guerre: niente e nessuno può legittimarle.
Dobbiamo fermarle, dobbiamo impegnarci con tutte le nostre forze, le nostre intelligenze, le nostre capacità, a non far passare giorno, ora, minuto senza fare qualcosa per fermarle.
Non ci bastano gli appelli, vogliamo fare, vogliamo agire per fermare le guerre.
Da oggi ci impegnamo a fare: educhiamo alla pace, opponiamoci alle giustificazioni delle guerre, tacitiamo chi le esalta: non parlino a nostro nome, lasciamoli soli:
Percorreremo solidali i sentieri della pace, sappiamo che sarà lungo.
Anche quando taceranno i missili, le bombe, i tiratori scelti, i terroristi suicidi, i bambini che saranno ancora in salvo.
Le devastazioni dei corpi, delle menti, della terra, dell'acqua, delle case, delle scuole, dei campi, delle fabbriche sono difficili da riscattare.

workshop 7

cooperazione allo sviluppo: sensate esperienze

L'esperienza di Capodarco di Rossano Salvatore
La Comunità internazionale di Capodarco è un'organizzazione non governativa riconosciuta dall'Unione Europea e da Ministero degli Esteri che ha progetti di sviluppo in America Latina (Ecuador e Brasile), America Centrale (Guatemala), Africa (Cameroun e Guinea Bissau) e Balcani (Albania e Kossovo). In Italia da anni lavora in progetti di educazione allo sviluppo con bambini, adolescenti e giovani. In particolare l'esperienza è a metà tra la cooperazione e l'educazione allo sviluppo in quanto si è esplicata attraverso una serie di azioni educative svoltesi, con il medesimo gruppo di ragazzi, sia in Italia che in Brasile. Le Associazioni coinvolte sono state l'associazione “Noi ragazzi del Mondo” (Italia) e il gruppo “Luar” (Brasile) che hanno effettuato uno scambio interculturale in Italia in aprile maggio 2001 e in Brasile nel dicembre gennaio 2001/2002. Entrambe le associazioni lavorano in attività educative di ambito extrascolastico in aree periferiche di grandi metropoli (Roma e Rio de Janeiro). Nel workshop sono stati ricostruiti i passaggi fondamentali di questa esperienza attraverso una presentazione ragionata da effettuarsi con l'ausilio di diapositive e di lucidi con l'obiettivo di approfondire le dinamiche emerse sia nel gruppo dei ragazzi che negli adulti/animatori.
Le interazioni con altri argomenti trattati nell'incontro sono molteplici ed in particolare riguardano l'intercultura, la multiculturalità, l'educazione alo sviluppo, l'educazione alla mondialità, l'intervento di animazione in aree svantaggiate...

Giocare alla pace: lo sport che non si vede di Antonio Borgogni
Da Mogadiscio a Tirana, da Lahore a Mostar, con interventi diretti o decentrati, lo sport che non si vede, quello giocato con regole strane, che coinvolge chi è troppo grande, troppo piccolo o chi non può permetterselo, rappresenta uno strumento di crescita e di relazione a condizione che vengano effettuate scelte intenzionali rispetto all'impostazione metodologica della formazione e della didattica degli interventi.
Ricercare equilibri tra l'accattivante sport conosciuto, rigido, strutturato, immutabile e il tono minore dello sport cooperativo, a tua misura, per tutti, che così tanto si intreccia con il gioco dei bambini, è spesso il compito del cooperante che sotto casa o lontano svolge la propria azione.
Non “lo” sport va bene, ma tanti sport, tante educazioni, tanti approcci quante sono le situazioni di lavoro, i vissuti, i corpi.
La moltiplicazione dei ruoli, portatore, organizzatore, formatore, osservatore, allenatore, comporta la moltiplicazione delle competenze necessarie ad interagire in “quella” specifica realtà: assumere la metodologia dell'assenza, stimolare convergenza e divergenza, rendere oblique le situazioni.
La filosofia dello sport per tutti si fa prassi nella cooperazione, nell'agire lontano, nella ricerca e nella fornitura di materiali, nella raccolta di strumenti e si fa forte delle esperienze che UISP svolge nei più vicini territori del difficile

workshop 8

tra conflitti e cooperazione: essere mediatori sul confine

Sia gli operatori “tecnici scolastici” che i tecnici degli enti ed istituzioni preposte alla salvaguardia dei minori hanno partecipato attivamente al gruppo di lavoro mostrando grande interesse. La proposta culturale dei referenti scientifici è stata di assoluta avanguardia. Lo scambio di relazioni fra referenti scientifici e partecipanti è stato interpretato, anche con modalità diverse fra un referente e un altro, ad un livello culturale, propositivo e di raziocinio di assoluto primordine. Queste valutazioni si sono sintetizzate in un quinto di iscrizioni in più alla fine della giornata di venerdì e di altre 5 - 6 persone all'inizio della giornata di sabato.

La partecipazione all'attività del gruppo di lavoro ha fornito un arricchimento culturale, metodologico e umano al di sopra di ogni aspettativa. A posteriori credo, avendo sentito e seguito anche altre parti dei lavori delle tre giornate, che questa sessione di lavoro avrebbe potuto essere propedeutica e preliminare a tutte le altre.

Il dibattito mi è sembrato prendere una piega abbastanza restrittiva rispetto all'ampiezza propria del tema 'Il bambino viandante fra mito e storia'. In breve credo che il 'viandante', al di là del fatto di considerarlo sotto le spoglie di bambino, dovrebbe avere sempre la possibilità di potersi dotare degli strumenti per affrontare convenientemente gli eventi che la storia ci pone innanzi: i miti, ma anche le chimere che il quotidiano ci propone.

E' ovvio che questo 'bambino viandante' piuttosto che trovare un deserto, il tutto chiuso, preferisce una qualsiasi vetrina, aperta, indipendentemente dal fatto che questa proponga un mito o una opportunità, ma è altrettanto vero che questo viandante avrebbe molto più piacere di poter comunque scegliere/sconfinare fra più vetrine che propongono opportunità varie, ma anche, perché no, fra più vetrine che propongono miti più o meno pesanti e/o intriganti, perché questo s-confine non sia solo un confine confinato.

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workshop 9

operare al confine: metodi di formazione e strumenti

  • operatori che lavorano “al confine” perché la loro azione formativa ed educativa ha come principali destinatari persone appartenenti ad altre culture, fuori dai nostri confini culturali;
  • operatori che lavorano “al confine” perché si relazionano ed integrando le loro professionalità con altre, diverse professionalità. Il confine ideale tra ambiti di competenza, ruoli e funzioni si allarga sempre più.
  • operatori che lavorano “al confine” perché scelgono approcci metodologici tesi alla maturazione della concezione di differenza come risorsa e non come ostacolo. Sono al confine di un concetto tradizionale di educazione che si è sempre basato sulla omogeneità . Sono invitati a cogliere la differenza e a valorizzarla.
  • operatori che lavorano “al confine” perché si muovono definendo la propria identità (i mutevoli confini della propria identità) attraverso una rivisitazione che prevede conferme e modificazioni continue proprio attraverso il rapporto con l'alterità;

I partecipanti hanno attribuito molta importanza alla formazione /esperienza fatta insieme da parte di soggetti diversi, se questa rappresenta un momento di arricchimento - crescita personale e quindi basata più su un piano clinico - esperienziale che non didattico - contenutistico. Questo aspetto più vissuto ed emotivo consente una maggiore conoscenza, scambio fra professionalità-culture- linguaggi- esperienze diverse e una maggiore “contaminazione” reciproca, un “superamento” dei “confini”, uno “sconfinamento”, anche un maggior riconoscimento - accettazione di differenze.

Biblioteca dei Mediterraneo di Piergianni Cocco

La Biblioteca dei Mediterraneo è un progetto di educazione multiculturale, rivolto principalmente a ragazzi, insegnanti e bibliotecari nato nel 1995, patrocinato dall'Unione europea e dal Ministero della Pubblica Istruzione e realizzato dall'Assessorato della Pubblica Istruzione e Beni culturali della Regione Sardegna.

È una mostra itinerante nella quale sono esposti, in 12 box, libri plurilingue per ragazzi che provengono da dodici paesi del bacino del Mediterraneo: Tunisia, Algeria, Marocco, Spagna, Portogallo, Francia, Italia, Ex Yugoslavia, Albania, Grecia, Zingari e Sardegna. AI centro dell'esposizione c'è un'edicola che propone giornali, riviste, fumetti e che rappresenta il punto di passaggio e d'incontro tra le sezioni della mostra.
Dallo scorso anno si è aggiunto uno scaffale di strumenti didattici destinato agli insegnanti ed agli operatori culturali e lo scaffale della Regione Toscana.
Un totem informatico, con immagini, suoni e informazioni sulle Nazioni rappresentate, completano l'esposizione.