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Insegnare come relazione sociale Dario Missaglia, segretario nazionale Formazione e Ricerca, CGIL
Nel corso di pochi anni la scuola è stata sottoposta a un inedito carico di riforme. Oggi, con il governo Berlusconi, una proposta di segno diverso inizia il suo iter legislativo ed anima la discussione tra i docenti, i genitori, gli studenti, le forze politiche e sociali. La scuola è apparsa in questi mesi stordita, disorientata. La riforma dei cicli aveva prodotto in una parte significativa dei docenti una condizione di smarrimento, di sofferenza. La sospensione di quella riforma non ha prodotto reazioni significative. Anzi, essa è stata vissuta con una sorta di sollievo e la malcelata convinzione che in fondo la scuola è destinata a non cambiare. La proposta del governo azzera questa illusione che del resto è innanzitutto smentita nei fatti, nei processi sociali, in quel mutamento epocale che ha coinvolto il mondo del lavoro e delle nuove tecnologie. Che lo desideri o meno, la scuola è costretta a cambiare. Ma quale sarà il segno del cambiamento possibile? La politica farà la sua parte ma ci sono aspetti del cambiamento possibile che parlano direttamente a chi nella scuola opera, vive, lavora. Da che cosa nasce la difficoltà a insegnare oggi? Cosa rende così problematica la relazione educativa? Perché i saperi che abbiamo a disposizione sembrano insufficienti a motivare larghi strati di adolescenti all'apprendimento? Cosa si può fare per scrollarsi di dosso una sentita e crescente marginalità della scuola nella società contemporanea? Che cos'è questo malessere che pervade il mondo della scuola? Sono queste le domande che molti docenti e genitori si pongono e alle quali ha cercato di rispondere Dario Missaglia, segretario nazionale per la formazione e ricerca della CGIL, nel suo intervento “Insegnare come relazione sociale”, nel quale ha toccato temi fondamentali che registra, con preoccupazione, come confini. Come primo individua la nazionalizzazione dei confini: la presenza di immigrati nel nostro paese non è affrontata con politiche strutturali, ma sulla base delle emergenze. Risentendo di questo il problema diventa di ordine pubblico anziché di integrazione sociale, la proposta di legge Bossi-Fini (proposta 795/2001) ne è un esempio con connotazione segregazionista. Si dà una risposta nazionale all'immigrazione quando in Europa è stata promulgata la carta dei diritti fondamentali delle persone. La parte di società civile che ha lavorato per l'integrazione deve far sentire la sua voce affinché le risposte non siano basate sulla logica dell'emergenza e sull'emotività. Come secondo confine individua nella scuola : l'istruzione che si basa solo sui programmi e non si collega con i saperi del mondo del lavoro produce culture non utili all'integrazione, è destinata al fallimento della sua funzione. La scuola deve porre attenzione anche all'integrazione delle conoscenze informali (saperi) che provengono anche dalle culture d'origine dei bambini. Questa possibilità è minacciata dalle attuali politiche scolastiche che non sono calibrate sul protagonismo dei bambini, ma sul protagonismo degli adulti e sono connesse alla loro rassicurazione attraverso la scelta che sono chiamati a fare per il futuro dei figli. Sono chiari esempi la scelta dell'indirizzo scolastico precoce (canalizzazione) e il sistema duale (scuola/formazione) messo ormai in discussione dai paesi che lo hanno adottato per primi e ripreso con forza dal nostro. Come terzo confine individua quello meno conosciuto dell'ideologia della società di mercato che sta alla base di tutte le leggi dell'attuale governo. L'hanno percepita i giovani interpretandola come “privatizzazione”, termine che ha spostato la nostra attenzione su significati “storici” che gli abbiamo attribuito in passato (“scuola privata” , “scuola azienda”). Invece ora “privato” significa “individuale”: le scelte formative sono individuali, scelte da adulti che non garantiscono il bambino come dovrebbe fare uno stato nazionale. Occorre ripartire dal basso con pratiche di comunità che annullino questa spinta all'individualismo. Gli enti locali e le scuole devono fare alleanza sul territorio per riattivare la partecipazione sociale attenta ai problemi in questione. |